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sabato 20 giugno 2015

SAN VITO MARTIRE CITTADINO MAZARESE, PATRONO DELLA DIOCESI



Festino di S. Vito
Mazara del Vallo 1981



San Vito è per la città di Mazara il fiore più profumato, sorto nella locale comunità cristiana: una figura piena di fascino sia per la singolarità della sua vita che per il culto secolare, ormai solidamente radicato nell’esteso territorio di questa Diocesi, della quale il Santo è e rimane patrono principale assieme ai santi Modesto e Crescenzia. Commemorato nel “Martirologio geronimiano in data 15 giugno, poche e sparse sono le notizie sulla sua vita e molte rasentano solo la leggenda. Il suo nome non figura negli atti dei martiri andati irrimediabilmente perduti e le varie recensioni delle sue “Passiones” non godono di valore storico: queste, infatti, sono descrizioni devozionali, in verità molto antiche, che hanno fondamento storico ma non godono di autenticità storica. A Mazara e nel territorio di questa Chiesa il culto verso san Vito è antichissimo e diffuso in tutti i paesi : molti luoghi sono dedicati a Lui, e il nome di Vito è diffuso in molte famiglie. . Da tutti amato e venerato, egli viene additato come concittadino e nobile figlio di questa terra, ricca per le sue tradizioni religiose, città viva e superba per le magnifiche ed animate piazze, che la rendono una delle città più belle del Meridione, città molto agiata per le cospicue ricchezze che le provengono dall’attività marinara e dalla ubertosità dei suoi territori, centro mirabile per le numerose guglie dei campanili, che si stagliano solenni, quasi, a ricordare la sua gloriosa storia ultra-millenaria. La nascita di Vito, giovane  martire della Chiesa, è da riportare al terzo secolo dopo Cristo, durante il governo dell’imperatore romano Diocleziano, che perseguitò la chiesa con un accanimento tale da essere considerato il più crudele persecutore dell’età imperiale. A parte la disputa sulla terra che gli ha dato i natali, discussione solo accademica, è dato certo che il culto di san Vito a Mazara è non solo antichissimo, ma lo si ritrova sin dalla istituzione della diocesi ad opera del normanno conte Ruggero nell’anno 1093, mentre nel contempo una miriade di luoghi hanno portano sempre il nome di Vito. Le fonti che si riferiscono al Santo sono molteplici ( dal Sacramentarium Gelasianum al Martirologium Geronimianum e ai vari martirologi delle Chiese di Oriente e dell’Occidente), ma tutti i documenti riportano solo poche e sparse notizie che non resistono al vaglio della critica storica perché si rifanno alle antiche “Passiones” dei santi martiri. La storicità del santo, comunque rimane indiscussa, anche se è stato avanzato qualche dubbio sulla vera città che gli ha dato i natali. San Vito è e rimane una di quelle figure sublimi, che nel medioevo hanno affascinato i fedeli, anche se la sua vita nell’arco dei secoli ha dato il via a racconti da fantascienza e non sempre oggi si riesce a distinguere il vero storico dal leggendario. La personalità del Santo martire si è imposta in tutta l’Europa e molti paesi l’hanno scelto a particolare patrono. Ventuno comuni in Italia si fregiano del suo nome, mentre due regioni (la Sicilia e la Lucania ) vantano di avergli dato i natali. Tra i comuni vanno ricordati:
1)      San Vito  (Cagliari ),
2)      San Vito  ( Modena ),
3)      San Vito  (Cosenza ),
4)      San Vito  (Forlì ),
5)      San Vito  (Teramo ),
6)      San Vito al Tagliamento  (Pordenone),
7)      San Vito al Torre ( Udine ),
8)      San Vito chietino  (Chieti ),
9)      San Vito dei Lombardi  (Avellino ),
10)  San Vito dei Normanni  (Brindisi),
11)  San Vito di Altivole  (Treviso )
12)  San Vito di Cadore  (Belluno ),
13)  San Vito di Laguzzano  (Vicenza ),
14)  San Vito di Narni  (Terni ),
15)  San Vito di Valdobiaddene  (Treviso ),
16)  San Vito in monte  (Terni ),
17)  San Vito Lo Capo  ( Trapani ),
18)  San Vito Romano  ( Roma ),
19)  San Vito sul Cesano  ( Pesaro e Urbino),
20)  San Vito sullo Ionio  (Catanzaro  ),
21)  San Vito Taranto  ( Taranto ).
Dalle Alpi alla Sicilia cori osannanti hanno sempre inneggiato a San Vito, giovane martire, proclamandolo Patrono ed invocandone l’intercessione. La fama del suo patrocinio è diffusa in tutta la Chiesa universale e il popolo già nel medioevo lo ha annoverato tra i santi ausiliatori : quei Santi, cioè, che i fedeli invocano con fede profonda per essere liberati da particolari malattie o pericoli, sicuri del loro patrocinio. In questa chiave san Vito appare uno di questi santi d’avanguardia, potenti verso Dio, dai quali il popolo aspetta con fiducia intercessione e favori. Il culto dei santi, secondo la teologia cristiana, evidenzia la ricchezza inestimabile del corpo mistico di Cristo, che unisce ed affratella la Chiesa militante, purgante e trionfante. Essi, come amici di Dio, intercedono per noi; come fratelli nostri,   sono proposti ad esempio e modelli di vita; come martiri di Cristo, sono i testimoni  qualificati del messaggio di salvezza annunziato dal Signore. I santi ausiliatori, quattordici nella tradizione cristiana, occupano, come tali, un posto di particolare rilievo nella storia del culto devozionale. Secondo la tradizione popolare gli ausiliatori sono:
1)      Acacio  (8 maggio) invocato nelle angosce dell’agonia
2)      Egidio   (1° settembre) invocato contro la peste
3)      Barbara   ( 4 dicembre ) protegge dalle malattie con febbri
4)      Biagio  ( 3 febbraio) invocato contro i mali della gola
5)      Cristoforo   (25 luglio )  protegge dalla  peste
6)      Ciriaco   (8 agosto ) invocato contro gli assalti del demonio
7)      Nicola   ( 6 dicembre ) invocato da quanti soffrono di emicrania.. Secondo una tradizione dalle sue ossa emana la “manna di san Nicola”, che guarisce dai dolori.
8)      Erasmo   ( 2 giugno ) protegge dai dolori dello stomaco
9)      Giorgio   ( 23 aprile ) protettore dei cavalli e cavalieri , guarisce dai morsi dei serpenti.
10)  Caterina  ( 25 novembre ) protegge dalle malattie della lingua
11)  Margherita  ( 13 luglio)  la Santa è invocata nei casi difficili della vita
12)  Eustachio  ( 2 giugno ) invocato nelle situazioni difficili
13)  Rocco  ( 16 agosto ) protegge dalla peste
14)  Vito  ( 15 giugno ): il Santo protegge dalla malattia nervosa detta “ballo di San Vito”, dalla  idrofobia, e neutralizza i morsi dei cani e dei serpenti.
Anche se nell’arco dei secoli e tra i vari popoli qualche nominativo di santo  ausiliatore è stato sostituito con un altro (Rocco con Pantaleone, Erasmo con Leonardo, Nicola con Dionigi ), mai nell’elenco ufficiale è venuto meno il nome di san Vito: il giovane martire al quale Mazara vanta di avere dato i natali.
In suo onore papa Gelasio (492-496) dedicò  nel V secolo un oratorio per i giovani, mentre papa Leone III (795-816) fece costruire “ in arco Gallieni” la chiesa di “san Vito ad macellum”, una diaconia, costruita nei pressi dell’antico mercato pubblico eretto dall’imperatore Cesare Augusto. Una statua di san Vito, come quella del suo precettore san Modesto, troneggia sul colonnato della basilica di san Pietro in Vaticano ed è una delle 140 statue che coronano questo insigne monumento della cristianità, la 4^ del braccio rettilineo (a destra), guardando la basilica. Da Roma le reliquie del Santo furono portate dal longobardo Astolfo a Pavia, da dove nel 1355 il re di Boemia le ha fatte trasferire a Praga. Il monastero di san Dionigi di Parigi nel secolo VIII vantava di possedere reliquie del Santo martire, che, successivamente, furono cedute al monastero di Corvey, in Sassonia, da dove il culto di san Vito si è diffuso nei paesi sassoni.

                                                            Don Pietro Pisciotta



    

              Mazara, patria di san Vito martire


Mazara, la città che si ritiene abbia dato i natali a san Vito, sorge in una ridente insenatura tra Capo Granitola e Capo Feto (caput foederis), mentre due fiumi: il Mazaro e l’Arena nell’età antica ne segnavano i confini e la difesa naturale. Oggi Mazara è una delle più belle ed accreditate città della Sicilia  sia per l’intraprendenza dei suoi abitanti, che sono riusciti a dotare la città della più cospicua flotta peschereccia d’Italia, sia perché sede vescovile di una Chiesa millenaria, che il normanno conte Ruggero nel 1093 volle dotare di un esteso territorio che abbracciava l’odierna provincia di Trapani e si estendeva sino alle porte di Palermo, includendo la Diocesi molti   castelli e città dell’area palermitana, come Partinico, Carini, Capaci, Torretta  sino alle zone attigue a Corleone.
Punta avanzata dell’influenza greca ad occidente dell’Isola, Mazara nell’antichità, aveva costituito per i Selinuntini il loro principale emporio; essa, infatti, disponeva della foce del fiume Mazaro, luogo assai sicuro come riparo alle navi e punto strategico per il commercio marittimo. La foce del fiume risultava, infatti, alla bocca largo una settantina di metri per restringersi, poi,  a cinquanta ed internarsi  per 350 metri. Il Columba, che ne studiò il fondale e la struttura, ha messo in evidenza che, data la sua profondità, per le navi antiche dovette . costituire un porto eccellente, non molto capace, ma perfettamente sicuro. Come principale emporio selinuntino, scrive Diodoro Siculo i nemici di Selinunte divennero i nemici di Mazara:: “Annibale, giunto al fiume Mazaro occupa d’assalto l’emporio ivi sito e, appressatosi alla città, divide l’esercito in due ed intraprende senza indugio l’assedio…”. Caduta la città nel 409 a. C., anche Mazara subì la sorte del vincitore e la sua importanza strategica ne risentì sensibilmente. Nel successivo periodo romano, anche se Mazara, come città, non figura né nelle Verrine di Cicerone né nei libri di geografia di Plinio il Vecchio, dovette certamente essere un ridente villaggio, capace di accogliere famiglie facoltose, come ne fanno fede cimeli storici di primaria importanza e documenti cristiani dei primi secoli venuti alla luce. Tra questi rimane assai interessante una epigrafe, scritta in caratteri greci e rinvenuta nel territorio urbano dove si evidenzia, all’esame critico del Manni e di altri autorevoli docenti universitari, l’esistenza in Mazara di un centro abitato in età romana. Si tratta di un centro fortificato nell’area del territorio lilibetano, ma dove gli abitanti di questo antico emporio selinuntino, forse per campanalismo territoriale, tenevano a distinguersi dalla città di Lilibeo sia per la distanza che intercorreva fra i due centri che per le origini diverse della popolazione. Dall’iscrizione appare chiaro che ci si ritrova di fronte ad un reperto appartenente al  periodo storico in cui Mazara tende ormai, in qualche modo, a separasi da Lilibeo.Il personaggio indicato nell’epigrafe, Marco Giunio Felice, pur essendo un “buleota”   dei lilibetani, ha portato un valido aiuto alla sua patria, che appare una comunità diversa o almeno distinta da Lilibeo. La grafia è in caratteri greci, ma il personaggio è romano come fanno fede i tre nomi con i quali è indicato (praenomen, nomen e cognomen) e l’epigrafe si può datare intorno al 220-250 d. C. Un documento storico, quindi, di primaria importanza in favore della Mazara romana.
L’Adria nei suoi scritti: “De Topographia inclitae civitatis Mazariae (libro II) e nell’opera inedita: “De valle Mazariae et Siciliae laudibus”, aveva fatto risalire le origini di Mazara a età remotissima inducendo in errori di valutazione scrittori e cronisti mazaresi. Il Quinci nella sua monografia sulle opere di Adria, mentre loda l’appassionato scrittore, che difende la romanità della città di Mazara, critica e disapprova l’Adria quando eccede nelle lodi tanto da identificare Mazara con Selinunte. Il Columba, scrivendo sui porti antichi  della Sicilia, annota: “… da ponente, il territorio selinuntino metteva capo a Mazara. Questa città, esplicitamente indicata come piazza commerciale (emporio), è formata di un porto- canale naturale, una specie di estuario del fiume dagli antichi chiamato Mazaros…”, mentre il Castiglione, facendo leva sulla presenza nel territorio di numerose testimonianze, come sarcofagi, lapidi onorarie, urne cinerarie, colonne e capitelli, si era soffermato in modo particolare a difendere la romanità di Mazara evidenziando la preziosità di tali documenti storici. Non meno significativo il volume di Enzo Gancitano, che nella “Mazara, prima dell’età normanna” esamina dettagliatamente tali documenti storici evidenziandone l’alto valore per una riedizione della storia di questa città, in età greco- romana.
Possiamo concludere che Mazara, anche se non fu un municipium o una città alleata o censoria, è stata certamente un centro di particolare interesse  sia per il suo porto naturale, sia per gli abitanti che vi posero dimora, dopo la distruzione di Selinunte; un centro assai florido dove presto si diffuse il nuovo culto del cristianesimo, specie tra gli schiavi e il ceto colto, a dispetto del paganesimo, che rimase ancora per decenni abbarbicato nelle campagne e nel ceto medio- borghese e assai restio a morire. La comunità cristiana mazarese trovò in questo primo momento il suo punto di riferimento nella vicina Lilibeo, dove una serie gloriosa di Vescovi, tra i quali il grande Pascasino, si sono susseguiti nel tempo ed hanno reso illustre questo lembo della Sicilia.. Della presenza cristiana, saldamente affermata sin dai primi secoli del cristianesimo, si hanno testimonianze indirette di primaria importanza:
a)      la presenza di un insediamento cenobitico siculo- bizantino nell’agro mazarese sin dall’alto medioevo;
b)      una lettera di san Massimo confessore diretta ad un tal Teodoro, sacerdote di Mazara.
La presenza di una comunità cenobitica, poco distante dal centro abitato, nella zona di San Nicola ad vineas nei pressi dei gorghi tondi ( o laghetti ), manifesta  chiaramente l’esistenza di affermate comunità cristiane nelle zone limitrofe, confermate, per altro, da tutta una toponomastica archeologica  tramandata sino ai giorni nostri, dove molti feudi circostanti o fondi terrieri portano il nome di santi dei primi secoli del cristianesimo: “san Menna” (santo cenobita dell’alto medioevo), “san Cusumano” (santi Cosma e Damiano), “Lu timpuni di san Pietro” presso il feudo di Cantarro e tanti altri nomi che ricordano nomi di santi , che ebbero nella zona un particolare culto. Riguardo al fondo di san Pietro al Cantarro, di cui parla l’Adria, la notizia è confortata dalle Colletterie Vaticane degli anni 1308-1310, pubblicate dal Sella, dove è detto: “Ecclesia s. Petri de Cantarro valet unc. III, solvit pro utraque tarenos XVIII”.
La lettera di san Massimo confessore ci riporta al diffondersi dell’eresia  dei monofisiti e dei monoteliti; essa è diretta ad un Teodoro sacerdote di Mazara, ma dal suo esordio pare che fosse rivolta non solo a lui ma a tutti i sacerdoti monaci della Sicilia ( Migne, Patrol. Graec. Tom. XCI, col.246). La lettera evidenzia come la comunità monastica , o monastero, o laura, era ben nota a Massimo, che, nato a Costantinopoli verso il 580, presto si trasferì nell’Occidente e fu molto apprezzato per la sua dottrina filosofica e teologica. Il Santo era stato varie volte in Sicilia, dove era molto bene conosciuto da tutti i Vescovi ed Abati dell’Isola e con i quali era rimasto sempre in ottime relazioni.


       San Vito e la   Mazara imperiale

La breve vita del nostro santo si svolge in un breve arco di tempo  della Roma imperiale, che abbraccia la fine e l’inizio di due secoli : periodo interessante per la storia civile per il nuovo assetto dato dall’imperatore Diocleziano al territorio dell’impero, ma assai critico per la religione cristiana, che vide in questo periodo una recrudescenza della fase persecutoria operata dagli stessi imperatori. Nella Roma del terzo secolo, come in tutti i paesi dell’evo antico, la religione era considerata un fatto istituzionale al quale tutti i cittadini dovevano aderire, almeno formalmente, anche se, di fatto, i sudditi erano liberi di professare privatamente qualsiasi culto. Il sincretismo religioso aveva contribuito in modo considerevole a fare della Roma del tempo una città grande ed immortale, tanto che il poeta Orazio poté cantare nel Carmen saeculare: “Alme Sol, possis nihil urbe Roma visere maius”. La Roma repubblicana, prima, ed imperiale, poi, era rimasta sempre una città aperta a tutti i culti indigeni ed esoterici: in questa chiave trova spiegazione quello straordinario edificio, il Pantheon, voluto dall’imperatore Adriano, a dispetto dell’iscrizione dedicatoria posta sulla trabeazione del portico che ne farebbe autore Agrippa. Se tutte le religioni trovavano accoglienza ed ospitalità nella Roma imperiale, adusa ad ogni forma di sincretismo religioso e filosofico e convinta che la religione era solo un “instrumentum regni”, il cristianesimo, che rivendicava per sé l’esclusivismo assoluto, trovò nella stessa Roma ostilità da parte degli ebrei della diaspora, che consideravano i cristiani apostati dell’ebraismo, da parte dei pagani, che mal tolleravano la nuova religione per il suo proselitismo e per la lotta che sferravano contro l’idolatria, da parte, infine, dello stesso imperatore, che vedeva defraudato il suo ruolo di “divino” e si vedeva ridotto alla stregua di ogni comune mortale. Da qui il sorgere delle persecuzioni anticristiane, che nell’arco di tre secoli si svolsero in due fasi diverse: la prima da Nerone a Settimio Severo (193-211) vide l’iniziativa persecutoria contro i cristiani partire dal basso verso l’alto, conforme alle direttive dell’imperatore Traiano sancite nel rescritto del 112 a Plinio il Giovane dove l’imperatore dice testualmente: “Non bisogna cercare i cristiani. Se vengono denunciati e convinti del reato, si devono punire…” Nella seconda fase l’iniziativa parte dall’alto: l’imperatore emana ripetute leggi contro i cristiani, che vengono ricercati e costretti a rinnegare il cristianesimo o a subire il martirio. La persecuzione, tuttavia, non assunse mai un carattere generale sino all’imperatore Decio, che per scovare i cristiani decise di obbligare tutti i sudditi dell’impero a sacrificare agli dei e a fornirsi del relativo certificato attestante l’atto di culto prestato alle divinità tutelatrici di Roma.  Dopo Decio, la Chiesa cristiana aveva conosciuto quarant’anni di pace durante i quali indisturbata si era diffusa in tutte le parti dell’impero sino all’avvento di Diocleziano. Questi, dopo un settennio di pace, si lasciò indurre a sferzare contro la Chiesa il più duro attacco che la storia ricorda. La causa della persecuzione è da ricercarsi in un incidente accaduto ad Antiochia nel 302 durante un sacrificio propiziatorio; un fatto del tutto banale, ma che spinse l’imperatore a firmare prima due decreti con i quali si ingiungeva ai cristiani di radere al suolo tutti i luoghi di culto e si obbligavano i cristiani a consegnare al magistrato tutti i libri sacri. Il consegnatario dei libri fu detto “traditor” (consegnare i libri alla polizia significava rinnegare la fede cristiana, per cui il traditor o consegnatario era un traditore o un rinnegatore della fede). Due anni dopo, nel 304, Diocleziano si lasciò indurre a firmare altri due decreti: con il primo ordinava l’arresto del clero e dei vescovi,  con il secondo condannava alle torture chi rifiutava di immolare sacrifici. Nell’intenzione Diocleziano mirava a far rinascere quella religione pagana che aveva contribuito a fare di Roma la “caput mundi” e ad estendere il diritto romano a tutti i popoli:: “Tu regere imperio populos memento, Romane”. Un culto dove i “Penati” (li patruneddi di li casi) occupavano il “focolare domestico” con il fuoco sacro acceso del Padre, custodito dalla Madre, alimentato da tutto il nucleo familiare. In questo clima dell’impero alquanto arroventato nei riguardi del nuovo culto cristiano,  nel III secolo nacque a Mazara tra il 280 e il 285 Vito, il futuro martire che con Agata a Catania e Lucia a Siracusa avrebbe reso illustre la chiesa di Sicilia. Il padre di Vito, Hila, nobile patrizio, per tradizioni e convenienze era rimasto abbarbicato alla religione atavica, dove veniva reso il culto a divinità antropomorfiche , alle stesse forze della natura e alla divinità dell’imperatore, mentre la moglie, Bianca, era stata avviata da bambina al culto cristiano, come tante altre giovanette del patriziato  che avevano colto la sacralità della nuova religione arrivata dall’Oriente dove venivano poste su un piano paritetico l’uomo e la donna, lo schiavo e il libero, il ricco e il povero, il romano e il barbaro perché “tutti figli dello stesso Padre, che è nei cieli”. Una fede irrorata e fortificata dal sangue dei martiri, seme sempre di nuovi cristiani. Bianca avrebbe, certamente, educato il figlio Vito in questa fede, se la morte non l’avesse colta ancora giovanissima. Una nutrice ed un istruttore presero così in consegna il piccolo Vito: una coppia (Modesto e Crescenzia), che rispose con entusiasmo all’invito di  Hila  e ne divennero precettori. Allievo di una famiglia dove la fede e la carità costituivano le colonne ben solide del sistema educativo, Vito con il latte succhiò i primi rudimenti della fede cristiana, mentre alla bulla adorna di amuletti, che solevano portare i fanciulli appesa al collo, il piccolo Vito preferiva con fede e devozione profonda rivolgersi solo al “Padre che sta nei cieli”, confidando nella bontà divina e nella sua eccelsa misericordia. La persecuzione sferrata contro i cristiani non tardò a farsi sentire a Mazara dove il preside Valeriano, fedele interprete dei decreti imperiali, si adoperò subito per scoprire i cristiani, indire i primi processi riempiendo le carceri di gente colpevole solo di avere creduto nell’unico Dio. I buoni rapporti esistenti tra Valeriano e il padre di Vito, indussero il governatore a temporeggiare nella speranza che il padre Hila riuscisse a convincere il figlio Vito a ripudiare la fede cristiana e ritornare al paganesimo degli antenati. Vito comprese il grave pericolo che minacciava la sua fede e, spinto dalla forza dello Spirito, s’imbarcò con Modesto e Crescenza per una terra più ospitale. Dove oggi sorge la chiesa di san Vito extra maenia, secondo una tradizione molto accreditata , Vito s’imbarcò e un angelo del Signore fece da nocchiero nella traversata del Mar Tirreno sino alla terra di Lucania, che divenne la seconda patria del Santo giovinetto. La riva del fiume Sele accolse Vito che fuggiva l’ira del padre e l’arroganza di quanti pensavano di potere impunemente cancellare dalla terra il nome “cristiano”. Ormai Vito aveva temprato il suo spirito in una fede adamantina, alimentata dalla carità più viva verso Dio e verso i fratelli, e , divenuto strumento meraviglioso nelle mani di Dio, in terra di Lucania lo Spirito operò grandi prodigi per mano sua, mentre il santo giovinetto mazarese annunziava a tutti Cristo e il suo messaggio d’amore. Ormai egli era considerato da tutti apostolo di Cristo e grande taumaturgo. Una così imponente figura non poteva restare nascosta e la fama dei suoi prodigi arrivò a Roma, dove l’ira imperiale si scatenò contro il Santo. La “Passio” di san Vito, anche se non confortata da documenti storici, descrive le varie torture alle quale fu sottoposto assieme ai suoi precettori Modesto e Crescenzia. E’ descritta con vive tinte la caldaia bollente ripiena di piombo, resina e pece dove i tre vennero sommersi  e dalla quale emersero ripieni di nuova forza e vitalità. Le parole del salmo trovarono piena attuazione: “Mi hai saggiato, o mio Dio, come oro; con il fuoco mi hai provato, e non hai trovato in me alcuna colpa”(Salmo 17-3).
Una seconda prova terribile fu per i tre santi martiri la condanna “ad feras”: furono gettati in pasto ad un leone ruggente nella stessa città di Roma, dove Vito con la preghiera  aveva impetrato da Dio la grazia della guarigione per la stessa figlia di Diocleziano. L’imperatore sarebbe stato felice di coprire Vito d’oro e di vesti preziose, di potere arruolare il taumaturgo giovinetto tra i suoi fedeli pretoriani, ma Vito, illuminato dalla grazia e sostenuto dalla sua fede adamantina era e volle rimanere solo araldo del vangelo. “Le tua vesti, il tuo regno, si legge nella Passio del santo Martire, non mi sono necessarie. Io ho, infatti, il Signore mio Dio, che se continuerò a servire, mi vestirà di una veste immortale”. Vito era ormai maturo per il cielo: tempore brevi esplevit saecula multa; aveva combattuto la sua battaglia, era rimasto ben saldo nella fede; la sua attesa era rivolta alla corona, che il Signore aveva promesso ai suoi  amici. Il santo giovinetto si prepara ormai all’incontro con il suo Signore con la gioia del “servo fedele”. Sulla riva del fiume Sele, che lo aveva accolto profugo dalla terra di Sicilia, Vito chiuse l’esperienza terrena e, martire di Cristo, divenne il protettore e l’angelo tutelare di quanti a lui si sarebbero rivolti nell’arco dei secoli.
La ieratica figura di San Vito martire offre alle generazioni future un diario intimo dove primeggia l’opera dello Spirito e le virtù teologali, poste nella sua anima come semi d’immortalità, manifestano quanto grande e misericordiosa è in ogni tempo l’opera del Signore .

San Vito, germoglio della terra di Sicilia


         Dalla Sicilia alla terra di Lucania, dall’Italia ai paesi sassoni tutti invocano Vito, santo e taumaturgo; la miriade i paesi, che si fregiano del suo nome, avanza pretese più o meno legittime di avergli dato i natali o di averlo come santo protettore, ma le note caratteristiche del Santo giovinetto sono tali che non lasciano dubbi di sorta sulla sua identità di santo siciliano. L’iconografia più antica ritrae Vito con l’immagine di un giovinetto, che tiene al guinzaglio due cani, mentre il suo dies natalis è celebrato in tutti i martirologi il 15 giugno: due note queste che caratterizzano la sicilianità di san Vito martire. La ricerca di documenti storici, a riguardo, non sempre si è rivelata fruttuosa, ma lo studio comparato offre allo studioso elementi assai validi per raccogliere e sistemare, come tessere di uno stesso mosaico, note e caratteristiche tali da permettere, in uno studio scevro da pregiudizi, di fare piena luce sulle origini storiche del Santo.
La parola “Totem”, termine di origine indiana significa nel linguaggio corrente: insegna, emblema, ed indica una realtà o una classe di realtà (animali, piante…) con la quale gli abitanti di un determinato territorio credono di essere in relazione particolare ed intima, tale da costituire con essa un particolare rapporto di dipendenza. Il totem è considerato protettore, alleato o compagno, parente o antenato; esso risulta dotato di una carica o potenza superiore che non è mai lecito violare ; il totem diventa anzi per gli abitanti di quella determinata regione o tribù quasi una vera divinità da amare, venerare e, in ogni caso, rendersela sempre propizia. Nella Sicilia occidentale troviamo, già in età pre-romana,  molto diffuso il culto del “cane”. Servio riferisce la leggenda della nascita di Egesto, l’eponimo della città di Segesta, da una donna troiana e dal dio fluviale Krimiso, apparso sotto l'aspetto del cane. Il giovanetto con il cane divenne presto il simbolo della presenza del Dio, che domina, provvede e protegge il territorio e i suoi abitanti. L’avvento del cristianesimo, che spazzò via la miriade di divinità, che costellavano il firmamento pagano, sostituì il monoteismo con il culto all’unico Dio, invocato: Padre nostro che sei nei cieli. Ma tra i ceti più umile e tra i borghesi adusi alla vita dei campi le tradizioni pagane furono tardi a morire e l’immagine del dio Krimiso, il giovanetto con il cane a guinzaglio che percorre il territorio a salvaguardia del luogo e dei suoi abitanti, trovò un facile riscontro in un giovanetto, figlio della stessa terra, che in un momento cruciale in cui imperversava la persecuzione nell’impero si era eretto ad esempio di amore profondo verso Dio, sino ad accettare la morte in difesa della fede, e di amore verso il popolo con i numerosi ed eclatanti prodigi compiuti verso i fratelli. Vito diventa così per il popolo il nuovo Krimiso: non divinità pagana , ma figlio eletto della Chiesa e martire di Cristo; vero Santo ausiliatore a cui tutti potevano rivolgersi, sicuri di trovare in lui il protettore, l’amico di Dio che prega ed intercede per i fratelli. Il giovinetto Vito, il figlio di Hila e di Bianca, venne tosto ritratto nella iconografia medievale con il cane a guinzaglio e, come tale, il suo culto si estese dalla Sicilia alla Lucania, e dall’Italia ai popoli sassoni. L’icone di san Vito con il cane costituisce la più palese carta d’identità dell’origine siciliana di Vito e, in modo particolare, figlio di questo lembo della Sicilia occidentale, terra cara al dio fluviale Krimiso, e dove la città di Mazara  da tempo immemorabile si vanta di avergli dato i natali.


                                        
SAN VITO  patrono di Mazara e della Diocesi
(… dai documenti dell’archivio storico diocesano)



La conquista ruggeriana della Sicilia e il riassetto politico-religioso voluto dal conte Ruggero d’Altavilla determinarono la nascita della Chiesa di Mazara, punto strategico nella lotta contro i musulmani, che già proprio nell’827 erano sbarcati a Mazara e da qui si erano spinti in tutta l’Isola determinando oltre due secoli di dominio arabo in terra di Sicilia e la conversione dell’isola all’islamismo.
Prima dell’avvento musulmano nella Sicilia la zona occidentale dell’Isola aveva visto affermata una Chiesa cristiana assai solida se, come è vero, la città di Lilibeo era stata retta da vescovi eccellenti, come il santo Vescovo Gregorio, morto martire durante la persecuzione di Diocleziano, o san Pascasino, un dei presuli più eminenti e dotti, che lo stesso Pontefice Leone Magno nel 451  aveva inviato a Calcedonia, come suo legato, a presiedere il concilio ecumenico contro l’eresia monofisita. Mazara, restituita alla fede cristiana, nel 1093 divenne sede vescovile di una diocesi assai vasta: i suoi confini erano delimitati dal mare ad ovest, nord e sud, mentre ad est si estendevano sino ai territori di Carini e Corleone. Il conte Ruggero nel 1097 volle dedicare la Cattedrale al SS. Salvatore e alla Sua santissima madre, anche se il popolo aveva visto sempre in San Vito il santo protettore a cui fare riferimento nei momenti più difficili o calamitosi. Con il ripristino della fede cristiana si affermò anche il culto esterno di san Vito in cui onore furono dedicati quartieri nelle varie città e borgate, edicole sacre con l’immagine del Santo e, dopo i Vespri Siciliani, si videro sorgere confraternite di disciplinati dedicate al Santo in quasi tutte le città della Diocesi. 
      
     San Vito, principale patrono di Mazara e della Diocesi.

“La città di Mazara, scrive lo storico Domenico Lancia di Brolo nella sua Storia della Chiesa in Sicilia, per antichissima tradizione da nessun’altra contraddetta, passa per essere stata la patria del nostro Santo, il quale nato da Hila, idolatra e di nobile stirpe, ma allevato da Crescenzia ed educato da Modesto, ambedue ferventi cristiani, ancor fanciullo si distingueva per fervore nel praticarla e coraggio nel professarla” (vol. I, pag. 156). Di questo giovane martire, onore della comunità cristiana di Mazara, come lo furono in Sicilia santa Lucia per la città di Siracusa e sant’Agata per la città di Catania, si fa menzione sin dai tempi di papa san Gelasio (492-496) , mentre in Roma la diaconia dei ss. Vito e Modesto, presso l’arco di Gallieno sull’Esquilino è anteriore a san Leone III papa, che l’aveva arricchita di doni.  Sul valore storico delle testimonianze più antiche lascio la parola ai critici competenti e ai vari relatori di questo congresso; mio compito è soffermarmi su san Vito attraverso i documenti dell’Archivio storico Diocesano, vera miniera inesplorata, tesoro di inestimabile rilievo, dove sono custoditi documenti cartacei di prima mano riguardante l’intera Sicilia occidentale dalla fondazione della Diocesi ad oggi. Il documento principe riguardante il ruolo di san Vito martire  nella Chiesa di Mazara rimane, senza ombra di dubbio, la petizione al vescovo del tempo, mons. Marco La Cava, da parte dei giurati con la quale si chiede a nome del popolo di nominare San Vito principale patrono della città e dell’intero territorio diocesano. I giurati nel documento evidenziano che già Mazara per volontà del conte Ruggero è stata sempre sotto la protezione del santissimo Salvatore Gesù Cristo al cui nome e sotto il cui patrocinio il conte aveva fatto costruire la Cattedrale di Mazara, ex voto per essere stato personalmente protetto dal divino Redentore durante una caduta da cavallo, mentre imperversava la battaglia contro i saraceni. Ma poiché, affermano i giurati , per un buon governo e per la prosperità della nostra città importa moltissimo avere altri Patroni, che stiano accanto al Signore e intercedano per essa, noi adottiamo e nominiamo il gloriosissimo martire San Vito, nostro concittadino, per essere nato a Mazara, conforme ad una antica tradizione presso di noi e per espressa approvazione di uomini dottissimi, come Patrono della nostra città. I giurati evidenziano ancora che già questa città ha fruito nel passato della particolare protezione del beatissimo martire san Vito, il Santo che “per affetto verso la città natale fino ad oggi l’ha protetta, conservata e sostenuta e in vari modi ha beneficato i suoi concittadini scacciando i demoni dal loro corpo, guarendoli da varie malattie”. Nel documento i giurati fanno riferimento “all’antica chiesa che è stata costruita dai nostri padri non lontano da Mazara sulla spiaggia da dove san Vito, con Modesto e Crescenza, suoi educatori, sotto la guida di un angelo s’imbarcò ed approdò per volontà di Dio in Lucania”. Il documento, firmato dai giurati Nicola Antonio de Federicis, da Francesco Ferro, Muzio Bianco e Gabriele Spata, fu stipulato alla presenza del notaio Giacomo Anello e a quattro testimoni.
La Chiesa di Mazara stava attraversando in quegli anni un momento di rinascita spirituale e morale, nonostante la crisi politica che imperversava nell’impero spagnolo e, di conseguenza, nell’Isola. Il Vescovo accolse con soddisfazione il documento dei giurati della città e, dopo aver richiesto il parere ad una commissione, presieduta dal sacerdote teologo don Bartolomeo Ficano, vicario generale, Mons. La Cava accolse con soddisfazione il documento del magistrato e confermò con un suo decreto dell’otto settembre 1614 l’elezione di san Vito a Patrono della  città di Mazara e del territorio diocesano.  ( cfr. Arch. Stor. Dioc. 37/4/9, pag. 96 ).         
“In seguito alla scrupolosa proposta fatta dal sacerdote teologo e dottore in utroque iure don Bartolomeo Ficano, nostro vicario generale, e per la devozione che abbiamo verso il beato martire Vito, per cui si dovrà e si deve designarlo  e stabilirlo come Patrono, secondo l’autorità pastorale, Noi, in nome di Dio, solennemente, con questo atto lo scegliamo, designiamo e stabiliamo come singolare e particolare Patrono, Avvocato e Difensore nostro e di quest’inclita città di Mazara, confermando ed approvando l’atto redatto dai richiedenti. Diamo inoltre l’incarico a tutti e singolarmente al nostro Clero, fino a qual punto debbano venerare e celebrare solennemente la festività dello stesso, sotto il duplice rito di prima classe con l’ottava ed inoltre dagli stessi e da tutti gli altri debba essere venerato in questa nostra città e nei suoi territori, nello stesso modo come nelle altre maggiori solennità  dei santi Patroni delle altre città: perché il sopradetto san Vito martire e patrono e nostro concittadino si degni di pregare vivamente presso Dio e Gesù Cristo nostro salvatore per noi, per il nostro clero e per tutta questa nostra inclita città”.
Mazara aveva da sempre tributato un culto particolare a san Vito ritenendolo cittadino mazarese e grande intercessore in favore di questa città;  di questo culto si riscontrano ampie tracce nei documenti dell’Archivio Storico Diocesano specie nelle più antiche Sacre Visite, dove, a partire dal rollo del vescovo Lombardo (anno 1575), si parla della chiesa di San Vito extra moenia ormai erosa dal tempo, di un culto molto antico tributato al Santo nonché di una confraternita di san Vito costituita dalla nobiltà mazarese. Il cardinale Spinola nella sacra Visita del 1638 accenna a questa chiesa fuori la città, sulla riva del mare, assai vetusta, dove è necessario intervenire per rendere il luogo sicuro ed accogliente.  Due epigrafi in caratteri longobardici evidenziano quanto questa chiesa era cara ai mazaresi e con quanto zelo il popolo si rivolgesse al Santo implorando grazie e patrocinio. Il sito della chiesa corrisponde al luogo dove, secondo la tradizione, il Santo s’imbarcò per sfuggire le ire del padre. L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 1776 per opera del vescovo Ugone Papè con il contributo del popolo e della confraternita della nobiltà, ma l’antica, di cui fa menziona l’Adria nel 1515, è d’attribuirsi all’età normanna, quando, cacciati i Saraceni e ricostituita la chiesa cristiana nell’Isola, riemerse con tutta la sua forza il sentimento religioso nella città di Mazara , dove sorsero subito chiese, conventi e monasteri.
La 1^ epigrafe, scolpita in marmo e posta sul frontespizio della chiesa, era una supplica al Santo:
Vite  baro Christi, qui coelica regna petisti
Urbs tua Mazara, clementer sit tibi cara
Ne subita morte  pereamus cum labe
Ne canum rabie praesul adesto pie.
La prima chiesa pare sia stata costruita nel IV secolo, dopo il martirio del Santo. Erosa dalle acque e distrutta dall’incuria del tempo durante la dominazione araba, con l’avvento dei Normanni e la ricostruzione della Chiesa cristiana in Sicilia , venne riedificata la nuova chiesa di cui si fa menzione nel rollo di Mons. Lombardo , già fatiscente durante il governo del cardinale Spinola. In questo chiesa era annesso un beneficio semplice di libera collazione e costituito da rendite varie, come può evincersi dalle Sacre visite dei vescovi Lombardo e Spinola.
Dentro la città è sita, inoltre, la chiesa di San Vito in urbe, detta, successivamente, chiesa di Santa Teresa. Una pia tradizione ritiene la chiesa costruita dove fu l’antica abitazione di san Vito. Una lapide ne tramanda la memoria: “Hanc habui, nec linquo domum; vos plaudite cives: sum patriae, custos, gloria, vita, decus”.La chiesa fu fondata dalla confraternita di San Vito, il sodalizio che annoverava tra i soci della confratria buona parte della nobiltà mazarese. Questa confraternita, istituita il 25.03.1588 con propri capitoli, fu approvata dal vescovo Luciano de Rubeis (1589-1602) e vide riformate le sue costituzioni l’8.06.1778 dal vescovo Ugone Papé di Valdina (1772-1791). La confraternita assicurava il culto del Santo dentro la città e si faceva obbligo di incentivare sempre più nel clero e nel laicato nuove forme di culto e di religione a livello pubblico e privato.

Si deve alla solerzia dei suoi Vescovi se  Mazara  entrò in possesso nel secolo XVII di insigne reliquie del Santo concittadino. Marco La Cava, la cui memoria è in benedizione, il 16 giugno 1602 portò da Roma in un reliquiario d’argento un osso del braccio; il cardinale Spinola riuscì ad avere una reliquia della gamba del Santo, mentre il vescovo Castelli portò la reliquia più preziosa, il cuore, e si adoperò per arricchire le varie chiese e monasteri di Mazara di altre insigni reliquie del Santo, oltre al braccio di San Modesto e alla gamba di santa Crescenza. Reliquie del Santo finirono così nel sepolcretto dell’altare maggiore delle chiese di San Michele, Santa Veneranda, chiesa del Collegio e la chiesa Santa Maria di Gesù, retta dai frati Minori Osservanti, mentre il cuore di san Vito fu custodito nella chiesa dei Carmelitani. Queste preziose ed autentiche reliquie, oggi custodite in parte nel Museo diocesano,  hanno permesso nei secoli alla Chiesa di Mazara di potere venerare una parte significativa di quel corpo triturato dalla sofferenza del martirio, ma di cui l’Onnipotente si è servito e si serve per glorificarne la santità.
A presidio della città il popolo volle erigere una statua del Santo proprio nelle vicinanze della foce del fiume Mazaro, zona particolarmente cara al cuore di tutti i cittadini perché questo porto è per Mazara la fonte principale delle sue risorse economiche; questo porto è lavoro, prosperità e vita. Quattro distici in lingua latina, posti nei quattro lati del piedistallo testimoniano la fede e l’amore del popolo verso il concittadino  che dal cielo vigila, prega ed assicura protezione sicura. Nella parte prospiciente la città si inneggia a San Vito come liberatore dalle tempeste del mare e dalle scosse dei terremoti:
Dive Mari, Terraeque praees, dominaris utrisque.
Sint procul hinc fluctus, fit procul inde tremor.
( Protettore del mare e custode della terra, che domini su entrambi,
 stiano da qui lontani i flutti e stia da qui lontana la paura )
Nel lato destro, in prospettiva del mare, si inneggia al santo come liberatore delle armate nemiche e delle insidie di satana:
Si fera bella premunt Patriam, cruce perde Phalanges
Et satanae turbas tu cruce, Dive, fuga.
( Se le guerre crudeli opprimono la patria, tu con la croce disperdi le falange
e con la croce, o Taumaturgo, metti in fuga le schiere di satana )
Nel lato sinistro si inneggia al santo, come liberatore della fame:
Si male suada fames siculas grassatur in Urbes
Tu Joseph Patriae, dive, alimenta dabis
( Se la fame, cattiva consigliera, avanza verso le sicule città
 Tu, come Giuseppe, o protettore, ci darai pane )
Nel dietro della statua si inneggia al Santo, come liberatore della peste:
Si pestis coelum minitatur, Dive, flagella:
Hoc procul a Patria tu quoque pelle malum
( Se il cielo ci minaccia col flagello della peste, o protettore,
 tieni lontano da qui anche questo malanno ).
La gratitudine del popolo mazarese va ai vescovi Michele Scavo (1766-1771) e Ugone Papé di Valdina (1772-1791) che nel cuore della città vollero erigere due monumenti imperituri, a testimonianza dell’amore di San Vito verso questa città, che ama e protegge, e come invito al popolo di ricorrere con fiducia e amore al Santo, esempio mirabile di santità e grazia: l’opera di Ignazio Marabitti ( anno 1771 ) posta al centro della piazza maggiore della città, insigne capolavoro d’arte settecentesca, e il monumento posto sulla foce del Mazaro, là dove il mare s’incontra con  l’acqua del fiume, opera di Filippo Pennino, discepolo del Marabitti.

    Il fistino a Mazara

Il culto al santo nella città di Mazara fu ufficializzato nella sua più splendida solennità a partire dall’anno 1614, quando fu sottoscritto il decreto vescovile che costituiva san Vito patrono principale della città. Tale “fistino” dalla durata di quattro giorni si concludeva con la festa liturgica del Santo ( 15 giugno). Si deve, successivamente, al vescovo Giuseppe Stella (1742-1758) la celebrazione di un “fistino” tutto mazarese nell’ultima settimana di agosto, in coincidenza con la traslazione delle reliquie del Santo: una festa che esprime il senso di gioia profonda del popolo per la glorificazione di un suo concittadino, la cui vita si è rivelata un dono per tutti.
 Il fistino storicamente ha come momenti forti:
 1) il trasporto del simulacro di san Vito dalla chiesa di san Michele alla chiesa di san Vito in riva al mare: questa processione, molto attesa dal popolo ed ormai secolare, è la più mattiniera d’Italia ed è preceduta da spari di giochi d’artificio, detti: “jocu di focu a diunu”.
2) La  processione ideale e la cavalcata storica: è costituita da un carro trionfale recante il simulacro di san Vito e da una serie di quadri plastici simboleggianti figure civili e religiose e i tratti più salienti della vita del Martire.
Attorno a questi due momenti particolari si snodano durante il festino varie manifestazioni  come i giochi dell’antenna sul fiume Mazaro  e il gioco dell’oca, la sagra del mare, e vari momenti  religiosi, sportivi e culturali, omaggio alla fede e alla pietà religiosa del popolo e all’affermazione di Mazara come città marinara ed industriale, la cui flotta peschereccia è oggi decisamente la prima d’Italia.
Dopo il vescovo Giuseppe Stella, tutti i Vescovi di Mazara hanno sempre patrocinato il festino in onore di san Vito e gli atti relativi sono conservati sia nell’Archivio Storico Diocesano che nella Biblioteca comunale. In questo anno di grazia 2002 il vescovo Mons. Emanuele Catarinicchia suggella il suo governo spirituale di questa Chiesa di Mazara con il 1° congresso internazionale di studi su san Vito e il suo culto.

   Il culto a san Vito nella diocesi

Se il culto a san Vito nella città di Mazara è radicato nella storia e nella tradizione dell’intera cittadinanza, dove da secoli centinaia di cittadini vanno orgogliosi di portare il nome del Santo, altrettanto vero e sentito è il culto a san Vito nell’esteso territorio della Diocesi, dove con Mazara ben quattro città hanno san Vito come principale patrono, mentre in tutti gli altri centri urbani la presenza del culto al Santo è testimoniato da chiese antichissime erette in suo onore, da quartieri cittadini, che ne portano il nome, da confraternite che dall’età medioevale  all’età moderna hanno avuto san Vito come titolare e dalle numerose edicole votive erette in suo onore in urbe ed extra moenia.
I più antichi documenti dell’Archivio storico diocesano purtroppo sono andati distrutti da un incendio e parte dall’incuria del tempo: quanto ci rimane dei secoli XI – XV sono i transunti notarili e i documenti raccolti nei rolli del vescovo Mons. Lombardo ( 1575); questi documenti tuttavia, assieme alle Sacre Visite (dal concilio di Trento ad oggi) costituiscono una miniera di notizie storiche che, da sole, bastano a riscrivere l’intera storia della Sicilia occidentale.
Le città che vantano san Vito come principale patrono sono, oltre la citta di Mazara, Partanna, Campobello di Mazara e Vita; inoltre, nella provincia di Trapani la città di San Vito lo Capo.
La città feudale di Partanna primeggia su tutti gli altri centri, essendo stato scelto san Vito a Patrono del paese prima ancora di Mazara, città natale del Santo. Quanto assai diffuso fosse stato nel passato il culto a san Vito si può desumere dai seguenti fatti:
1 ) il più antico quartiere del paese porta ancora oggi il nome san Vito;
2 ) la prima chiesa campestre fu intitolata al nostro Santo: qui si recava il popolo in pellegrinaggio per impetrare da san Vito di essere protetti dalla peste. In questa chiesa era conservata una statua lignea raffigurante il Santo, scolpita nel 1585 da Marco lo Cascio da Chiusa Sclafani. Sul podio dove si ergeva la statua erano scolpite quattro storie a rilievo sulla vita di san Vito. Successivamente, divenuta chiesa conventuale per la presenza dei frati agostiniani, questa chiesa prese il nome di santa Lucia. In questa chiesa, agli inizi del secolo XV si era consolidata l’antica confraternita si san Vito, sodalizio molto florido nel passato, ma privo di bolla e di capitoli propri, tanto che i confrati furono costretti successivamente ad aggregarsi alla regola di Sant’Agostino. I confrati, vestiti con sacchi bianchi, durante le processioni precedevano i confrati delle altre congregazioni. Scopo della confraternita, di cui si fa esplicita menzione nel rollo di Mons. Lombardo, era duplice: animare i solenni festeggiamenti in onore del santo e zelare il culto divino nella città dove il confratre era tenuto ad essere esempio di religiosità e pietà cristiana. Confraternita assai ricca è stata, certamente, questa di san Vito, se in occasione della “chiamata” versava al Vescovo il canone di once due annue.
3) La prima Chiesa Madre di Partanna fu dedicata a san Vito, e già da tutto il popolo era invocato Santo Patrono; ricostruita la nuova madrice nel 1625, la statua del Santo fu collocata nell’abside laterale, detta cappella di san Vito, arricchita di pregevoli stucchi attribuiti a Giacomo Serpotta.
 4) A san Vito, inoltre, fu dedicato il Monte dei Pegni, l’istituto che esercitò un ruolo importante contro l’usura, mentre nello stesso palazzo municipale fu eretta a san Vito una cappella votiva.
La processione di san Vito si svolge ogni anno con particolare afflusso di popolo e i festeggiamenti si chiudono con l’annuale “fiera di san Vito”.
Il poeta locale , Benedetto Molinari La Grutta, ricorda che in tempi lontani la festa di san Vito era intensamente vissuta dalla popolazione:
Ddu jornu anchi li morti su’ vistuti
Ccu li robbi di ziti cchiù sciuriati.
Campobello di Mazara, come la città di Partanna, vanta san Vito come Santo Patrono: a Lui, ufficialmente riconosciuto come uno dei quattordici santi ausiliatori, il popolo di Campobello  ha fatto sempre ricorso per essere protetto dai morsi dei cani, dalla peste e da varie malattie. In suo onore, a settentrione del centro abitato, sulla via per Castelvetrano, era stata elevata una cappella votiva a ricordo per grazie ricevute, come anche a meridione, sulla via per Tre fontane, una edicoletta sacra invitava il popolo a sostare per una prece al Santo che prega ed intercede per il popolo. Spinto da un culto locale atavico , il clero e i giurati il 2 giugno 1784 inoltravano formale richiesta al Vescovo della diocesi perché il giovane Santo mazarese fosse proclamato ufficialmente principale patrono del territorio di Campobello.



Era vescovo del tempo Mons. Ugone Papé dei principi di Valdina, il presule che aveva fatto ricostruire a Mazara il tempio a san Vito extra moenia. L’istanza fu, allora, accolta benevolmente dal Vescovo e il popolo indisse subito solenni festeggiamenti in onore del Santo Patrono, che eguagliarono la festa del SS. Crocifisso. Una statua in onore del Santo fu accuratamente modellata e, collocata nella locale Chiesa Madre, è ancora oggi oggetto di grande venerazione. Il 15 giugno, festa liturgica di san Vito, a Campobello si aprono i festeggiamenti con la consegna delle chiavi d’argento della città al Santo da parte del Sindaco alla presenza di tutte le autorità religiose, civili e militari.
il sindaco di Campobello  consegna le chiavi a S. Vito
Il quarto paese della Diocesi, che vanta San Vito come santo Patrono, è la città di Vita. La storia di questo comune è piuttosto recente. L’origine risale ai primi del secolo XVII, in un periodo nel quale vennero favorite le fondazioni di nuovi comuni, soprattutto, per ripristinare la cultura di vasti territori dell’Isola e per contribuire a riassettare la voragine deficitaria dell’impero spagnolo. Fondatore della nuova città fu il barone Vito Sicomo da Calatafimi, che ottenne dal re Filippo lo “ius populandi”, concessione registrata in Palermo in data 17 aprile 1606. La città sembra abbia preso il nome Vita dallo stesso Vito Sicomo e san Vito ne divenne subito, “vox populi”, il Patrono principale. In tutte le sacre visite dei vescovi di Mazara  san Vito è detto Patrono della città, mentre una omonima confraternita, costituita dai borgesi del luogo, sin dai primi anni dalla fondazione, si occupava del culto e dei solenni festeggiamenti in onore del santo Patrono.
Per rimanere nell’ambito della provincia di Trapani, non si può non accennare alla città di San Vito Lo Capo, oggi appartenente alla circoscrizione diocesana di Trapani, ma sino al 1844 territorio di questa diocesi di Mazara. Di essa si parla ripetutamente nei documenti d’Archivio.
Nel rollo di Mons. Lombardo si accenna ad una chiesa dedicata a san Vito, sita fuori le mura della città del Monte, sulla quale esercita il diritto di patronato la città di San Giuliano. Era stato il vescovo di Mazara a concedere il diritto di patronato al comune di Erice, allora Monte san Giuliano, con bolla vescovile del 18.03.1548, confermato da papa Paolo III con bolla pontificia del 28 giugno 1549. Prima d’allora la chiesa era stata un semplice beneficio “de mensa” e, come tale, veniva conferito dal Vescovo di Mazara. Il nuovo vescovo don Luciano Rossi si adoperò perché ritornasse beneficio “de mensa”, ma inutilmente perché gli Ericini seppero far valere i loro diritti acquisiti. Dalla sacra visita di Mons. Papé si evince che la detta chiesa era dotata di tre altari, tra i quali occupava un posto rilevante quello di san Vito, dove era conservata anche la reliquia di un osso piccolo della gamba del nostro Santo. L’odierno santuario sorge dove era situata un’antichissima chiesa già in auge nel XIII secolo. Qui si recavano anche dalla lontana città di Alcamo i pellegrini per implorare la guarigione dal morso di cani idrofobi.
Questo excursus, quantunque breve, non può esimermi dall’evidenziare quanto esteso e profondo è stato ed è il culto a san Vito in tutte le città del territorio diocesano, come, ad esempio, Castelvetrano, Alcamo, Salemi, Gibellina, Marsala, Trapani.
Per iniziativa del domenicano padre Antonio M. Cigales, che aveva ricevuto dalla Santa Sede una insigne reliquia di san Modesto, con atto notarile del 27.10.1695 presso il notaio Antonio Fratello, i santi Vito, Modesto e Crescenza furono proclamati santi Patroni della città di Castelvetrano. Tale iniziativa voleva sancire con un documento pubblico una fede saldamente diffusa nei vari ceti della città. Nel corpo del documento tuttavia san Vito appariva come uno dei 400 martiri selinuntini dei quali si fa cenno nella tradizione locale. L’atto notarile non sortì gli effetti sperati, soprattutto, per la mancata approvazione della Santa Sede e la città dovette desistere dall’idea di averlo come santo Patrono. D’altronde è solo una ipotesi l’esistenza dei 400 martiri non suffragata da documenti storici. Unica fonte a cui tutti attingono è uno scritto del gesuita Padre Ottavio Gaetani, a cui si rifanno gli storici locali, ma contraddetta dal Di Giovanni nella sua Storia ecclesiastica, ed ignorata dai grandi storici della Chiesa.
Ad Alcamo,  la città di cui si parla profusamente nei documenti d’Archivio, un antico quartiere era intestato a san Vito. Qui nel 1400 furono eretti in onore del Santo una chiesa e l’ospedale, mentre una omonima confraternita sorse nel 1567 nella “cappella seu ecclesia sancti viti”, attigua all’omonimo ospedale. La confraternita ebbe concessi benefici dal vescovo Lomellino con bolla del 1^ luglio 1568 ed essa si sosteneva con elemosine provenienti  dalla “cascia”, ossia dalla cassetta per la questua. Ad Alcamo, scrive Carlo Cataldo, il Santo è raffigurato con un cane ai piedi sia nella sacrestia della Madonna del Rosario, che nella parrocchia di San Francesco di Paola. Un antico scongiuro ad Alcamo, come nei paesi del trapanese, diceva:
 “santu Vitu, Santu Vitu, iu tri voti vi lu dicu: va chiamativi sti cani, chi mi vonnu muzzicari…”
 e per scongiurare l’idrofobia si portavano i cani nel corridoio dell’ospedale alcamese per essere benedetti d’innanzi alla statua del Santo.
Salemi, città antica ed assai florida nel medioevo,vanta un culto antichissimoverso il santo mazarese se già nel rollo antico di Mons. Lombardo si evince l’esistenza di un’antica chiesa dedicata a san Vito, detta oggi chiesa dei Riformati, dove c’è un altare , il 1^ a destra entrando, con una sua antica statua. Una formella del 1400, esistente un tempo nella chiesa di santo Stefano, che riproduceva san Vito, si trova invece nella seconda sala del Museo d’arte sacra della città. A san Vito la civica Amministrazione ha dedicato la via che va da via san Leonardo a via san Modesto.
Del culto a san Vito a Pantelleria si fa menzione nella regia visita di Giacomo Arredo nel 1552 e nel rollo di Mons. Lombardo. Nella contrada, che, ancora oggi, è detta san Vito, in età assai remota era stata dedicata al Santo una cappella votiva; divenuta fatiscente  “poiché,  si legge nel documento,il popolo tiene speciale devozione e per non potersi erigere una nuova per scarsezza dei tempi…” nel 1689 fu fatto costruire un altare dedicato a san Vito nel santuario della Margana. Nella sopradetta contrada finalmente nel 1796 fu riedificata la chiesa di san Vito, conforme alle attese e alla devozione del popolo.
Una chiesa a san Vito esistette a Gibellina, a 3 km dal centro abitato, oggi distrutta dal sisma del 1968. Fu fabbricata nel 1756 a spese di Nicola Candela, che si riservò il diritto di patronato.In questa chiesa si venerava un quadro di san Vito, mentre l’antico e primitivo quadro su pietra era stato murato nella parte esterna del cappellone.
Per non tediare l’uditorio accenno solo ad altre due chiese extra moenia a Marsala e a Trapani, di cui si fa larga menzione nel rollo di Mons. Lombardo. L’una e l’altra erano mete di pellegrinaggi da parte dei fedeli che imploravano dal Santo protezione e grazie; l’una e l’altra furono sedi di confraternite omonime, che nel quattro- cinquecento zelarono il decoro della chiesa e tennero viva la fiaccola del culto religioso verso il Santo giovinetto che, come vuole la tradizione, ha onorato la nostra terra con i suoi natali e la Chiesa con la sua invitta fede. A Lui onore e gloria da questa Chiesa santa, che è in Mazara, e la nostra gratitudine , sicuri che dal cielo Egli continua ad essere per la città di Mazara ed il territorio diocesano patrono, amico ed intercessore.

                                                                                          Don Pietro Pisciotta






Note:
1)       La diaconia dei santi Vito, Modesto e Crescenzia, sita sulla via Merulana, è oggi la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore. Sorge all’angolo della via san Vito, è attigua all’arco di Gallieno, o antica porta Esquilina, ed è una delle più antiche diaconie: la zona destinata ad accogliere e provvedere ai poveri in tutte le loro necessità. La diaconia di San Vito sorse nel IV secolo e, secondo il Moroni, fu probabilmente una chiesa donata da Costantino ai cristiani. Nello spazio antistante l’attuale chiesa di san Vito si estendeva il “macellum Livide” o grande mercato. Cfr. Paolo Mancini – La diaconia dei santi Vito Modesto e Crescenzia -  Roma anno 1978.
2)       Il vescovo Marco La Cava resse la diocesi di Mazara dal 1605 al 1626. Celebrò due sinodi diocesani negli anni 1609 e 1623 ed ebbe a cuore la riforma dei costumi e la disciplina del clero e dei monasteri femminili. Fece costruire il nuovo coro della Cattedrale per dare solennità ai sacri riti ed assicurare la recita delle ore canoniche. L’8 settembre 1614 proclamò san Vito Patrono principale della  Chiesa di Mazara. Erogò tutto il suo patrimonio ai poveri e morì in fama di santità il 5 agosto 1626.
3)       Sul culto di san Vito a Mazara cfr. 1) Lancia Di Brolo – Storia della Chiesa in Sicilia – ristampa – Editrice Elefante Catania – anno 1979; 2) Gaspare Morello – San Vito nella poesia, nel culto e nelle tradizioni popolari – Mazara 1938; 3)Rocco Pirri – Sicilia Sacra – con le aggiunte di Mongitore e Amico – Notizia VI , pag. 867 ristampa –  Palermo 1733 ; 4) Pietro Safina – Mazara sacra  ( vedi: chiese e confraternite): 5) Cristoforo Milone – Gli atti e il culto di san Vito Martire – Napoli 1870  ( capp:II e III ). Inoltre: Archivio Storico Diocesano 36/2/5 pag. 182; 33/2/1/ pag. 28; 33/2/1 pag. 36.
4)       Il vescovo Michele Scavo ( 1766-1771 ) resse la Diocesi per un quinquennio. Uomo di grande cultura, fondò con il fratello e  un gruppo di dotti siciliani la Biblioteca Comunale di Palermo. Il  governo della diocesi di Mazara si rivelò  per lui assai travagliato a causa dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie. Donò alla chiesa di sant’Agnese un simulacro di Cristo deriso e alla città di Mazara la satatua di San Vito, entrambe opere di Ignazio Marabitti. Morì santamente e fu tumulato a Palermo nella chiesa di San Domenico, cappella di san Pietro.
5)       Il vescovo Ugone Papé dei principi di Valdina ( 1772- 1791 ) resse la Diocesi con saggezza evidenziando ottime capacità governative. Il suo nome rimane legato al riordino dell’Archivio Storico Diocesano e al decollo del Seminario Vescovile, che raggiunse il suo massimo splendore. Restaurò l’acquedotto cittadino e, tra le varie opere che portano il suo nome, fece costruire sulla foce del Mazaro la statua di san Vito, opera scultorea di Filippo Pennino, discepolo del Marabutti. Contribuì in modo assai lido al riscatto deigli schiavi cristiani in Berberia.
6)       “La chiamata” era un rito che si ripeteva ogni anno il 6 agosto, festa del SS. Salvatore, a norma del sinodo di Mons. Lombardo (anno 1575). Durante il rito si faceva obbligo a quanti detenevano benefici ecclesiastici di comparire davanti al Vescovo per prestare “Ossequium” al Prelato ed offrire il proprio tributo. Il chiamato si presentava al Vescovo dicendo: “Ecce, adsum”. L’ultima chiamata si tenne il 6 agosto 1928.( cfr. Arch. Stor. Dioc.: - Libro dei Privilegi vol. I – 36-2-9, pag. 33 )
7)       Il culto a Partanna: cfr.: 1) Rollo di Mons. Lombardo. Chiesa di San Vito 36/2/3  pag. 220; 2) Sacra Visita del card. Spinola: cfr. 33/2/1 , pag. 47 ; 3) Sacra visita di Mons. Audino: anno 1906 (vedi chiesa del Purgatorio).
8)       Il culto a San Vito Lo Capo: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/2; pag. 231; Sacra visita di Mons. Papé  34/4/11, pag. 128.
9)       Il culto ad Alcamo: cfr. 1) Rollo di Mons. Lombardo 36/2/3, pag. 81; 2)Sacra Visita del Card. Spinola 33/2/1, pag. 69; 3) Carlo Cataldo – La casa del sole : pagg. 79-80, 86-87; Il giardino di Adone: pagg. 61 e 201-202; La conchiglia di san Giacomo: pag. 86.
10)   Il culto a Salemi: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/3, pag. 319.
11)   Il culto a Pantelleria: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/2, pag. 73-75.
12)   Il culto a Trapani: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/2, pag. 83; Sacra Visita del card. Spinola 32/2/1 , pag. 37.


 
















Un congresso internazionale  di studi sul tema: “San Vito e il suo culto”

Un messaggio ai giovani in chiave ecumenica parte dalla Chiesa di Mazara, che ha riunito in un congresso internazionale di studi su “San Vito e il suo culto in Italia e in Europa”  studiosi italiani, francesi e tedeschi. Il congresso, che si svolgerà a Mazara  nell’auditorium di santa Veneranda nei giorni 18 e 19 luglio, è indirizzato soprattutto ai giovani, che si preparano a celebrare con il Santo Padre la Giornata Mondiale della Gioventù. Sono oltre novanta le città italiane che hanno san Vito come Patrono principale, sono innumerevoli le organizzazioni che si fregiano del nome San Vito; la Sicilia, inoltre, si vanta di avergli dato i natali, la Lucania di avere sulle rive del fiume Sele raccolto la suprema testimonianza del suo martirio, l’intera Europa riconosce e venera in modo particolare la santità del martire san Vito. La Chiesa di Mazara dal salone del congresso addita San Vito, giovane martire del IV secolo, evidenziando i valori della santità in una società oggi gravida di incertezze, dove la superstizione e la magia attraggono non poche persone in cerca di risposte immediate e semplici ai problemi complessi dell’esistenza; in una società dove ai grandi valori che trascendono l’individuo  e additano nell’Assoluto la fonte di ogni certezza, si risponde con i vari surrogati dell’edonismo, della bramosia della ricchezza o con l’individualismo esagerato e con ogni forma di relativismo, che acuisce sempre più la crisi esistenziale dell’uomo moderno. La Chiesa di Mazara addita oggi ai giovani la santità come unica forza capace di trasformare il mondo. Il vescovo Mons. Emanuele Catarinicchia nel suo messaggio ai giovani  della diocesi presenta loro  San Vito, il giovane martire della Chiesa cristiana, come punto di riferimento accessibile e sicuro: il giovane santo mazarese che ha saputo, come santa Lucia a Siracusa, sant’Agata a Catania e santa Rosalia a Palermo, tracciare la strada da seguire per progredire nella direzione giusta.
Il congresso, che è stato patrocinato dalla diocesi di Mazara, dalla civica Amministrazione e dalla Regione Sicilia vuole essere una riscoperta di valori, ma anche uno sprone ai giovani a vivere la fede in modo vivo e sicuro, un sostegno valido all’umana debolezza, un incitamento alla riscoperta di Cristo nel quotidiano. Il congresso che vede impegnati docenti italiani ed esteri: da Rosa Maria Carra Bonacasa con il tema: “Testimonianze archeologiche del primo cristianesimo nella Sicilia occidentale” e Ferdinando Maurici “Sulle origini del cristianesimo in Sicilia occidentale”, al francese Henri Bresc sul tema “San Vito nella toponomastica cristiana” e Debora Magno “ Il caso di san Vito: dalla Sicilia all’Europa”, al tedesco Horst Enzensbergen sul tema: “Sul valore politico di san Vito” e ad altri docenti come Silvio Manzo, Pietro Pisciotta, Giovanna Cassata, vuole costituire un momento forte nella ripresa del progetto culturale della Chiesa di Mazara, dove questa Chiesa non può e non deve essere assente dalla vita sociale né essere relegata nella sfera del privato. La Chiesa primitiva ha trasformato la cultura classica e l’ha permeato di quello spirito nuovo che nell’arco dei secoli ha creato le grandi basiliche, ha ispirato la letteratura ed ha trasformato la famiglia e la società dando vita ad una autentica civiltà cristiana. La crisi tra cultura e fede, ha evidenziato Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi , ha determinato il “dramma della nostra epoca”; oggi, più che mai è necessario far riscoprire ai giovani il valore della fede che ha generato i martiri. La fede offre alla cultura la dimensione     nuova della speranza: se questa viene meno, la cultura si avvizzisce, s’impoverisce e muore. A voi giovani, ha detto il vescovo Mons. Catarinicchia , è affidato oggi il messaggio più bello. Come san Vito testimoniate il vangelo della vita; essa è un dono d’accogliere con gratitudine, da vivere nell’amore, da offrire responsabilmente a servizio della famiglia e della società. Come Vito accolse Cristo e lo testimoniò a prezzo della sua vita, il vostro “sì” al Signore ripetuto in tutte le contingenze del quotidiano sarà la prova vera della vostra fede, il contributo più valido per la rinascita della famiglia e la rievangelizzazione della nostra società.
Mazara del Vallo 17.07.2002
                                                                    Don Pietro Pisciotta



SAN VITO:  UNA CELEBRAZIONE GIUBILARE

L’anno della Redenzione 2004 si apre, mentre nella Chiesa di Mazara fervono i preparativi per la celebrazione giubilare ( 1700 anni ) di san Vito, cittadino mazarese e patrono della città e della Diocesi. L’avvio alle celebrazioni sarà dato dalla presentazione degli atti del 1° Congresso internazionale di studi su San Vito, promosso dalla Diocesi  con la Civica Amministrazione e la Soprintendenza ai Beni culturali ed ambientali di Trapani. Con il sac. prof. Pietro Pisciotta, Direttore dell’Archivio storico diocesano, hanno collaborato in prima persona il dr. Ferdinando Maurici, dirigente responsabile della sezione archivistica della Soprintendenza, e l’assessore alla cultura dr. Vita Ippolito. Il Congresso di studi, che si è svolto nell’Auditorium Santa Veneranda nei giorni 18 e 19 luglio 2002 ha visto in questa città la presenza di esimi docenti di Università italiane e straniere e studiosi di storia e di tradizioni religiose. La Chiesa di Mazara non può in questo anno di grazia esimersi dal celebrare la ricorrenza giubilare molto attesa dal popolo cristiano, dalle autorità religiose e civili e, in modo particolare, da tutti quei paesi che riconoscono San Vito come principale patrono, lo invocano come particolare intercessore presso Dio o dello stesso santo portano il nome. La città di Mazara da tempi immemorabili annovera nei suoi rioni luoghi legati alla vita e alle opere del Santo : nella chiesa di San Vito in urbe è venerata la casa dove Vito, si ritiene, abbia avuto i natali, mentre a san Vito extra moenia si ricorda il luogo da dove il Santo s’imbarcò con Modesto e Crescenzia per sfuggire alle ire del padre Ila. Non c’è famiglia a Mazara dove un membro di essa non porti il nome di Vito, mentre numerose sono le edicolette sacre sparse nei vari rioni dove il Santo viene venerato e alla cui intercessione il popolo affida se stesso.
Il culto a san Vito affonda le sue radice ai primi secoli del cristianesimo e la città di Mazara invoca San Vito con quella stessa fede che i Palermitani  dimostrano a Santa Rosalia, i Catanesi a Santa Agata e i Siracusani   a Santa Lucia: quattro santi giovanissimi che hanno onorato la Sicilia e dei quali l’Isola va ben fiera.
Liberata la Sicilia dalla dominazione araba, i Normanni restituirono il territorio al cristianesimo istituendo le varie diocesi, tra le quali quella  di Mazara, che dedicarono al SS.mo Salvatore; gli Spagnoli istituirono in questa stessa città la “Fiera franca” nella festa del SS. Salvatore, ma il popolo non dimenticò mai di invocare il suo Santo, definendolo: “nobilissimo concittadino”. Due secoli di dominazione islamica avevano contribuito a cancellare il ricordo della realtà religiosa nel Vallo di Mazara, da dove i cristiani furono costretti dagli invasori a fuggire o a convertirsi alla nuova religione e solo le vestigia di un culto cristiano atavico rimase nelle generazioni successive; con il ripristino della fede cristiana, operata dai normanni, si riaccese nel territorio  trapanese il culto alla santa Madre di Dio, che veniva da tutti invocata come “Madonna dell’Itria”, e a san Vito, rappresentato con l’immagine del giovinetto che tiene al guinzaglio due cani. La presenza del cane è una simbologia molto diffusa nella Sicilia antica e prende le mosse dal mito del fiume Crimiso, secondo cui questi, assunta la forma di cane si congiunse con la troiana Egesta e generò il figlio Egesto, fondatore della omonima città “Segesta”. La presenza del cane si trova nelle monete più antiche della Sicilia, come Segesta; i cani di San Giuliano proteggono Erice dall’invasione araba; i cani di San Vito indicavano “il Santo ausiliatore”, che protegge coloro che a lui si rivolgono perché morsi da cani arrabbiati. (vedi Fazello I,7 ; pag. 299).
La peste e il terremoto erano i due mali che affliggevano in quei secoli le popolazioni dell’Isola. La peste, soprattutto, del 1575 fu il movente che diede vita a quel movimento popolare che portò i Giurati a considerare l’opportunità di presentare al Vescovo una petizione per proclamare San Vito “Patrono della città”. La peste da Messina si era propagata a Palermo e dalla capitale dell’Isola aveva invaso le campagne e gli agglomerati urbani. Agli effetti deleteri della peste si aggiunse tosto   la carestia del 1591 e l’epidemia da tifo. Agli albori del secolo XVII questa malattia ,dopo avere seminato morte e lutti in tutta l’isola, si affacciò alle porte di Mazara, estremo lembo della Sicilia. Il Vescovo fece chiudere le porte della città proibendo l’accesso a tutti i forestieri, mentre il popolo in quei giorni alzò alte le braccia invocando la protezione del Santo, che rispose facendo sentire benefica la sua protezione. La città, come attestano le cronache cittadine, rimase illesa da quel terribile flagello e il popolo gridò al miracolo. Mazara , che già le mille volte aveva sperimentato il patrocinio del Santo concittadino, il 23 agosto 1614 chiese  al Vescovo in forma ufficiale per mezzo dei Giurati: Nicola Antonio De Federicis, Francesco Ferro, Muzio Bianco e Gabriele Spata di avere San Vito come principale Patrono della città . Mons. Marco La Cava, la cui memoria è in benedizione, accolse la delegazione ed affidò al teologo don Bartolomeo Ficano, dottore in utroque iure e Vicario Generale della Diocesi, l’esame dell’istanza  dei Giurati. L’otto settembre 1614 lo stesso Vescovo sancì con la sua autorità vescovile il documento con il quale san Vito, martire e cittadino mazarese, veniva eletto a principale Patrono di Mazara. “In seguito alla scrupolosa proposta fatta, scrive il Vescovo nella Bolla, dal sacerdote teologo e dottore in utroque D. Bartolomeo Ficano, nostro vicario generale, e per la devozione che abbiamo verso il beato martire Vito, per cui si dovrà e si deve designarlo e stabilirlo (come Patrono) secondo l’autorità pastorale, Noi, in nome di Dio, solennemente con quest’atto lo scegliamo, designiamo e stabiliamo come singolare e particolare Patrono, Avvocato, e Difensore nostro e di questa inclita città di Mazara, confermando ed approvando l’atto redatto dai richiedenti. Diamo inoltre l’incarico a tutti e singolarmente al nostro Clero, fino a qual punto debbano venerare e celebrare solennemente la festività dello stesso: sotto il duplice rito di prima classe con l’ottava ed inoltre dagli stessi e da tutti gli altri debba essere venerato in questa nostra città e nei suoi territori, nello stesso modo  come nelle altre maggiori solennità dei santi patroni delle altre città: perché il sopradetto San Vito Martire, Patrono e nostro cittadino, si degni di pregare vivamente presso Dio e Gesù Cristo nostro salvatore per noi, per il nostro Clero e per tutta questa nostra inclita Città.
Firmato:  Marco – vescovo mazarese”.
Posta la storicità di Vito, come giovane martire della Chiesa siciliana del IV secolo e mazarese di origine, come afferma una lunga tradizione secolare raccolta anche dai bollandisti , come Papebrocchio, che, dopo aver discusso e vagliato tutti gli argomenti concluse per Mazara come patria del Santo, non rimane che applicare a buon diritto la massima: “Traditio est, nihil amplius quaeras”. A San Vito Mazara ha eretto nell’arco dei secoli monumenti imperituri; il popolo ne visita la casa natale e ogni martedì la chiesa di San Vito accoglie i devoti mazaresi, che sostano in preghiera davanti al suo santuario, e i pellegrini provenienti da tutte le parti dell’Isola. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel 1993, in visita apostolica nella diocesi di Mazara, nella chiesa di San Vito extra moenia volle sostare in preghiera per implorare dal Santo, patrono e concittadino, benedizioni e favori divini. La Chiesa di Roma non ha mai negato l’ assunto di san Vito  martire della Chiesa di Sicilia, mentre sin dal V secolo chiese, oratori e monasteri dedicati a san Vito sono sorti a Roma, in Sicilia e Sardegna. Il culto a san Vito ebbe straordinario sviluppo nel Medioevo, specie tra i Tedeschi e gli Slavi, dove in molti documenti viene additato come   martire ,nato a Mazara; raggiunse la sua massima espressione a Mazara quando le sue reliquie furono solennemente trasportate in questa città.
                                                                              Pietro Pisciotta 

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