Raffaello Sanzio
Piccola Madonna Cowper del 1506-1508, conservata nella National Gallery of Art di Washigton |
Non
poteva passare inosservata una data tanto significativa: i cinquecento anni
dalla morte del grande Urbinate: Raffaello Sanzio, il pittore che ha saputo
sintetizzare in modo ammirevole gli ideali propri del rinascimento italiano,
dove ragione e fede non si oppongono; l’artista geniale della grazia le cui dolcissime madonne hanno
sempre riscosso ammirazione e commozione, oltre che un enorme successo di
pubblico: basta pensare alla Madonna del cardellino o alla Madonna del prato.
Raffaello Sanzio, figlio di Giovanni Sante (latinizzato Sanzio) nasce a Urbino
nel 1483, un venerdì santo; muore giovanissimo nel 1520, un altro venerdì santo. Inizia la sua carriera artistica come
apprendista nella “bottega” del padre, da dove presto si trasferisce a Firenze
alla scuola del Perugino. A soli 21 anni realizza Lo Sposalizio della Vergine, il quadro sul quale appone la firma e
la data “Raffaello Urbinas MDIIII”.
Sposalizio della Vergine nella versione del Perugino, del 1504 conservato nel Musée des Beaux-Arts a Caen (Francia) |
Nei quattro anni trascorsi a Firenze
costruisce la sua fama, grazie a numerose opere commissionate dalle facoltose e
nobili famiglie fiorentine. Nel 1508, convocato da Bramante, concittadino e
amico di famiglia, si trasferisce a Roma, dove già il nome di Raffaello era
ormai noto al Pontefice, per affrescare gli appartamenti del Vaticano. Il ciclo
pittorico che concepisce per l’occasione è dedicato alla Filosofia, Teologia,
Poesia e Diritto. Nascono così tutte le altre opere tra le quali: la Scuola di Atene (filosofia) e la Disputa del Sacramento (Teologia). Morto
il Bramante, nel 1514, Raffaello dal nuovo Pontefice è chiamato a prenderne il
posto come Architetto della Fabbrica di San Pietro. Il nuovo Pontefice, Leone
X, figlio di Lorenzo il Magnifico, apprezza dell’artista non solo il talento ma
anche la sua modestia e bontà, la sua natura gentile e delicata nel rapportarsi
e quella affabilità che lo differenzia dal carattere passionale di Michelangelo
Buonarroti. Dalla sua “bottega” a Roma, dove era sempre circondato da
aiutanti, assistenti, allievi che
collaboravano con lui, nell’assiduo
lavoro che gli veniva commissionato da tutte le parti d’Italia e fuori, venne
fuori il cosiddetto “Spasimo di Sicilia”,
un’opera artistica di valore inestimabile, un dipinto su tavola ( 3.18x2.29 ),
commissionato da Giacomo Basiricò, famoso giuriconsulto palermitano, al grande
Raffaello Sanzio, nel 1517: dipinto ad olio su tavola, trasportato poi su tela,
dal tema: “Il viaggio di Gesù al calvario”;
ritorna così il tema del Venerdì santo. A Palermo il dipinto prese il nome “Lo Spasimo di Sicilia” perché destinato
dal committente al locale monastero olivetano di Santa Maria dello Spasimo; per
la stessa chiesa monastica contemporaneamente Antonello Gagini collocava un
monumentale altare. L’opera è firmata su una pietra in primo piano:”Raphael
Urbinas”. Fu questa una delle ultime opere perché, morto Raffaello all’età di
appena anni 37, la bottega nel 1527 fu messa a ferro e fuoco dai Lanzichenecchi
di Carlo V, che irruppero a Roma mentre il Papa Clemente VII dei Medici si
rinchiuse dentro Castel Sant’Angelo. Il “sacco di Roma” si protrasse per circa
quindici giorni: Spagnoli e Napolitani si segnalarono per la loro crudeltà e
sadismo, i Lanzichenecchi per le loro parodie sacrileghe e tutti si mostrarono di una rapacità quale
non avevano dimostrato gli antichi barbari. La “bottega” di Raffaello andò
distrutta e i suoi allievi si salvarono
solo con la fuga.
Ritratto di Agnolo Doni, dipinto del 1506 circa, conservato nella Galleria Palatina a Firenze |
Lo “Spasimo di Sicilia” di Raffaello: tra storia e leggenda
Di questa opera veramente insigne a Mazara
esistono ancora oggi due copie: una di esse era collocata sell’altare maggiore
della monumentale chiesa monastica di santa Veneranda, vero gioiello di
architettura all’interno della quale si ammirava anche la statua marmorea di
Santa Veneranda di Vincenzo Gagini. Oggi questa copia, restaurata, è custodita
nel palazzo vescovile della diocesi. L’altra copia si può ammirare nella ex-
chiesa dei Cappuccini, oggi Parrocchia
Cristo re. Queste due copie non portano il nome dell’autore né la data, ma per analogia ad una terza copia, custodita
a Castelvetrano nella Chiesa san Domenico, realizzata nello stesso tempo dal
cremonese Giovanni Paolo Fondulli per la
cappella di casa Aragonese, tutte e tre sono opera dello stesso autore: il
manierista cremonese, conosciuto per quella sua particolare interpretazione lombarda del manierismo
raffaellesco ( il Fondulli, a dire del Di Marzo, fu prima alla scuola dei Campi
di Cremona, poi a Palermo, allievo di Vincenzo Anemolo, a sua volta discepolo
di Polidoro a Roma. Cfr. Di Marzo, Delle
belle arti in Sicilia, pp.284-287).
Lo spasimo di Sicilia copia dell'opera raffaellesca attribuita a Giovanni Paolo Fondulli conservata nel Palazzo Vescovile di Mazara del Vallo |
Il dipinto, oggi
conservato nel palazzo vescovile di Mazara, olio su tela, arricchito da una
cornice dorata, è costituito da due parti: un riquadro centrale (cm280x340) e
n.15 riquadri all’intorno, entro cornicette lignee dorate applicate su tela.
Non si può parlare certamente di valore artistico di queste tre copie, come
neppure delle altre che si trovano in Sicilia, perché ogni opera d’arte ha la
sua formale bellezza che rispecchia l’autore; le copie, o chi imita e copia
rinuncia alla forma e all’ispirazione personale e si sforza di fotografare, di
cogliere il più adeguatamente possibile il pathos ispiratore dell’artista; si
parla perciò di maggiore o minore perfezione tecnica nella riproduzione del
modello. Le molteplice copie del grande Urbinate stanno a dimostrare
luminosamente la meritata fortuna in Sicilia dello “Spasimo “ e la conferma del valore intrinseco dell’opera
raffaellesca. Gli studiosi hanno fatto a gara per mettere in risalto le varie
copie disseminate nell'Isola, anche se parecchi di essi nel passato avevano
ignorato o trascurato le due esistenti a Mazara. Il Di Marzo in una mostra
artistica ebbe a segnalare una copia esistente a Sciacca nella chiesa dell’ex
monastero del Fazello, e un’altra venerata nella chiesa palermitana del
Carmine, ora custodita nella Pinacoteca del Museo Nazionale di Palermo. L’una e
l’altra eseguite attorno al 1537 da Antonello Crescenzio, conosciuto come
Antonello il Panormita. Lo stesso Di Marzio si è occupato della copia elaborata
dal siciliano Jacopo Vigneri, nel 1541, per la chiesa di san Francesco in
Catania. Una riproduzione dello “Spasimo
di Sicilia”, di ignoto autore è collocata in una delle eleganti sale della
Chiesa delle dame in Palermo, questa però è da attribuirsi al secolo XVII
perché vi domina un esagerato cupo. Un’altra ancora, in proporzioni ridotte, è
conservata nell’Oratorio di Sant’Eustachio in Palermo. Il prof. Sebastiano
Vento si era posta a suo tempo una domanda: dove e quale è l’originale lavoro del grande Raffaello? La risposta oggi non è facile a darsi : essa
certamente fu commessa al grande Pittore dai frati olivetani di Santa Maria
dello Spasimo di Palermo. Giorgio Vasari narra che la nave, che portava la
cassa contenente la tavola raffaellesca, diretta per Palermo, appena uscita dal
porto fu raggiunta da una terribile tempesta che la fece urtare contro uno
scoglio. Tutto andò perduto ad eccezione della tavola dipinta che fu trascinata dal mare nei pressi di Genova, dove,
ripescata e tirata a terra, fu veduta essere qualcosa di divino e per questo fu
messa in custodia, essendosi mantenuta illesa sia dalla furia del mare che
dai venti. Il prezioso quadro venne in
possesso dei religiosi dopo non poche difficoltà perché questi per riaverla
furono costretti a ricorrere all'autorità del senato e a quella del Pontefice.
La Sicilia forse purtroppo doveva rimanere priva di una opera artistica di così
singolare importanza. Nel 1661 infatti venne in potere di Filippo IV di
Spagna il quale per averla assegnò al
Priore del convento, corrotto dal viceré, il conte D’Avila, in compenso una rendita di cinquanta scudi. Il turpe mercato
fu compiuto all'insaputa dei frati che dall'antica sede si erano dovuti trasferire sin dal 1573 al monastero di Santo
Spirito. Accortesi i frati che il dipinto era scomparso a causa del Priore e che era stato sostituito con una
brutta copia dello stesso, cacciarono via il Priore e pregarono il re di
restituire il pregiato quadro originale. Il re mise a tacere i frati
promettendo loro una rendita di quattromila scudi. Il re Filippo IV in realtà,
come del resto anche il nonno Filippo II, furono grandi mecenati e seppero
accumulare una quantità enorme di opere d’arti, che rivelano il gusto e la
cultura dell’uno e dell’altro. Se Filippo II comprò dipinti di Tiziano,
Veronese, Tintoretto e di El Greco, Filippo IV ebbe la passione per la pittura
e volle realizzare alla corte di Spagna una Galleria d’Arte aperta al pubblico.
Come afferma il pittore aragonese Jusepe Martinez, certo per averlo ascoltato
da Velazquez, che a questi Filippo IV aveva espresso il desiderio “che
intendeva fare una Galleria di pitture e che, per questo andasse egli in cerca
dei migliori pittori e scegliesse le più belle opere… “. Alla quale richiesta
il Velasquez avrebbe risposto: “Io ardirei, Signore, andare a Roma e a Venezia a cercare e a
contattare le più belle pitture che vi si trovano” . Oggi al Museo Madrilena sono
custoditi: 8 dipinti di Raffaello, 36 di Tiziano, 12 del Veronese, 25 del
Tintoretto. Nell'ultimo dopoguerra le monache benedettine di Caltanissetta
riaprirono l’annosa discussione regalando al Vescovo, per esporlo nei locali
nisseni della Diocesi, uno “Spasimo di
Sicilia” affermando che, da tre secoli lo tenevano ben nascosto per paura
che venisse confiscato dalle autorità, e questo sarebbe il vero dipinto di
Raffaello mentre quello madrilena solo una bella copia.
“Lo Spasimo di Sicilia” di Raffaello Sanzio
“Lo Spasimo di Sicilia”
è una delle più belle realizzazioni artistiche, che abbia saputo creare la
fantasia e l’estro di Raffaello. E’ un quadro, scrisse Sebasiano Vento nel
quotidiano “L’ora” (15 novembre 1928), meravigliosamente complesso e
rappresenta una delle scene più commoventi e significative del dramma divino
della passione del Nazareno. L’autore coglie con sorprendente sintesi il
tragico momento in cui Gesù, che occupa un posto centrale della situazione,
grondante di lacrime e di sangue, cade sfinito sotto il peso della croce, che
viene sorretta dal biblico Cireneo, mentre la Vergine madre e le pie donne,
struggendosi di dolore, tendono le braccia verso la vittima innocente della
ferocia dei crocifissori. E’ il momento solenne in cui Gesù risponde alle
stesse pietose donne: “Non piangete per me ma per voi e per i vostri figli”.
All'azione drammatica prendono parte figure numerose e varie per atteggiamenti
e per espressioni: dal Nazareno alle donne piangenti, dal sacerdote israelita
al rappresentante del governo romano, dal Cireneo ai flagellatori; da colui che
tira Gesù con la corda all'uomo crudele
che minaccia brutalmente con l’asta Gesù e, infine, da tutti coloro che armati, o a piedi, o a
cavallo vengono fuori dalle mura di Gerusalemme, all'impassibile vessillifero,
che a cavallo è intento solamente ad arrestare la marcia verso il calvario, che
si intravede da lungi. Il tutto armonizza con l’ispirazione fondamentale: dove
ogni elemento è una delle diverse determinazioni coerenti e necessarie
all'unità estetica della rappresentazione. Tutto è vita e movimento. Nello Spasimo Raffaello tentò veramente il
drammatico. Il Giordani riflettendo pensa che forse Raffaello nella Giudea,
soggetta all'impero romano, abbia intravisto l’allegoria dell’Italia non libera
ed evidenzia perciò il contrasto tra la
forza brutale dei Giudei, effigiati con spiccata mosculatura nelle braccia e
nelle gambe, con la serenità cosciente di Cristo nel cui volto traspare il
senso del dolore fisico unito a grande mansuetudine. Il Cristo soffre per la
verità e subisce una grandissima ingiustizia; non si sdegna ma sente mestizia e
pietà della miseria dei suoi persecutori. Nell’Artista, anima eminentemente
religiosa, era certamente chiara, evidenzia il prof. Sebastiano Vento, la volontà di esprimere la doppia natura
umana e divina del Cristo nel momento in
cui il Redentore sacrificava la sua vita per la salute anche degli stessi suoi
persecutori. L’unione ipostatica è verità fondamentale nel cristianesimo
ortodosso. Il sereno misticismo del grande Urbinate si coglie nell’espressione
mirabile del volto di Cristo, che è il protagonista delle tragedia del
Calvario, e si accorda mirabilmente con la coscienza estetica proprio del
Rinascimento che dà uno sbocco mirabile all’arte del grande genio italiano
Raffello Sanzio.
Sac. prof. Pietro Pisciotta
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