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giovedì 18 aprile 2019

Un grande Vescovo in pieno medioevo


GIOVANNI  ROSA
( 1415-1448)





Il XIV secolo aveva visto sulla cattedra della diocesi normanna di Mazara del Vallo, istituita dal conte Ruggero nell’anno  del signore 1093, un susseguirsi di vescovi domenicani: Gotofredo de’ Roncioni  (1305-1315), Pellegrino di Patti (0317-1325), Pietro Rogano (1326-1330),  Ugone da Vich (1335-1342) che per oltre un quarantennio guidarono questa Chiesa: periodo di stabilizzazione dopo la crisi determinatasi durante e dopo la guerra del Vespro. Nella storia dell’Ordine dei Predicatori (domenicani) il secolo XIV è considerato il secolo aureo nel quale i Domenicani riescono ad affermarsi a tutti i livelli: apprezzati per la loro cultura dalle autorità civili e religiose, riescono ad imporsi nella cultura del tempo occupando le prestigiose cattedre delle principali università d’Europa; estendono la loro attività pastorale inserendosi in tutti i livelli della gerarchia come veri difensori dell’ortodossia cattolica. Ad essi i re e i pontefici affidarono l’istituto dell’Inquisizione e i Padri Domenicani furono prescelti in molti paesi come confessori delle teste coronate: erano d’altronde culturalmente gli uomini più qualificati. “Libri sunt arma nostrae militiae”: lo studio era il primo dovere del frate domenicano: Lettori e Studenti, Docenti e Novizi venivano esentati da impegni interni ed esterni per cui ogni altra regola diventava secondaria. Essi non tenevano eccessivo conto della povertà individuale e si moltiplicarono conventi e studentati. A Palermo nel 1311 dall’Ordine furono accettati immobili, denari, legati testamentari mentre si diffondevano i conventi in tutta la Sicilia; nel 1313 a Trapani sorse il convento di san Domenico, il primo della Diocesi, grazie anche a Federico II d’Aragona ( i domenicani erano i suoi cappellani di corte) che nel 1319 concesse 4 onze al mese usque ad nostrum beneplacitum per la costruzione del regio convento. L’avvento alla cattedra di Pietro di Innocenzo VI (1352-1362) e  successivamente  di Urbano V (1362-1370), l’uno e l’altro, animati di buona volontà nel volere riformare la Chiesa, scandirono i passi decisivi per un cambiamento radicale: gli ecclesiastici che erano accorsi in massa ad Avignone per ottenere benedici, dovettero abbandonare la corte  pontificia se non volevano incorrere nella scomunica. Laddove papa Innocenzo VI aveva riservato a sé  una eventuale provvisione della Chiesa di Mazara, Urbano V, divenuto Pontefice,  nell’aprile del 1363 trasferì subito il Vescovo di  Bosa in Sardegna, il minorita Ruggero di Piazza, nella sede di Mazara, come risulta dalla bolla di nomina,  dandone immediata comunicazione all’arcivescovo di Palermo, mentre a vescovo di Bosa, rimasta vacante, fu chiamato Raynerius, canonico del Capitolo di Mazara. Morto Ruggero di Piazza, la sede di Mazara passò al vescovo  Francesco, un altro frate minore. Nel 1391 il re aveva presentato, come Vescovo per la sede di Mazara, il ciantro della Cappella Palatina, Francesco Vitalis, che guidò questa Chiesa sino al 1413; ma, dopo due anni di sede vacante, per la cattedra mazarese fu scelto, ancora una volta, un altro frate francescano, Giovanni Rosa, nativo di Randazzo, del vicino convento di Caltagirone, Maestro in Sacra Teologia, Ministro Provinciale dei frati Minori di Sicilia: ai padri domenicani erano subentrati ormai i frati francescani. Il nuovo vescovo, Giovanni (La) Rosa, proveniente da quel Gerardo Rosa, potente cavaliere bresciano, come attesta il Mugnos, che sotto Federico II di era stabilito a Siracusa e da questa città  la famiglia si era diramata in varie città dell’Isola, si dimostrò subito un religioso illustre sia per la pietà che per la scienza teologica e canonica; alle virtù proprie di un Vescovo saggio, univa una sperimentata pratica di governo della  famiglia serafica dell’Isola. Fu eletto da papa Benedetto XIII con la bolla Apostolatus   officium datata a Valenza il 14 giugno 1415, all’inizio del regno di Ferdinando I di Castiglia, detto il Giusto. La sua elezione coincise con quel periodo assai triste chiamato da Varnerio “pessimo e sottilissimo”: da Urbano VI a Martino V, la Chiesa visse un arco di tempo di ben 40 anni durante il quale  uomini anche dottissimi e di preclare  virtù non riuscivano a distinguere chi era il vero Papa; uno scisma terribile che si concluse con il concilio di Costanza e pose fine alla presenza di ben tre papi che si scomunicavano a vicenda. Benedetto XIII, dopo aver protestato per l’elezione di Giovanni XXIII, il papa pisano certamente antipapa, si era ritirato nel castello reale di Barcellona e, a causa della peste che infuriava, non volle più fuggire in altre città. Il papa romano Gregorio XII, vistosi scalzato da Giovanni XXIII che aveva raggiunto Roma con le armi di Luigi II d’Angiò, si era nel frattempo rifugiato a Cesena sotto la protezione di Carlo Malatesta, signore di Rimini. Giovanni XXIII, raggiunta Roma, pensò di indire un Concilio ecumenico  da tenersi nella stessa Roma il 1° aprile 1412, concilio   che rimase quasi deserto. L’imperatore Sigismondo intervenne finalmente con la sua autorità di imperatore cristiano e, fissata Costanza, città imperiale, come sede per il futuro concilio, costrinse Giovanni XXIII a indire il nuovo Concilio e invitò tutta la cristianità e soprattutto i due papi Benedetto e Gregorio a partecipare, ad offrire le loro dimissioni per l’elezione di un nuovo Pontefice e superare lo scisma che tanto affliggeva la Chiesa. Il Concilio fu indetto per il 1° novembre 1414  (cfr. C. Marcora, Storia dei Papi, III, Milano, 1963). In questo contesto storico si inserisce l’elezione di Giovanni Rosa a Vescovo di 
Mazara:  Il Pirri e il Mongitore con tutti gli eruditi mazaresi dicono il Vescovo Giovanni Rosa eletto da Gregorio XII (cfr. R. Pirri, Sicilia sacra, II, f.848); altri storici della Chiesa molto accreditati lo dicono eletto da Benedetto XIII. I primi atti del suo governo riguardano il ricorso presentato nel 1416 al vicerè Giovanni de Pegnafiel contro i Giurati di Trapani che ricusavano di pagare alla Chiesa di Mazara   la quarta porzione canonica sui pii legati del convento dei frati Carmelitani della SS. Annunziata extra moenia. Il ricorso fu favorevolmente accolto dal viceré e un posteriore rescritto pontificio ratificò quanto stabilito dall’autorità civile (cfr, Libro dei privilegi della Chiesa di Mazara I, f. 100). Il Vescovo Rosa amò la sua Chiesa e la difese a viso aperto davanti all’autorità regia quando nel 1418 la città fu data in pegno a Bernardo Cabrera per la somma di 20.000 fiorini d’oro. Trascorsero ben 27 lunghi anni perché la città potesse finalmente liberarsi dal giogo di quella odiata e prepotente famiglia feudale. Tutto ciò fu possibile grazie all’intervento personale dello stesso Vescovo e per il generoso riscatto versato in buona parte dallo stesso a Mosen Berenguer Miquel, procuratore del conte Cabrera. Era il 31 agosto 1445. Nella città di Mazara  si rese oltremodo benemerito con l’istituzione di un ospedale per accogliere i pellegrini in viaggio verso i luoghi sacri (Palestina,  Roma, la città degli apostoli Pietro e Paolo, o san Giacomo di Compostela) e i poveri residenti in città che necessitavano di accoglienza e di speciali cure. Questo primo vecchio ospedale fu eretto  nel quartiere di Torre Bianca, accanto alla chiesa di Sant’Egidio (il vecchio), nella vicinanze della chiesa di san Basilio,   e qui rimase sino al 1596 quando un altro Vescovo, Luciano Rosso o De Rubeis, fondò il nuovo ospedale. I Vescovi annualmente versavano un contributo in favore dell’istituzione. Questo antico ospedale fu retto dagli antoniani, monaci eremiti che si rifacevano alla Regola di sant’Antonio abate, per assistere i pellegrini e soccorrere i poveri e gli ammalati. Di esso oggi rimangono solo le vestigia: Piazza san Basilio, via sant’Antoninello; mentre, come scrive il Pugliese nella Selinunte rediviva, dell’ospedale era ancora visibile ai suoi tempi “un grande stemma con la croce Costantiniana in pietra  rimpetto le mura orientali della città”. L’Ordine degli antoniani si era organizzato in Francia nell’età normanna e i monaci indossavano un vestito nero con una T azzurra sul mantello e sul lato sinistro della veste. Agli antoniani era stato affidato a Roma l’ospedale mobile della Curia romana mentre ospedali antoniani erano diffusi nel salernitano e vicino ai monasteri benedettini. Il Vescovo si adoperò con sagacia perché a Marsala sorgesse il convento domenicano “Santo Spirito” nell’ambito del territorio del monastero benedettino di san Pietro. Con atto notarile presso il notaio Ambrosio d’Alessandro il 14 dicembre 1419 la città vide i Padri Predicatori inserirsi in una proficua attività pastorale; fu il primo convento sorto nella diocesi dopo la cessazione dello scisma d’occidente e divenne presto un cenacolo culturale e spirituale d’avanguardia. Era abbadessa Pina de’ Giordano e fu stipulato  un contratto senz’altro atipico perché non  si trattò né di vendita, né di concessione a enfiteusi, né tanto meno di locazione. Il vescovo Giovanni Rosa con una sua lettera dispose che i vecchi locali venissero ceduti sic et simpliciter ai domenicani e le brave monache, tenendo l’immagine della divinità d’innanzi agli occhi e per la salute delle loro anime “in remedium animarum earum”, ubbidirono all’ordine ed acconsentirono a tale cessione. La cessione riguardava la chiesa con le abitazioni annesse, il cortile, il pozzo e la pila. I locali vennero subito riadattati per il nuovo monastero domenicano e il Provinciale dei Padri Domenicani, a semplice titolo di rimborso delle spese sostenute nei secoli dalle monache, si impegnò a pagare a fine agosto once d’oro cinque in contanti.  Nel 1421 a Mazara, essendo venuti meno i benedettini del monastero dei SS. Nicolò e Giovanni, detto comunemente san Nicolò lo regale, con il consenso del Capitolo, eresse il beneficio in canonicato della Chiesa mazarese. Fu sua precipua premura curare inoltre la vita dei tre monasteri benedettini della città e il 1° luglio 1429, su richiesta della monache di san Michele, per compromissum, nominò abbadessa del monastero Suor Margherita Cataldo, sorella di Antonio Cataldo, canonico, arcidiacono e Vicario Generale, come successore della defunta suor Agata Venturino. Autorizzò nel 1431 i confrati disciplinanti di san Bartolomeo o potersi costruire la nuova chiesa nel quartiere di San Giovanni per gli atti di disciplina, per le cerimonie sacre e la sepoltura dei confrati  con l’obbligo di pagare ogni anno e in perpetuo la somma di un tarì alla Cattedrale, nel giorno della “chiamata”, il 6 agosto, festa della Trasfigurazione di Gesù. Fu sua premura coltivare e proteggere la spiritualità degli istituti religiosi e laicali della Diocesi ed incrementare la nascita di nuovi conventi. Durante il suo pontificato accolse con entusiasmo il beato Matteo di Agrigento e nel 1438 sorse a Mazara, fuori dell’abitato, lungo il fiume Mazaro il convento dei Frati Minori Osservanti ad opera di Lucchino Fiorito d’Asti, procuratore generale dell’Ordine. Successivamente il convento sarà ingrandito ad opera  di Enrico Giunta, capitano e governatore di Mazara, e nel 1455 verrà ingrandita la chiesa e ad essa furono aggiunti  nuovi fabbricati; fu aggregato al convento una distesa riserva di cipressi ed alberi di ogni sorta  per offrire  agli ospiti una vera oasi di spiritualità, di preghiera e di pace. I Frati osservanti promossero nella città e nella diocesi la devozione al SS. Crocifisso e il culto alla Vergine con il titolo di “Santa Maria di Gesù”. Su incarico di papa Eugenio IV, unì alla mensa arcivescovile di Monreale il ricco priorato di sant’Anna de Scalis, dove era venuta meno l’osservanza benedettina,  con una entrata annua di 4.000 fiorini da destinare per opere sociali.  Salvatore Simone, arcidiacono della Chiesa di Valenza e vice-legato apostolico in Sicilia, il 1° giugno 1433 aveva convocato a Palermo un concilio, al quale erano intervenuti tutti i Prelati del Regno per promuovere il culto divino e la buona disciplina ecclesiastica. Un sinodo con il carattere  di vero concilio nazionale al quale presenziarono tutti i Prelati dell’Isola; il vescovo di Mazara, Giovanni Rosa, rispose favorevolmente e con solerzia all’appello del vice-delegato apostolico che aveva ordinato l’esecuzione degli atti conciliari e un contributo caritativo triennale in favore della Santa Sede “secundum verum valorem Episcopatus et beneficiorum uniuscujusque”. Il Vescovo fece compilare il primo rivelo di tutti i benefici della diocesi di Mazara relativi all’anno 1430, VIII indizione, che, ancora oggi rimane conservato nelle Scritture attinenti la Mensa vescovile, vol. VI, da f. 316 a f. 347, e ci permette di conoscere la realtà di questa Chiesa particolare in detto anno. Rimasto vuoto il beneficio di Santa Maria delle Giummare del suo titolare, quantunque il Vescovo era assente per motivi pastorali, il 3 gennaio 1444 si premurò di informare il suo Vicario Generale Giovanni Melluso per sostituirlo nel conferimento del beneficio in favore di frate Giovanni Adamo “per candelabrum et clavium ipsius abbatiae assegnationem” deludendo le speranze di chi aveva pensato di offrire il beneficio ad un fratello laico. Esercitò con grande umanità la sua giurisdizione sugli ebrei della diocesi e di Mazara in particolare, che trattò sempre da veri cittadini e non da stranieri. Le costituzioni relative alla comunità giudaica di Mazara, emesse nel 1421, non si differenziarono se non per la tassa in oro che gli ebrei erano costretti a versare al fisco regio. Il Vescovo a Mazara amministrava la giustizia; le sentenze, trascritte su tavole, venivano esposte nella Cattedrale; il Vescovo Giovanni Rosa nelle sentenze seguì sempre quella indulgenza ecclesiastica, tanto congeniale alla sua mite anima francescana, e quella illuminata prassi dell’antica Curia mazarese. Uomo di profonda cultura teologica, il Vescovo visse nel periodo burrascoso del grande scisma d’occidente ed è superfluo rilevare la sua presenza al concilio di Siena o a Firenze se tra i codici donati dal cardinale Giovanni Bessarione, successo poi al Rosa nella guida della Chiesa di Mazara (1449-1458), alla Biblioteca Marciana di Venezia alcuni appartenevano certamente al Vescovo Rosa, come si può ricavare dalle note apposte, come,  a modo di esempio, ai codici Z 145, Z 146 e c. 279, dove si legge: “ iste liber est ad usum Ioannis de Calathagirono ordinis Minorum sacre theologie magistri et episcopi”, mentre nel c. 96 del Marc.Lat. 106 si può leggere la dichiarazione di acquisto: “ego frater Ioannes de Calthagerono provincie Sicilie emi istam primam partem operis  reverendi magistri Petri de Camdia a frate Nicolao Bertuldi de Senis pretio sex ducatorum boni ponderis quo eram in dicto conventu Senarum. Anno Domini MCCCXC, die 18 iunii. Ego frater Nicolaus supradictus vendidi istum librum predicto fratri Iohanni pro predicto pretio. In cuius rei testimonium scrixi manu propria ad eius cautelam”. Per la Chiesa di Mazara non essere oggi in possesso di tali codici e di tanti altri accuratamente conservati a Venezia è certamente una incolmabile lacuna. Unico ricordo assai prezioso dell’umile frate, grande vescovo di Mazara, rimane una grande croce d’argento che si ispira, come annota M. Accascina, alle Cruces fiordalisadas della Spagna. La Croce, conservata nel Museo diocesano di Mazara riprende la tipologia delle Croci di Johannes de Cioni, cui dovette ispirarsi l’argentiere, forse su indicazione del committente (cfr. M.C. Di Natale, Il Tesoro dei Vescovi nel Museo diocesano di Mazara, pag. 24 ess., Marsala 1993). Nella Croce sono cesellate le sue armi gentilizie: una rosa (cfr. Accascina M., La croce di Mazara, Estr. da Dedalo, an. XI, fasc. XV, agosto 1931; Scuderi V. Arte medievale nel trapanese; Club di Trapani 1978, pag. 113, n. 74). In questo tempo vissero a Mazara uomini di elevate doti culturalI: 1) Bartolomeo Sanclemente, dotto trapanese che fu anche canonico del Capitolo, arcidiacono e Ciantro della Cattedrale; 2) Girolamo Rosa, figlio del fratello del Vescovo, che ricoprì importanti cariche e fruì di regi benefici; 3) Giacomo Burgio, decano della Cattedrale, valente giurisperito e forbito oratore, cognato di quel Pietro de Bove che nel 1430 fondò nella cattedrale la cappella dei santi Pietro e Paolo con lo ius patronati della famiglia Burgio; 4) Frate Giovanni Centorbi, dell’Ordine di san Basilio, che fu abbate di santa Maria delle giummare. Compose la storia dell’Ordine dei basiliani e una cronaca della città di Mazara, opere manoscritte andate perdute e delle quali fa menzione Gian Giacomo Adria nell’opera Topographia inclitae Civitatis Mazarae. Ebbe come Vicari Generali: 1) Antonio Cataldo, canonico del Capitolo ed arcidiacono; 2) Giovanni Milluso, canonico della Cattedrale, beneficiale di san Pietro in Cantarro e, poi, arciprete di Trapani. Le armi araldiche del vescovo Giovanni Rosa: d’azzurro con fascia d’oro al centro accompagnata da tre rose dello stesso poste due in capo ed una in punta.
 Il vescovo Giovanni Rosa morì in sede nel 1448, dopo 33 anni di governo di questa Chiesa di Mazara e fu sepolto nella cripta della Basilica Cattedrale con i suoi predecessori (cfr. R. Pirri, Sicilia Sacra, II, f.849; P. Pisciotta, Croce e Campanile, Mazarien Ecclesia, a cura dell’Istituto per la storia della Chiesa mazarese, pag.75-76, anno 2009).
Arma araldica: D’azzurro con una banda d’oro caricata da tre rose al naturale.
Bibliografia:  Pirri R., Sicilia Sacra, II, f. 848, XXVI Fr. Joannes Rosa de Calatajerone; Palermo 1733; Marcora C., Storia dei Papi, III, Milano; Napoli F. Storia della città di Mazara, Pag. 268, Doc. VIII, Ristampa 1980; Rizzo-Marino, Gli ebrei di Mazara nei secoli XIV e XV, in  Atti della Società per la storia patria, 1971; Quinci G.B. Monografia della cattedrale etc. Marsala 1916, pag. 96; Accascina M., La Croce di Mazara – Estratto da Dedalo, anno XI, fasc. XV, agosto 1931; Di Natale M.C., Il Tesoro dei Vescovi del Museo diocesano di Mazara del vallo, Palermo 1993; Archivio storico Diocesano, Libro dei Privilegi, ms, vol. I, f. 100; Rivelo di tutti i benefici di questa Diocesi di Mazara anno 1430, Mensa vescovile vol. VI; Pisciotta P., Croce e Campanile – Mazarien Ecclesia, a cura dell’Istituto storia della Chiesa mazarese, pag. 75 e ss., Campobello di Mazara 2009.
                                                                                  Sac. don Pietro Pisciotta

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