Dotato di pensiero e
ragione, capace di conoscere amare, è l’unico essere che si pone la
domanda: chi sono io ?, cosa è
l’uomo? Scopro in me una tendenza
all’infinito, chiusa in un fragile involucro che necessita di cure continue.
Forse la definizione più valida rimane quella di Pascal che definisce l’uomo:
“una canna debole, fragile, ma capace di pensare ed amare”.
Non c’è religione,
morale, filosofia che non ha tentato di focalizzare il problema ponendo il
progetto “uomo” al centro della trattazione. Si parla oggi dell’uomo concreto,
l’uomo con i suoi problemi esistenziali, l’uomo in rapporto alla tecnica, alla
comunicazione, alla politica.
L’uomo è apparso
nella storia del pensiero sotto una miriade di raffigurazioni, tutte
significative ma tutte diverse; così per Pitagora è un numero, per Eraclito è
il divenire, per Parmenide è l’essere. Ma se per i pre-socratici, come
Protagora, l’uomo rimane “la misura di tutte le cose” rimanendo la filosofia legata
ad una visione naturalistica della realtà, con Socrate inizia la ricerca
metafisica dell’uomo; si ha così una visone spirituale che va al di là di ogni
riferimento particolare e contingente per cogliere la natura più profonda di
questa realtà (ciò che fa sì che l’uomo sia uomo), che è la sua razionalità,
che viene colta solo attraverso il dialogo e il processo maieutico. Platone, discepolo di Socrate, ha una visione specificatamente
idealista e spirituale dell’uomo che finisce con essere identificato con l’anima,
la cui unione con il corpo è solo provvisoria. Aristotele (il filosofo di color
che sanno), acuto osservatore e critico dell’idealismo platonico, coglie l’uomo
nella sua realtà di sinolo di materia e forma, dove corpo ed anima non
sussistono separatamente, ma solidamente uniti costituiscono ogni essere, di
cui il più eccellente è l’uomo la cui anima intellettiva lo avvicina
maggiormente a Dio, motore immobile a cui tutto tende.
Nei grandi sistemi
filosofici l’uomo diventa così una idea per Platone, un essere socievole per
Aristotele, mentre per Agostino è l’espressione più alta della creazione. Nella
filosofia immanentista l’uomo rasenta di essere addirittura Dio mentre per
Schopenhauer è solo dolore e per Soren Kierkegaard è angoscia.
L’uomo che era
diventato Dio nell’idealismo diventa solo una forza-lavoro nella concezione
marxista. Nella nuova epoca, dove regna tecnologia ed esistenzialismo, l’uomo,
che era ritenuto dalla filosofia spiritualista un vero microcosmo della realtà
creata dove converge quanto di bello e grande Dio ha creato, la nuova tecnica
minaccia di ridurlo ad un robot; e d’altra parte mentre l’esistenzialismo
progetta per l’uomo di essere un Dio, l’uomo invece sperimenta che la vita è
solamente noia, dolore e morte. Il
problema “uomo” appare così un vero enigma.
Quella tecnica, che
ha inventato beni innumerevoli per alleggerire la fatica ed offrire all’uomo
tutti i conforti, ha compromesso la vera essenza dell’uomo; questi oggi appare
la vera vittima di quello stesso progresso
che avvelena l’aria che respiriamo, il cibo che ci nutre e la stessa acqua,
bene comune insostituibile.
L’antropocentrismo,
che avrebbe dovuto finalmente assicurare gioia, libertà, benessere ed offrire
il paradiso terrestre, si è rivelato fautore di guerra, sempre avido di ricchezze
in una società dove prevale l’arrivismo e lo sfruttamento. Con tutte le sue
rare conquiste l’uomo si rivela oggi più infelice di ieri; cerca la verità e
rimane disorientato e travolto dal relativismo, dalla superficialità e
dall’assenza di valori. Da qui il ricorso, soprattutto da parte dei giovani,
alla droga, all’alcool, al sesso sfrenato per concludere tante volte
nell’omicidio-suicidio.
La famiglia,
l’istituto dove l’uomo riusciva ancora a realizzarsi, a vivere, a trovare pace
e sicurezza, oggi va sempre più sgretolandosi dietro i colpi mancini della
paura, della superficialità e di un’angoscia esistenziale che attanaglia l’uomo
che vive con la paura del domani.
La voce
della scienza e della fede
Eppure l’uomo,
questo mirabile e misterioso essere, nella sua autentica dimensione di corpo ed
anima, appare sempre più la sintesi di due realtà diverse ma convergenti da
costituire un solo ente “vero microcosmo della realtà creata”. Se indagare
sull’uomo diventa ogni giorno più difficile, se il mistero “uomo” non appare
facilmente spiegabile, è necessario, come insegna la stessa scienza, scavare
nel suo vero DNA. L’uomo si presente ad un esame macroscopico sintesi di corpo
e spirito, un corpo che sottostà a tutte le leggi fisiche e un’anima che,
attraverso il corpo e non, è capace di intendere, conoscere ed amare. Se per il
corpo la scienza prospetta le sue tecniche, scoperte meravigliose che
permettono di individuare le caratteristiche essenziali, riguardo all’anima,
elemento semplice, spirituale ed immortale, la via maestra rimane una sola: la
fede o rivelazione.
Scienza e fede per
natura non entrano mai in contraddizione reale, due linguaggi con i quali Dio
parla continuamente all’uomo. Diceva il grande scienziato Galileo Galilei, che
Dio ha scritto due libri: la natura con caratteri matematici e le relative
leggi fisiche e la Bibbia (o la rivelazione) con caratteri puramente volgari (dal
termine vulgus), capaci cioè di essere letti dal colto e dal meno colto, dal
ricco e dal povero, dall’ignorante e dal dotto. Due libri che evidenziano la
stessa Verità, che è una e sempre autentica, come Dio è uno ed unico. La verità
infatti è Dio, e Gesù lo evidenzia con parole chiare: “Io sono la Via, la
Verità e la Vita”. Fede e Scienza come un binario non entrano mai in contesa,
non si contaminano a vicenda, percorrono ciascuno la propria strada, si
aiutano, se è necessario, a vicenda ed arrivano entrambi alla stessa
conclusione, alla stessa stazione. Sono due linguaggi diversi ma sempre
convergenti come unico è l’autore. Da qui le due formule, sempre valide dal
medioevo ad oggi: “credo ut intelligam” e la diversa ma consimile “intelligo ut
credam”.
Riguardo all’uomo
sta scritto nel libro dei Salmi: “Che cosa è l’uomo per cui tu ti ricordi di
lui? , o il figlio dell’uomo che tu ti prendi cura di lui?. L’hai fatto di poco
inferiore agli angeli, l’hai coronato di gloria e di onore, l’hai costituito
sopra le opere delle tue mani. Tutto hai posto ai suoi piedi” (Ps. 8, 5-7). Fa
eco Ireneo, uno dei Padri della Chiesa: “l’uomo vivente è la gloria di Dio”.
Concetto già espresso dal greco Sofocle: “molte sono le cose mirabili, ma nessuna
è più mirabile dell’uomo” (1° coro dell’Antigone). Il libro dei Salmi ribadisce
ancora in sintonia al libro della Genesi: La dignità dell’uomo è quasi divina
perché creato ad immagine di Dio. Biagio Pascal, scienziato e filosofo,
aggiunge: L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è
una canna pensante.
Questa canna ci
riporta al libro della genesi: la paura di Adamo che scopre di essere nudo, si
vergogna, si nasconde davanti a Dio che lo chiama: “Adamo, Adamo, dove sei “,
cosa è successo, perché ti sei così ridotto? E’ la stessa paura di Caino che
scopre di avere le mani insanguinate per avere ucciso il fratello Abele e
fugge, mentre Dio lo incalza. “Caino, dov’è tuo fratello’ il suo sangue grida
vendetta. E’ la paura del Sinedrio che teme Gesù vivo e morto e si reca da
Ponzio Pilato dicendo: “quell’impostore disse che dopo tre giorno risusciterà”,
bisogna con picchetti armati far custodire la sua sepoltura. E’ la paura
dell’uomo di oggi, l’esistenzialista, che, dichiarata la morte di Dio, ha
progettato di essere Dio ed ha scoperto invece di essere un nulla: da qui la
paura, la vita come noia, la vita infelice. L’umanesimo tecnologico si è
dimostrato incapace di risolvere l’enigma uomo, mentre il materialismo ateo ha
dovuto rovesciare le mura dell’odio e della divisione che aveva osato
innalzare. L’ateismo tecnico e pratico, scriverà il pontefice Pio XII nel
radiomessaggio del 1956, finisce con il diventare il vero nemico della libertà
umana riducendo l’uomo a robot o ad un essere inanimato di laboratorio. Pura
tecnologia e materialismo non assicurano nemmeno la sicurezza sociale perché un
umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano; un umanesimo dove prevale
l’egoismo, il capitalismo spietato, la fame, la guerra, la violenza e con esse
la distruzione e la morte. Il XX secolo, appena trascorso, che ha segnato la
grandezza e la debolezza dell’uomo con due guerre mondiali che hanno determinato
lutti, distruzioni e morti di massa, è stato anche il secolo dei grandi
scienziati di cui la nostra terra è stata madre, nutrice e maestra. Uomini di
cultura e di fede profonda, veri scienziati d’avanguardia. Per citarne alcuni
Pierre Teilhard de Charden (1881-1955) evidenzia il concetto di “Universo” (Uno
–verso. Cioè tutta la creazione tende verso l’Uno, verso la Trinità, laddove la
Tre Persone divine (Padre, Figlio e Spirito santo, “la Divina Potestate, la
Somma Sapienza e il Primo Amore”), sono l’Uno (l’unico Dio). Quell’Uno che
attira tutto a sé perché sia “consumato nell’Amore, tutto diventi Amore. Come
scrivono i Padri della Chiesa: “Dio diventa uomo perché l’uomo diventi Dio”.
Per credere bisogna amare la bellezza, desiderare l’Unità, percepire la
sacralità dell’Universo. Il Teilhard appare mistico alla pari di Francesco di
Assisi che considera ogni elemento del creato come fratello e sorella. Da
paleontologo osserva la bellezza del creato e può sintetizzare il suo pensiero.
Tutto quello che Dio ha creato partecipa della bellezza divina. Non meno
incisiva appare la fede e la voce dei grandi scienziati:
Enrico Fermi (1901-1954)
uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, assai noto nell’ambito della
meccanica quantistica, inventore e realizzatore del primo reattore nucleare a
fissione, è lo scienziato dalla fede profonda.
Per Fermi la fede è estasi, contemplazione, stimolo per passare dalla
bellezza del creato a Dio, fonte di ogni bellezza. Già Emanuele Kant, il più
celebre filosofo della rivoluzione copernicana in filosofia, aveva scritto:
“Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione, stupore e reverenza: il cielo
stellato sopra di me e la legge morale in me”. Di fronte alla bellezza della natura,
diceva Fermi, si rimane estatici. L’estasi è quella forza che aiuta il credente
ad uscire fuori di sé per cercare nell’Uno, nell’Assoluto il senso e il
fondamento di tutto.
La Fede che nel
grande matematico Ettore Majorana (Catania 1906) diventa tormento interiore. Il
dramma del Majorana origina dalla consapevolezza delle responsabilità che ha lo
scienziato davanti alle sue scoperte; il dramma dell’uomo di scienza che vie un
malessere interiore e che porterà il Majorana, dopo il Corso di Fisica teorica svolto
all’Università di Napoli, a scomparire dal consorzio umano, dopo aver rivelato
ad un amico: “la Fisica non può vendere l’anima al diavolo”.
Enrico Medi
(1911-1974): scienziato e politico, docente di Fisica e parlamentare, coglie
l’armonia della Verità tra Filosofia, Fisica e Fede. Considera la Fede e la
Scienza come le due ali che permettono all’uomo di volare verso la verità, la
bellezza e la libertà. Volare verso Dio senza il quale l’uomo perde la sua
identità e grandezza. Dio parla in noi con la voce del creato, della scienza e
della rivelazione. Strade diverse che portano alla stessa meta: Dio, quell’Uno
creatore dell’universo. Collegando la testa con il cuore, scrive Enrico Medi,
il corpo con lo spirito, la Fede con la Ragione si hanno le ali per volare
verso la Verità, l’Unità, e la Bellezza, come d’altronde si esprime Giovanni Paolo
II nella enciclica Fides et ratio.
Figura non meno
rappresentativa, Antonino Zichichi (ancora vivente, nato a Trapani): fisico,
docente universitario, pioniere del nucleare in Italia. E’ interessato alla
Fisica quanto lo è per la Metafisica. Scienza e fede, afferma Zichichi,
costituiscono le colonne portanti dell’uomo nel Terzo millennio. La scienza,
egli afferma, non ha scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di
Dio; l’ateismo non è un atto di rigore logico ma un atto di fede nel Nulla. La
Speranza si basa su due colonne: la Fede e la Scienza, entrambi dono di Dio. La
scienza è l’unico strumento dato all’uomo per dimostrare con i fatti che la
natura è un libro scritto con un preciso disegno divino.
L’UMANESIMO
CRISTIANO
Un documento
ufficiale stilato dal Concilio Vaticano II è senza ombra di dubbio la
Costituzione pastorale “Gaudium et Spes” che riguarda Chiesa e il mondo
contemporaneo (CM) dove si affronta il problema “Uomo” e si evidenzia la
simbiosi mirabile tra materia e spirito, tra corpo ed anima. Al documento del
Concilio fa eco la enciclica di Paolo VI “Populorum
Progressio”.
“Unità di anima e di
corpo, si legge nella Gaudium et Spes,
l’uomo sintetizza in sé, per la sua condizione corporale, gli elementi del
mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e
prendono voce per lodare in libertà il Creatore … L’uomo però trascende
l’universo; riconoscendo di avere un’anima spirituale ed immortale, non si
lascia illudere da fallaci funzioni, che fluiscono unicamente dalle condizioni
fisiche e sociali, e va a toccare in profondo la verità stessa delle cose”. Si
tratta di un umanesimo “integrale”, anzi “plenario” come si esprime lo stesso
beato Paolo VI. Umanesimo plenario perché “tutto quanto esiste sulla terra deve
essere riferito all’uomo come a suo centro e suo vertice”.
Alla domanda: Uomo,
chi sei?, la risposta è una sola: corpo e spirito; essere vivente di vita vegetativa
e sensitiva, un vero microcosmo perché sintetizza in sé il mondo sensibile; ma
non è circoscritto in esso, anzi lo trascende, grazie all’anima spirituale,
libera, immortale e proiettata verso l’infinito. L’umanesimo cristiano non
disprezza il corpo, né lo considera prigione dell’anima alla maniera platonica,
perché questo corpo è destinato alla risurrezione; rifiuta di considerare
l’uomo una particella inconsapevole della natura. “La natura intellettuale
dell’uomo, continua il documento del Vaticano II, raggiunge la perfezione
attraverso la sapienza, la quale attrae con soavità la mente a cercare e ad
amare il vero e il bene, e, quando l’uomo ne è ripieno, lo conduce attraverso
il visibile all’invisibile” (CM 12). La Sapienza ha lo stesso tema di “sapore”, fa assaporare l’oggetto del conoscere,
permette di coglierlo con la mente e il cuore per trasformarlo in realtà
concreta. La sapienza, che è nell’uomo, è una scintilla di quel divino per cui
il grande Agostino d’Ippona diceva:”inquietum est cor hominis usque in Deo non
requiescit” (è inquieto il cuore dell’uomo sino a quando non riposa in Dio). Se
la sapienza è Dio (Verbum Dei) grande
e infinito, la nostra sete del sapere (limitata e circoscritta) è insaziabile,
per cui dirà Dante: “Il perder tempo a chi più sa, più spiace”. Giù Socrate
parlava di un “demone” dentro l’uomo;
Platone lo significa con l’Idea, per cui il corpo era solo la prigione
dell’anima; Aristotele parla dell’intelletto agente, sempre in atto, che spinge
la facoltà intellettiva dalla potenza all’atto; per Agostino è la luce divina
in noi; per Tommaso d’Aquino è l’intelletto agente, fuoco vivo ed operante; per
il Cristiano è la presenza di Dio in noi per cui sant’Agostino dirà: “homo noli foras exire, in teipsum redi, in
interiorem hominem stat veritas” in sintonia al dialogo di Gesù con la
samaritana, la quale aveva chiesto al Maestro: voi ebrei pregate nel Tempio di
Gerusalemme, noi samaritani saliamo sul monte; chi agisce bene?, chi ha
ragione? E Gesù: donna, Dio è spirito e verità, per incontrarti con Dio bisogna
entrare nel sacrario del cuore. In questa sua interiorità l’uomo scopre Dio e
nella sua luce ritrova il meglio di sé, il suo principio, il suo scopo ultimo e
decide del proprio destino.
Fondamento della
sapienza è il rispetto e l’osservanza
cosciente di quella norma che l’uomo trova nel santuario intimo della
propria coscienza. Nella fedeltà alla legge, che si esprime “ama” l’uomo
realizza la sua massima nobiltà d’animo e lo porta a collaborare con gli altri
nella ricerca del vero e del bene. Alla moralità è connessa la libertà, dono
divino all’uomo, che lo rende arbitro del proprio destino. Libertà che non può
e non deve essere “libertinaggio” nella consapevolezza che la mia libertà
finisce se si scontra o lede la libertà degli altri. Libertà significa cercare
il bene comune e scegliere sempre il meglio e non necessariamente l’utile.
Questo uomo non si esaurisce nella propria individualità perché nessuno può
essere un’isola. La socialità è una componente essenziale perché l’uomo senza i
rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Già Aristotele
diceva che l’uomo per natura è un essere sociale. Egli nasce in una situazione
sociale (la famiglia), necessita delle altre famiglie per costituirsi anch’egli
in una sua famiglia, realizza il suo perfezionamento inserito in gruppi sociali
quali la Chiesa, la Scuola, il mondo del lavoro, la vita economica, politica e
sociale.
GLI ENIGMI DELL’UOMO
L’umanesimo cristiano non è ciecamente
ottimista perché riconosce le debolezze dell’uomo, questo soggetto mirabile di
diritti e di doveri. In questo essere si annida qualcosa che turba: l’egoismo,
il dolore, la morte. Nel mondo, di cui l’uomo è parte integrante, che è
“cosmo”, cioè ordine, bellezza, armonia, c’è anche debolezza, tendenze
tortuose, marimoti e terremoti di ogni genere. Per spiegare questi enigmi i
manichei inventarono le due divinità (il dio del bene e il dio del male), altri
pensarono alla volontà cieca che guida le cose o al caos in contrapposizione al
cosmo o ad una divinità cattiva che si diverte a far soffrire. L’umanesimo
cristiano, illuminato dalla fede, non solo scopre la causa del male, ma ne
appresta il rimedio. Dio è amore e solo il peccato di orgoglio e di superbia
dell’uomo, creato a immagine di Dio, ha trascinato l’uomo alla deriva, lontano
da Dio; l’uso perverso della libertà ha generato il disordine fisico e morale e
l’uomo, a sue spese, ha sperimentato le triste conseguenze del peccato. La
promessa di un salvatore da parte di Dio, l’incarnazione della Sapienza eterna
nel seno della Vergine e la passione e morte di Gesù, offertosi al Padre come
vittima di riconciliazione, ha ristabilito l’ordine conculcato. Nasce così la
Chiesa, questa grande famiglia e popolo di Dio.
A 50 anni ed oltre
dalla promulgazione della Gaudium et Spes
(e degli altri documenti del Vaticano II) risultano assai valide le
considerazioni conciliari sulle cause del male nel mondo ma anche i rimedi che
i padri del concilio hanno evidenziato. L’uomo e il mondo sono usciti perfetti
dalle mani di Dio tanto che nel libro della genesi si legge: “… e Dio vide che
tutte le cose che aveva fatto erano molto buone” (Gen. 1, 31). L’uomo sin dalla
creazione è stato dotato della libertà. L’uso perverso di essa scatenò il
disordine, il caos e la morte; l’uomo scoprì dopo il peccato di essere “nudo”:
nudo perché aveva perduto tutto, nudo per il suo arrivismo ed orgoglio, nudo
per aver perduto la grazia e l’amicizia con Dio. L’incarnazione della Sapienza
eterna (il Verbo) nel seno della Vergine di Nazareth, l’ubbidienza fiduciosa di
Maria al messaggio divino, meritò l’incarnazione del Figlio di Dio e l’inizio
della “restauratio magna” attuando
così il progetto divino: “metterò inimicizia tra te e la donna … e verrà colei
che ti schiaccerà la testa”. Questa dottrina della Gaudium et Spes rivela ancora oggi, anzi oggi più che mai, tutta la
sua freschezza ed incisività.
Due mila anni di
storia non hanno minimamente offuscato la chiarezza del messaggio cristiano
rivissuto e proclamato nel Concilio Vaticano II, indetto e presieduto da
Giovanni XXIII ed ultimato e chiuso da papa Paolo VI. In piena sintonia
all’antropologia espressa dalla Bibbia, in opposizione alle teorie
antropologiche sorte nell’età moderna e sostenute da filosofi storici, poeti e
scrittori, la Chiesa del terzo millennio della cristianità si pregia presentare
al mondo in chiave attuale le linee fondamentali di quell’umanesimo cristiano,
che si affermò nel Medioevo con la Patristica e raggiunse la sua massima
espressione con lo Spiritualismo di Agostino e la Scolastica di Tommaso
d’Aquino.
Il concilio Vaticano
II con la Gaudium et Spes all’uomo di
oggi ripropone gli stessi temi con chiarezza, luce e vitalità.
Sac. prof.
Pietro Pisciotta
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