GIOVANNI ROSA
( 1415-1448)
Il XIV secolo aveva visto sulla cattedra della diocesi
normanna di Mazara del Vallo, istituita dal conte Ruggero nell’anno del signore 1093, un susseguirsi di vescovi
domenicani: Gotofredo de’ Roncioni
(1305-1315), Pellegrino di Patti (0317-1325), Pietro Rogano
(1326-1330), Ugone da Vich (1335-1342)
che per oltre un quarantennio guidarono questa Chiesa: periodo di stabilizzazione
dopo la crisi determinatasi durante e dopo la guerra del Vespro. Nella storia
dell’Ordine dei Predicatori (domenicani) il secolo XIV è considerato il secolo
aureo nel quale i Domenicani riescono ad affermarsi a tutti i livelli:
apprezzati per la loro cultura dalle autorità civili e religiose, riescono ad
imporsi nella cultura del tempo occupando le prestigiose cattedre delle
principali università d’Europa; estendono la loro attività pastorale
inserendosi in tutti i livelli della gerarchia come veri difensori
dell’ortodossia cattolica. Ad essi i re e i pontefici affidarono l’istituto
dell’Inquisizione e i Padri Domenicani furono prescelti in molti paesi come
confessori delle teste coronate: erano d’altronde culturalmente gli uomini più
qualificati. “Libri sunt arma nostrae
militiae”: lo studio era il primo dovere del frate domenicano: Lettori e
Studenti, Docenti e Novizi venivano esentati da impegni interni ed esterni per
cui ogni altra regola diventava secondaria. Essi non tenevano eccessivo conto
della povertà individuale e si moltiplicarono conventi e studentati. A Palermo
nel 1311 dall’Ordine furono accettati immobili, denari, legati testamentari
mentre si diffondevano i conventi in tutta la Sicilia; nel 1313 a Trapani sorse
il convento di san Domenico, il primo della Diocesi, grazie anche a Federico II
d’Aragona ( i domenicani erano i suoi cappellani di corte) che nel 1319
concesse 4 onze al mese usque ad nostrum
beneplacitum per la costruzione del regio convento. L’avvento alla cattedra
di Pietro di Innocenzo VI (1352-1362) e successivamente
di Urbano V (1362-1370), l’uno e l’altro,
animati di buona volontà nel volere riformare la Chiesa, scandirono i passi
decisivi per un cambiamento radicale: gli ecclesiastici che erano accorsi in
massa ad Avignone per ottenere benedici, dovettero abbandonare la corte pontificia se non volevano incorrere nella
scomunica. Laddove papa Innocenzo VI aveva riservato a sé una eventuale provvisione della Chiesa di
Mazara, Urbano V, divenuto Pontefice, nell’aprile del 1363 trasferì subito il
Vescovo di Bosa in Sardegna, il minorita
Ruggero di Piazza, nella sede di Mazara, come risulta dalla bolla di nomina, dandone immediata comunicazione
all’arcivescovo di Palermo, mentre a vescovo di Bosa, rimasta vacante, fu chiamato
Raynerius, canonico del Capitolo di Mazara. Morto Ruggero di Piazza, la sede di
Mazara passò al vescovo Francesco, un
altro frate minore. Nel 1391 il re aveva presentato, come Vescovo per la sede
di Mazara, il ciantro della Cappella Palatina, Francesco Vitalis, che guidò
questa Chiesa sino al 1413; ma, dopo due anni di sede vacante, per la cattedra
mazarese fu scelto, ancora una volta, un altro frate francescano, Giovanni
Rosa, nativo di Randazzo, del vicino convento di Caltagirone, Maestro in Sacra Teologia,
Ministro Provinciale dei frati Minori di Sicilia: ai padri domenicani erano subentrati
ormai i frati francescani. Il nuovo vescovo, Giovanni (La) Rosa, proveniente da
quel Gerardo Rosa, potente cavaliere bresciano, come attesta il Mugnos, che
sotto Federico II di era stabilito a Siracusa e da questa città la famiglia si era diramata in varie città
dell’Isola, si dimostrò subito un religioso illustre sia per la pietà che per
la scienza teologica e canonica; alle virtù proprie di un Vescovo saggio, univa
una sperimentata pratica di governo della
famiglia serafica dell’Isola. Fu eletto da papa Benedetto XIII con la
bolla Apostolatus officium datata a Valenza il 14 giugno 1415,
all’inizio del regno di Ferdinando I di Castiglia, detto il Giusto. La sua
elezione coincise con quel periodo assai triste chiamato da Varnerio “pessimo e
sottilissimo”: da Urbano VI a Martino V, la Chiesa visse un arco di tempo di
ben 40 anni durante il quale uomini
anche dottissimi e di preclare virtù non
riuscivano a distinguere chi era il vero Papa; uno scisma terribile che si
concluse con il concilio di Costanza e pose fine alla presenza di ben tre papi
che si scomunicavano a vicenda. Benedetto XIII, dopo aver protestato per
l’elezione di Giovanni XXIII, il papa pisano certamente antipapa, si era
ritirato nel castello reale di Barcellona e, a causa della peste che infuriava,
non volle più fuggire in altre città. Il papa romano Gregorio XII, vistosi
scalzato da Giovanni XXIII che aveva raggiunto Roma con le armi di Luigi II
d’Angiò, si era nel frattempo rifugiato a Cesena sotto la protezione di Carlo
Malatesta, signore di Rimini. Giovanni XXIII, raggiunta Roma, pensò di indire
un Concilio ecumenico da tenersi nella
stessa Roma il 1° aprile 1412, concilio
che rimase quasi deserto. L’imperatore Sigismondo intervenne finalmente con
la sua autorità di imperatore cristiano e, fissata Costanza, città imperiale,
come sede per il futuro concilio, costrinse Giovanni XXIII a indire il nuovo
Concilio e invitò tutta la cristianità e soprattutto i due papi Benedetto e
Gregorio a partecipare, ad offrire le loro dimissioni per l’elezione di un
nuovo Pontefice e superare lo scisma che tanto affliggeva la Chiesa. Il
Concilio fu indetto per il 1° novembre 1414
(cfr. C. Marcora, Storia dei Papi,
III, Milano, 1963). In questo contesto storico si inserisce l’elezione di
Giovanni Rosa a Vescovo di
Mazara: Il
Pirri e il Mongitore con tutti gli eruditi mazaresi dicono il Vescovo Giovanni
Rosa eletto da Gregorio XII (cfr. R. Pirri, Sicilia
sacra, II, f.848); altri storici della Chiesa molto accreditati lo dicono
eletto da Benedetto XIII. I primi atti del suo governo riguardano il ricorso
presentato nel 1416 al vicerè Giovanni de Pegnafiel contro i Giurati di Trapani
che ricusavano di pagare alla Chiesa di Mazara la quarta porzione canonica sui pii legati
del convento dei frati Carmelitani della SS. Annunziata extra moenia. Il ricorso
fu favorevolmente accolto dal viceré e un posteriore rescritto pontificio
ratificò quanto stabilito dall’autorità civile (cfr, Libro dei privilegi della Chiesa di Mazara I, f. 100). Il Vescovo
Rosa amò la sua Chiesa e la difese a viso aperto davanti all’autorità regia
quando nel 1418 la città fu data in pegno a Bernardo Cabrera per la somma di
20.000 fiorini d’oro. Trascorsero ben 27 lunghi anni perché la città potesse
finalmente liberarsi dal giogo di quella odiata e prepotente famiglia feudale.
Tutto ciò fu possibile grazie all’intervento personale dello stesso Vescovo e
per il generoso riscatto versato in buona parte dallo stesso a Mosen Berenguer
Miquel, procuratore del conte Cabrera. Era il 31 agosto 1445. Nella città di
Mazara si rese oltremodo benemerito con
l’istituzione di un ospedale per accogliere i pellegrini in viaggio verso i
luoghi sacri (Palestina, Roma, la città
degli apostoli Pietro e Paolo, o san Giacomo di Compostela) e i poveri
residenti in città che necessitavano di accoglienza e di speciali cure. Questo
primo vecchio ospedale fu eretto nel
quartiere di Torre Bianca, accanto alla chiesa di Sant’Egidio (il vecchio),
nella vicinanze della chiesa di san Basilio,
e qui rimase sino al 1596 quando
un altro Vescovo, Luciano Rosso o De Rubeis, fondò il nuovo ospedale. I Vescovi
annualmente versavano un contributo in favore dell’istituzione. Questo antico ospedale
fu retto dagli antoniani, monaci eremiti che si rifacevano alla Regola di
sant’Antonio abate, per assistere i pellegrini e soccorrere i poveri e gli
ammalati. Di esso oggi rimangono solo le vestigia: Piazza san Basilio, via
sant’Antoninello; mentre, come scrive il Pugliese nella Selinunte rediviva, dell’ospedale era ancora visibile ai suoi tempi
“un grande stemma con la croce Costantiniana in pietra rimpetto le mura orientali della città”.
L’Ordine degli antoniani si era organizzato in Francia nell’età normanna e i
monaci indossavano un vestito nero con una T azzurra sul mantello e sul lato
sinistro della veste. Agli antoniani era stato affidato a Roma l’ospedale
mobile della Curia romana mentre ospedali antoniani erano diffusi nel
salernitano e vicino ai monasteri benedettini. Il Vescovo si adoperò con
sagacia perché a Marsala sorgesse il convento domenicano “Santo Spirito”
nell’ambito del territorio del monastero benedettino di san Pietro. Con atto
notarile presso il notaio Ambrosio d’Alessandro il 14 dicembre 1419 la città
vide i Padri Predicatori inserirsi in una proficua attività pastorale; fu il
primo convento sorto nella diocesi dopo la cessazione dello scisma d’occidente
e divenne presto un cenacolo culturale e spirituale d’avanguardia. Era
abbadessa Pina de’ Giordano e fu stipulato
un contratto senz’altro atipico perché non si trattò né di vendita, né di concessione a
enfiteusi, né tanto meno di locazione. Il vescovo Giovanni Rosa con una sua lettera
dispose che i vecchi locali venissero ceduti sic et simpliciter ai domenicani e le brave monache, tenendo
l’immagine della divinità d’innanzi agli occhi e per la salute delle loro anime
“in remedium animarum earum”, ubbidirono
all’ordine ed acconsentirono a tale cessione. La cessione riguardava la chiesa
con le abitazioni annesse, il cortile, il pozzo e la pila. I locali vennero
subito riadattati per il nuovo monastero domenicano e il Provinciale dei Padri
Domenicani, a semplice titolo di rimborso delle spese sostenute nei secoli
dalle monache, si impegnò a pagare a fine agosto once d’oro cinque in contanti.
Nel 1421 a Mazara, essendo venuti meno i
benedettini del monastero dei SS. Nicolò e Giovanni, detto comunemente san
Nicolò lo regale, con il consenso del Capitolo, eresse il beneficio in
canonicato della Chiesa mazarese. Fu sua precipua premura curare inoltre la
vita dei tre monasteri benedettini della città e il 1° luglio 1429, su
richiesta della monache di san Michele, per
compromissum, nominò abbadessa del monastero Suor Margherita Cataldo,
sorella di Antonio Cataldo, canonico, arcidiacono e Vicario Generale, come
successore della defunta suor Agata Venturino. Autorizzò nel 1431 i confrati
disciplinanti di san Bartolomeo o potersi costruire la nuova chiesa nel
quartiere di San Giovanni per gli atti di disciplina, per le cerimonie sacre e
la sepoltura dei confrati con l’obbligo
di pagare ogni anno e in perpetuo la somma di un tarì alla Cattedrale, nel
giorno della “chiamata”, il 6 agosto, festa della Trasfigurazione di Gesù. Fu
sua premura coltivare e proteggere la spiritualità degli istituti religiosi e
laicali della Diocesi ed incrementare la nascita di nuovi conventi. Durante il
suo pontificato accolse con entusiasmo il beato Matteo di Agrigento e nel 1438
sorse a Mazara, fuori dell’abitato, lungo il fiume Mazaro il convento dei Frati
Minori Osservanti ad opera di Lucchino Fiorito d’Asti, procuratore generale
dell’Ordine. Successivamente il convento sarà ingrandito ad opera di Enrico Giunta, capitano e governatore di Mazara,
e nel 1455 verrà ingrandita la chiesa e ad essa furono aggiunti nuovi fabbricati; fu aggregato al convento
una distesa riserva di cipressi ed alberi di ogni sorta per offrire
agli ospiti una vera oasi di spiritualità, di preghiera e di pace. I
Frati osservanti promossero nella città e nella diocesi la devozione al SS.
Crocifisso e il culto alla Vergine con il titolo di “Santa Maria di Gesù”. Su
incarico di papa Eugenio IV, unì alla mensa arcivescovile di Monreale il ricco
priorato di sant’Anna de Scalis, dove era venuta meno l’osservanza
benedettina, con una entrata annua di
4.000 fiorini da destinare per opere sociali.
Salvatore Simone, arcidiacono della Chiesa di Valenza e vice-legato
apostolico in Sicilia, il 1° giugno 1433 aveva convocato a Palermo un concilio,
al quale erano intervenuti tutti i Prelati del Regno per promuovere il culto
divino e la buona disciplina ecclesiastica. Un sinodo con il carattere di vero concilio nazionale al quale
presenziarono tutti i Prelati dell’Isola; il vescovo di Mazara, Giovanni Rosa, rispose
favorevolmente e con solerzia all’appello del vice-delegato apostolico che
aveva ordinato l’esecuzione degli atti conciliari e un contributo caritativo
triennale in favore della Santa Sede “secundum
verum valorem Episcopatus et beneficiorum uniuscujusque”. Il Vescovo fece
compilare il primo rivelo di tutti i benefici della diocesi di Mazara relativi
all’anno 1430, VIII indizione, che, ancora oggi rimane conservato nelle
Scritture attinenti la Mensa vescovile, vol. VI, da f. 316 a f. 347, e ci
permette di conoscere la realtà di questa Chiesa particolare in detto anno.
Rimasto vuoto il beneficio di Santa Maria delle Giummare del suo titolare,
quantunque il Vescovo era assente per motivi pastorali, il 3 gennaio 1444 si
premurò di informare il suo Vicario Generale Giovanni Melluso per sostituirlo
nel conferimento del beneficio in favore di frate Giovanni Adamo “per candelabrum et clavium ipsius abbatiae
assegnationem” deludendo le speranze di chi aveva pensato di offrire il
beneficio ad un fratello laico. Esercitò con grande umanità la sua
giurisdizione sugli ebrei della diocesi e di Mazara in particolare, che trattò
sempre da veri cittadini e non da stranieri. Le costituzioni relative alla
comunità giudaica di Mazara, emesse nel 1421, non si differenziarono se non per
la tassa in oro che gli ebrei erano costretti a versare al fisco regio. Il
Vescovo a Mazara amministrava la giustizia; le sentenze, trascritte su tavole,
venivano esposte nella Cattedrale; il Vescovo Giovanni Rosa nelle sentenze seguì
sempre quella indulgenza ecclesiastica, tanto congeniale alla sua mite anima
francescana, e quella illuminata prassi dell’antica Curia mazarese. Uomo di
profonda cultura teologica, il Vescovo visse nel periodo burrascoso del grande
scisma d’occidente ed è superfluo rilevare la sua presenza al concilio di Siena
o a Firenze se tra i codici donati dal cardinale Giovanni Bessarione, successo poi
al Rosa nella guida della Chiesa di Mazara (1449-1458), alla Biblioteca
Marciana di Venezia alcuni appartenevano certamente al Vescovo Rosa, come si
può ricavare dalle note apposte, come, a
modo di esempio, ai codici Z 145, Z 146 e c. 279, dove si legge: “ iste liber est ad usum Ioannis de
Calathagirono ordinis Minorum sacre theologie magistri et episcopi”, mentre
nel c. 96 del Marc.Lat. 106 si può leggere la dichiarazione di acquisto: “ego frater Ioannes de Calthagerono provincie Sicilie emi istam primam partem
operis reverendi magistri Petri de
Camdia a frate Nicolao Bertuldi de Senis pretio sex ducatorum boni ponderis quo
eram in dicto conventu Senarum. Anno Domini MCCCXC, die 18 iunii. Ego frater
Nicolaus supradictus vendidi istum librum predicto fratri Iohanni pro predicto
pretio. In cuius rei testimonium scrixi manu propria ad eius cautelam”. Per
la Chiesa di Mazara non essere oggi in possesso di tali codici e di tanti altri
accuratamente conservati a Venezia è certamente una incolmabile lacuna. Unico
ricordo assai prezioso dell’umile frate, grande vescovo di Mazara, rimane una
grande croce d’argento che si ispira, come annota M. Accascina, alle Cruces
fiordalisadas della Spagna. La Croce, conservata nel Museo diocesano di Mazara
riprende la tipologia delle Croci di Johannes de Cioni, cui dovette ispirarsi
l’argentiere, forse su indicazione del committente (cfr. M.C. Di Natale, Il Tesoro dei Vescovi nel Museo diocesano di
Mazara, pag. 24 ess., Marsala 1993). Nella Croce sono cesellate le sue armi
gentilizie: una rosa (cfr. Accascina M., La
croce di Mazara, Estr. da Dedalo, an. XI, fasc. XV, agosto 1931; Scuderi V.
Arte medievale nel trapanese; Club di
Trapani 1978, pag. 113, n. 74). In questo tempo vissero a Mazara uomini di
elevate doti culturalI: 1) Bartolomeo Sanclemente, dotto trapanese che fu anche
canonico del Capitolo, arcidiacono e Ciantro della Cattedrale; 2) Girolamo
Rosa, figlio del fratello del Vescovo, che ricoprì importanti cariche e fruì di
regi benefici; 3) Giacomo Burgio, decano della Cattedrale, valente giurisperito
e forbito oratore, cognato di quel Pietro de Bove che nel 1430 fondò nella
cattedrale la cappella dei santi Pietro e Paolo con lo ius patronati della famiglia Burgio; 4) Frate Giovanni Centorbi,
dell’Ordine di san Basilio, che fu abbate di santa Maria delle giummare.
Compose la storia dell’Ordine dei basiliani e una cronaca della città di
Mazara, opere manoscritte andate perdute e delle quali fa menzione Gian Giacomo
Adria nell’opera Topographia inclitae
Civitatis Mazarae. Ebbe come Vicari Generali: 1) Antonio Cataldo, canonico
del Capitolo ed arcidiacono; 2) Giovanni Milluso, canonico della Cattedrale,
beneficiale di san Pietro in Cantarro e, poi, arciprete di Trapani. Le armi
araldiche del vescovo Giovanni Rosa: d’azzurro con fascia d’oro al centro
accompagnata da tre rose dello stesso poste due in capo ed una in punta.
Il vescovo Giovanni
Rosa morì in sede nel 1448, dopo 33 anni di governo di questa Chiesa di Mazara
e fu sepolto nella cripta della Basilica Cattedrale con i suoi predecessori
(cfr. R. Pirri, Sicilia Sacra, II,
f.849; P. Pisciotta, Croce e Campanile,
Mazarien Ecclesia, a cura dell’Istituto per la storia della Chiesa
mazarese, pag.75-76, anno 2009).
Arma araldica: D’azzurro con una banda d’oro
caricata da tre rose al naturale.
Bibliografia:
Pirri R., Sicilia Sacra, II,
f. 848, XXVI Fr. Joannes Rosa de Calatajerone; Palermo 1733; Marcora C., Storia dei Papi, III, Milano; Napoli F. Storia della città di Mazara, Pag. 268,
Doc. VIII, Ristampa 1980; Rizzo-Marino, Gli
ebrei di Mazara nei secoli XIV e XV, in
Atti della Società per la storia patria, 1971; Quinci G.B. Monografia della cattedrale etc. Marsala
1916, pag. 96; Accascina M., La Croce di
Mazara – Estratto da Dedalo, anno XI, fasc. XV, agosto 1931; Di Natale
M.C., Il Tesoro dei Vescovi del Museo
diocesano di Mazara del vallo, Palermo 1993; Archivio storico Diocesano, Libro dei Privilegi, ms, vol. I, f. 100; Rivelo di
tutti i benefici di questa Diocesi di Mazara anno 1430, Mensa vescovile
vol. VI; Pisciotta P., Croce e Campanile
– Mazarien Ecclesia, a cura dell’Istituto storia della Chiesa mazarese, pag.
75 e ss., Campobello di Mazara 2009.
Sac. don Pietro Pisciotta
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