I ricordi della figlia Daniela
Mio padre
raccontava:
Sono nato a Mazara
del Vallo alle ore 22 del 2 ottobre 1907, nella malinconia autunnale, in una
vecchia casa che comunicava con la galleria d’arte. I miei genitori vivevano di
lavoro: mio padre, bravo ebanista ed intagliatore dirigeva un laboratorio proprio con un carico di sei dipendenti; mia
madre, oltre ai lavori domestici badava alla rivendita di Tabacchi di cui era
titolare. Nonostante tutta questa attività , la vita per noi era un po’
stentata. Noi ragazzi andavamo tutti a scuola. Mio padre, lavoratore
instancabile e credente uomo politico, militava nel partito socialista ed era
convinto che tra tutte le classi sociali, la più onesta era quella degli
operai. Credeva fermamente nell’artigianato. Un artigiano, secondo lui, era un
blasonato. Terminate le scuole elementari e conseguita la piccola licenza, mio
padre ci considerava “dottorati” e
quindi il proseguimento era nel nostro laboratorio.
La mia famiglia era composta
da mio padre, mia madre, mio zio Vincenzo (fratello di mio padre) e di cinque
figli, io sono il terzogenito.
I primi dolori in
famiglia: nel 1918 la piccola Lucrezia si ammala e muore all’età di quattro
anni. La ricordo: era bellissima, occhi grandi, capelli biondi, molto dolce;
era la più piccola della famiglia. La mamma non trovava consolazione, piangeva
la sua piccola Lucrezia; mio padre sopportava l dolore spegnendolo nel silenzio
e nel lavoro; noi nella strada o nel laboratorio facevamo da spettatori , come tutti i ragazzi
in queste circostanze. Nel 1929 muore mio fratello Andrea, secondogenito, per
una infezione generale al sangue. Aveva 23 anni e per me fu un colpo durissimo.
Poi morirono i miei genitori: mio padre nel 1957 e mia madre nel 1958. Mia
sorella Antonia è morta nel 1975. Oggi le persona vive della mia famiglia siamo
due: mio fratello Battista, primogenito, e il sottoscritto.
Non mi soffermo
sulla mia prima infanzia perché ricordo
poche cose. A sei anni, nel lontano 1913 frequentai la prima classe elementare
nei locali dell’attuale “Seminario” in piazza Municipio. A scuola mi
accompagnava mio padre. Ricordo che una mattina per motivi di lavoro, mio
padre, dopo mille raccomandazioni, mi lasciò andare a scuola. Io, ragazzo
vivace e baldanzoso, mi sentiti quella
mattina padrone di me stesso, mi sentii, per meglio dire, uomo senza barba, con
tutta la libertà. Il mio primo maestro si chiamava Tumbiolo e con lui ho fatto
anche la seconda classe; la tera, invece, l’ho fatta con il maestro avv. Genna,
ma non l’ho completata ( non ricordo per quale motivo), l’ho ripetuta con il
sacerdote Michele Severino. Ricordo molto bene che i miei quadernetti, oltre
che di aste, vocali e numeri, erano ripieni di pupazzetti disegnati da me. Alla terza classe, avvicinandosi il
Natale, ero tutto preso del fare pupazzi (così li chiamavo) che in verità erano
pastorelli di creta asciugati al sole e
poi pitturati (servivano per il presepe). Nel laboratorio di mio padre nacquero
subito dopo le prime sculture in legno. Intanto continuo lo studio nella quarta
classe con il prof. Franco Caracci nella scuola di santa Caterina ( bellissimo
monastero di stile normanno). Proprio nella quarta elementare si manifestò in
me un grande amore per il disegno. Disegnavo tutto il giorno. Non voglio
fermarmi a scrivere altri particolari e avvenimenti di quel periodo, ma questo
voglio inserirlo, perché oggi è di moda la pittura murale (murales).
"Gelsomini",1976,olio, cm. 60x80
Tutti i giorni,
all’uscita dalla scuola, mi divertivo a disegnare con il carbone sui muri
bianchi delle case, che incontravo nel rientrare a casa, ritratti di personaggi
caratteristici che circolavano tutti i
giorni per le vie della città, qualcuno anche
handicappato: Vitinu lu babbu, Cicoria bu-bu, Dovicu … ed altri. Questi
personaggi li designavo a grandezza naturale e tutti interi, con le
caratteristiche somatiche più evidenti. Per la perfetta somiglianza e per la
bella grafia ricevevo dai passanti elogi ed applausi. Queste mie monellerie
grafiche restavano sui muri finchè i proprietari delle case non le cancellavano
con una spugna e acqua perché i disegni erano eseguiti col carbone. Smisi di
fare questo quando il personaggio
ritratto sui muri in Piazza Municipio, chiamato “Dovicu”, andò a denunciarmi. A
casa venivo guidato da mio padre che, oltre ad essere un bravo ebanista era
anche un valoroso intagliatore di ornamentazione applicata al mobilio nei vari
stili.
Non eccellevo nello
studio, ma davo prova di una forte memoria; imparavo con la massima facilità poesie, riassunti di
storia e di geografia, regole di grammatica e di matematica. Il disegno era
quello che palesava la mia spiccata attitudine. Promosso alla Quinta, la
frequentai con il maestro Antonio Safina, con esito positivo. Eravamo dodici
ragazzi, tutti promossi con il voto “sufficiente” (sei in tutte le materie,
anche in disegno …). Ribellatomi per questa grande ingiustizia, il maestro mi
rispose: “metà eravate bravi, metà asini, ho fatto la media e vi ho promosso
tutti con la sufficienza”. Conseguita la licenza elementare, ritiro solenne
dalla scuola perché mio padre mirava a trattenermi nel suo laboratorio, essendo
io bravo in tutti i lavori.
Dopo digiuni e lotte
con i miei, mi fu permesso di iscrivermi (con dieci giorni di ritardo) alla
Scuola Tecnica Statale. Incominciava per me la vera vita di apprendista perché
nelle ore pomeridiane mio padre mi sistemò presso uno scultore in legno, il
prof. Enzo genovese di Trapani, che teneva la bottega in via Bagno e lì
diventai un piccolo maestro di intaglio, tanto che a me venivano affidati i lavori più delicati. In alternativa col
doposcuola di scultura mio padre mi mandò a lezioni di disegno presso il
pittore Giuseppe Boscarino, suo amico. Andavo quasi tutti i pomeriggi dalle 14 alle 19. Fotografia, stampe,
ritocchi. Spesso lo seguivo nei lavori di decorazioni geometriche e
ornamentali con la pittura a tempera o a
calce e mi esercitavo nel disegno ornato copiando le tavole di ornamentazione
sugli stili di Romolo Trevisani. Di conseguenza diventavo più bravo
nell’intaglio ornato. La sera fino a notte inoltrata mi dedicavo allo studio
scolastico. Intanto sognavo il Liceo Artistico, meta irraggiungibile per me,
perché nella mia casa albergava ad intervalli la carestia. Mio padre,
socialista, praticamente attivista,
amava la classe operaia e sosteneva che ai ragazzi bisognava insegnare ad amare
il lavoro se si volevano dei giovani
onesti. Con questi principi , dopo la scuola tecnica, mi mise a lavorare nel
suo laboratorio assieme a sei operai e a qualche garzone. Io appresi bene il
mestiere di ebanista, anzi fin dai primi lavori
mi rivelai un operaio perfetto nell’esecuzione; alternavo il lavoro di
ebanista a quello di intagliatore. Eseguivo lavori di intaglio per tutti gli ebanisti della provincia.
Modellavo bene l’ornamentazione in
tutti gli stili, dallo stile Luigi XIV –XV –XVI
al Rinascimento e allo stile
Impero che mi era particolarmente gradito. Mi piace ricordare che all’età di 13
anni, scolpii un piccolo “Cristo alla colonna”, alto cm 40, che mio padre mise
esposto nella vetrina “Libreria – Moda” di Giuseppe Ajello, in piazza
Municipio. Fu un vero pellegrinaggio di pubblico che mi riteneva un ragazzo
prodigio. Elogi e ammirazioni per questo piccolo monello che ai giochi della
strada sapeva mescolare qualcosa di
serio ( scultura). Erto molto piccolo quando modellavo con la creta i pastori
per il presepe.
Ma il lavoro
d’impegno l’ho fatto all’età di anni 16: scolpii direttamente su un pezzo di
tronco di cipresso un “San Francesco”, il poverello d’Assisi, perché il professore
ci fece imparare il “cantico delle creature”. Il “San Francesco” mi sembrava
ancora più mistico per l’umiltà e la duttilità che emanava il legno. Molti
particolari sono presi dal vero: le mani sono quelli di mio padre che si
prestava volentieri a metterle in posa.
Nel 1926 partiti
volontario per la Regia marina. Questa mia decisione fu motivata da un
manifesto affisso nella vie di Mazara: “Arruolati in Marina – Girerai il mondo”. Finalmente:
era stato sempre il mio sogno, ma venni assegnato a Taranto e poi a Boffoluto
nella polveriera come camionista artificiere, per cui, sfumato il mio sogno,
durante il servizio militare mi impongo un intenso studio nelle ore libere e
svolgo tutto il programma del Liceo artistico. Legato a quel periodo ricordo un
episodio: il capitano Seghesi aveva l’abitudine, la notte, con la sua cavalla,
a trotto, di non dare mai la parola d’ordine al mio “Altolà, chi va là?” e
allora una volta gli sparai un colpo intimidatorio e finii in prigione; lì
approfondii i miei studi artistici. Congedatomi dalla Regia marina all’età di
anni 21, volli fermarmi in alcune città: Taranto, La Spezia, Firenze. A Firenze per la prima volta assaggiai il
marmo presso il laboratorio dello scultore Calascibetta (grande scultore di
monumenti funerari) e da quel giorno, nella scena della mia vita entra la scultura in marmo (nel cimitero di
Mazara esistono parecchie lapidi scolpite da me). La sete di conoscere e di
sapere mi spinge ad assaggiare anche l’acqua della laguna di Venezia. Là mi
incontro per la prima volta con le
sculture del Sansevieri, con l’Adamo ed Eva dello scultore Rizzo e con tutta l’arte che Venezia racchiude nel
suo scrigno d’oro. Visito Roma, i Musei
vaticani e poi ritorno nel “salvadenaio” mazarese. Riprendo lo studio e il lavoro
di scultura in marmo e in legno. Nascono le prime idee di ingrandire il
laboratorio di mobili di mio padre: mobili in stile. Sentiti allora il bisogno
di studiare tutto quello che riguardava i mobili dei secoli passati. Non
potendo lasciare Mazara per impegni di lavoro, pensai di iscrivermi
all’Istituto “Scuole riunite” per corrispondenza di Roma, al “Corso Capotecnico
ebanista mobiliare”. Dopo tre anni di studio nel 1929 conseguii il diploma; con
esso feci la prima esperienza nel laboratorio di mobili antichi della ditta
Cav. Onofrio Favara a Palermo, che
primeggiava in campo nazionale. Del valore di questa fabbrica parla il
manuale “Hoepli di A. Milani “Mobili e stili”. In questo periodo il lavoro è
intenso, non si trova tempo per soddisfare le richieste di mobili che
esportavamo anche a Palermo. Intanto il tempo scorre veloce come le acque
che vanno al mulino. Si arriva al 1936 quando scoppia la guerra per la conquista
abissina. Sono richiamato alle armi presso il Comando Marina di Trapani,
avanguardie delle coste tunisine. A
Trapani lavoro ancora il marmo presso i fratelli Bruno, per guadagnare qualche
soldino. Vita dura! Spesso no n dormivo
in caserma, ma nella piccola casa presa in affitto, che mi serviva da studio
nei giorni e nelle notti libere dal servizio. Avviato in congedo nel 1937,
finita la guerra, ritornai in famiglia. La crisi era già in atto, nel nostro
laboratorio si tirava avanti facendo
lavorare gli operai due giorni la settimana. Io, chiuso nel laboratorio che
funzionava da studio, facevo scultura in marmo, qualche ritratto in creta,
tenendo sul cavalletto un dipinto da finire. Fu proprio in questo periodo che maturai la decisione di
completare gli studi e conseguire la
maturità artistica presso l’Accademia di belle Arti di Palermo. Questo sogno
non dava serenità al mio spirito di artista. Il bisogno di guadagno mi impediva
di abbandonare il lavoro e così applicai su di me il famoso motto di San Paolo: “Studio e lavoro”.
Durante il giorno alternavo il lavoro di scultura in marmo e di intaglio per il mobilio a quello di dirigere il laboratorio mentre dalle 18 alle 24 studiavo. Prendevo lezioni dal prof. Gaspare Morello per il gruppo letterario mentre per il gruppo scientifico ero io stesso a svolgere il programma. Per la parte artistica mi trovavo già ben preparato e così nel 1938-39, sospendendo il lavoro nel laboratorio, mi reco a Palermo per completare il programma guidato da bravissimi professori. Ignazio D’Aiello, titolare di lettere al Liceo “Garibaldi”, il prof. Cipolla per il gruppo scientifico ed altri. Per la parte architettonica l’architetto Giovanni Rutelli, figlio del celebre scultore Mario Rutelli (autore della fontana dell’esedra di Roma). Per la scultura frequentavo ogni giorno lo studio dello scultore Archimede Campini (spesso posavo per lui), allora titolare di scultura all'Accademia e Direttore della stessa. Tutte le sere andavo a trovarlo alla birreria Bellini col poeta Franco Caracci e si parlava d’arte e poesia. Queste conversazioni a cui intervenivo spesso, mi furono di grande aiuto per la prima formazione artistica. La sera, all'Accademia frequentavo i corsi della “Scuola libera del nudo”. Conseguii il diploma nel 1939 con risultati ottimi in tutte le prove e frequentavo il biennio di architettura per volere dello scultore Campini che mi aveva in grande stima. Con la frequenza nello studio del pittore Guarino si svela in me l’amore per la pittura. E nacque così Enzo Santostefano pittore, contro il parere dello scultore Campini che vedeva in me principalmente lo scultore. Dopo il diploma, me ne ritornai a Mazara e continuai il mio solito lavoro: dirigere il laboratorio di mio padre, fare della scultura in legno o in marmo e la sera disegnare, sempre disegnare. Durante la guerra dal 1943 al 1945 il mio studio veniva frequentato da artisti in armi: lo scultore Mario Montemurro, lo scultore Giovanni Rosone, lo scultore Monteleone, lo scultore Venditti, il pittore Ranucci e Andrea Cascella.
"Melagrane",1960, olio, cm.45x60
Durante il giorno alternavo il lavoro di scultura in marmo e di intaglio per il mobilio a quello di dirigere il laboratorio mentre dalle 18 alle 24 studiavo. Prendevo lezioni dal prof. Gaspare Morello per il gruppo letterario mentre per il gruppo scientifico ero io stesso a svolgere il programma. Per la parte artistica mi trovavo già ben preparato e così nel 1938-39, sospendendo il lavoro nel laboratorio, mi reco a Palermo per completare il programma guidato da bravissimi professori. Ignazio D’Aiello, titolare di lettere al Liceo “Garibaldi”, il prof. Cipolla per il gruppo scientifico ed altri. Per la parte architettonica l’architetto Giovanni Rutelli, figlio del celebre scultore Mario Rutelli (autore della fontana dell’esedra di Roma). Per la scultura frequentavo ogni giorno lo studio dello scultore Archimede Campini (spesso posavo per lui), allora titolare di scultura all'Accademia e Direttore della stessa. Tutte le sere andavo a trovarlo alla birreria Bellini col poeta Franco Caracci e si parlava d’arte e poesia. Queste conversazioni a cui intervenivo spesso, mi furono di grande aiuto per la prima formazione artistica. La sera, all'Accademia frequentavo i corsi della “Scuola libera del nudo”. Conseguii il diploma nel 1939 con risultati ottimi in tutte le prove e frequentavo il biennio di architettura per volere dello scultore Campini che mi aveva in grande stima. Con la frequenza nello studio del pittore Guarino si svela in me l’amore per la pittura. E nacque così Enzo Santostefano pittore, contro il parere dello scultore Campini che vedeva in me principalmente lo scultore. Dopo il diploma, me ne ritornai a Mazara e continuai il mio solito lavoro: dirigere il laboratorio di mio padre, fare della scultura in legno o in marmo e la sera disegnare, sempre disegnare. Durante la guerra dal 1943 al 1945 il mio studio veniva frequentato da artisti in armi: lo scultore Mario Montemurro, lo scultore Giovanni Rosone, lo scultore Monteleone, lo scultore Venditti, il pittore Ranucci e Andrea Cascella.
"Anfora con aragosta",1974,olio, cm. 50x60
Finita la guerra,
frequento spesso l’Accademia di Belle arti di Palermo, dove conosco il pittore
Pippo Rizzo, ospitato nello studio di Rosone e Dixit. Nel 1946 visitai a
Bologna lo studio di Giorgio Morandi. Nel piccolo salotto di casa sua ho visto
la piccolissima incisione del Maestro Rembrandt, tanto cara al pittore
bolognese ( donna nera coricata). Come in tutti i dopoguerra continuava la
crisi di lavoro e quindi la vita in famiglia era un po’ stentata. Avendo io lo
studio in via Roma, ricevevo spesso il Preside del Liceo classico, prof.
Quattrocchi, il quale entusiasta dei miei lavori di scultura e pittura, un
giorno mi consigliò di darmi all'insegnamento d’arte nel ginnasio di Mazara da
lui diretto. Siamo nel 1940/41, primo anno
di insegnamento nella prima delle tre classi del ginnasio che poi con la
riforma furono chiamate “scuola media”. Come insegnante mi trovai bene. Lo
stesso Preside elogiava le mie lezioni e la sua stima per me aumentò. La prima
mensilità di stipendio portò nella mia famiglia una ventata di benessere.
Ricordo che mentre io a scuola
guadagnavo 40 lire al giorno, un ottimo operaio nel laboratorio di mio padre
veniva pagato a lire 6 al giorno. E’ chiaro che con una mia giornata lavorativa
pagavo quasi sette giornate di operai. Così la crisi dei pagamenti fu quasi risolta.
La scuola mi impegnava solo per la prima mezza giornata, il pomeriggio ero
tutto per il mio solito lavoro. Tornavo più volentieri al mio cavalletto e
perfezionavo continuamente la mia pennellata, il tono della composizione e
anche la costruzione grafica. Nei periodi di vacanze scolastiche correvo nelle
città d’Italia, dando la preferenza ai luoghi dove l’arte del passato è più
abbondante e visitabile: Venezia, Firenze, Roma etc.
Fu proprio a Roma
nel 1945 che feci visita al Direttore dell’Accademia di Belle Arti, Pippo Rizzo. Io, nonostante i
miei 38 anni, mi presentavo molto più giovane, vestivo alla moda e con uno spirito adatto a frequentare la
cosiddetta la società “bene” ( la vedova Marinetti e famiglia). Con il
desiderio prepotente di uscire dal mio
ambiente nativo di artigianato, mi legai fortemente d’amicizia al pittore Pippo
Rizzo, pittore al servizio dell’arte. Fu allora che nel suo studio di Roma,
comprai una sua opera “Fiori in toni
caldi” per lire 5.000, per quei tempi cifra alta. Le lunghe conversazioni nel suo studio e la
fiducia che lui aveva per me, fecero s’ che un giorno mi propose di allestire
una collettiva d’arte a Mazara insieme con gli amici pittori Dixit e Rosone.
Presi l’impegno e ritornando a Mazara, dato che insegnavo nel seminario
Vescovile, mi fu facile ottenere i locali.
E nacque la prima collettiva di vari artisti nella mia città: era il
1946. In seguito organizzammo la
collettiva del 47 e del 48 con grande successo di critica e di vendita. I miei
esordi nell’arte risalgono agli anni precedenti la guerra ma la mia prima
importante affermazione è l’invito alla Quadriennale Romana del 1948, nel
1950 con mia grande soddisfazione espongo
alla XXV Biennale di Venezia. Dal 1950
ad oggi è stato un continuo cammino nel mondo dell’arte costellato di
riconoscimenti e premi vari. Per costruire la mia carriera mi sono sottoposto a
sacrifici durissimi e ad una ferrea disciplina. L’esperienza di tanti mestieri
svolti con amore e serietà mi portò a creare una “scuola d’Arte e mestieri”
riconosciuta dal Comune e frequentata da un buon numero di artigiani mazaresi e
che io diressi dal 1946 al 1955, purtroppo dovetti abbandonare proprio
quando si avviava ad essere
riconosciuta dalla regione. Il motivo è chiaro: all'orizzonte si profilavano i pretendenti! Negli anni maturi ho incontrato
la mia compagna che ha confortato e retto il mio dire artistico; una compagna
che mi ha sostenuto ed incoraggiato, dipingendo anche lei, mostrando talento e
vera capacità artistica. Adesso lascio a voi, miei cari posteri, il piacere di
riscoprirmi. Di Enzo Santostefano possiamo chiaramente dire di essere entrato
nelle pagine del libro della storia mazarese.
Immagini relative alla Cerimonia tenuta sabato 28 aprile 2018, presso la Lega Navale di Mazara del Vallo, dove è avvenuta la presentazione al pubblico del busto di bronzo realizzato dall’artista scomparso Enzo Santostefano che raffigura monsignor Giovan Battista Quinci. L’opera e stata collocata all'interno dell’Archivio Diocesano(al quale la figlia di Santostefano l’ha donata) su un piedistallo di ferro e marmo donato dalla Lega Navale e su progetto dell’architetto Mario Tumbiolo. La consegna del busto in bronzo e avvenuta proprio nel 140°anniversario della nascita del grande storico della Chiesa mazarese Giovanni Battista Quinci, nato nel 1877 e morto nel 1956.
Immagini relative alla Cerimonia tenuta sabato 28 aprile 2018, presso la Lega Navale di Mazara del Vallo, dove è avvenuta la presentazione al pubblico del busto di bronzo realizzato dall’artista scomparso Enzo Santostefano che raffigura monsignor Giovan Battista Quinci. L’opera e stata collocata all'interno dell’Archivio Diocesano(al quale la figlia di Santostefano l’ha donata) su un piedistallo di ferro e marmo donato dalla Lega Navale e su progetto dell’architetto Mario Tumbiolo. La consegna del busto in bronzo e avvenuta proprio nel 140°anniversario della nascita del grande storico della Chiesa mazarese Giovanni Battista Quinci, nato nel 1877 e morto nel 1956.
Testimonianze:
Giornale di
Sicilia del 6 agosto 1941 di Leonardo Bonanno
La tavolozza del
Santostefano non è parca di colori, non scarseggia di toni e se talvolta il
dettaglio ha bisogno di maggiore finitezza, pure l’ideale di questo artista di
creare un suo motivo ed una sua vita in
ogni sua aspirazione ci ha lasciato nella sicura certezza che la buona via è
stata tracciata e sarà percorsa fino in fondo col crescendo sperato dei
successi.
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