Nella tradizione popolare san
Giuseppe figura come il santo tutelare dei poveri. Caratteristica desunta
dall’episodio evangelico della sacra famiglia (Maria e Giuseppe) che, costretta
a recarsi da Nazareth a Betlemme, in occasione del censimento disposto da
Cesare Augusto, chiede un alloggio e tutti rispondono negativamente: “Diede
alla luce il suo Figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una
mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo (Lc. 2,7)”.
Come reazione psicologia nel
culto popolare si ha la rievocazione del fatto in forma drammatica con un
finale che placa l’animo: il banchetto o altare in onore di san Giuseppe.
Protettore degli orfani e delle ragazze, san
Giuseppe è invocato dagli uni perché li soccorra e li sostenga, dalle altre
perché dia e trovi loro un partito buono e profittevole… San Giuseppe è il
santo tutelare dei poveri, degli orfani, di chi volge in grandi strettezze di
vita. I beni, che la Provvidenza manda
agli uomini, arrivano tramite la sua particolare intercessione; egli è
sempre caritatevole, soccorrevole quant’altri mai. Ora da questa sua
particolare prerogativa è nato l’uso del banchetto detto di san Giuseppe e di
altri usi popolari nel giorno 19 di marzo”. Gli “Altari di san Giuseppe” che
puntualmente vengono eretti a Campobello di Mazara, Salemi, Salaparuta e in
vari centri agricoli del trapanese nella ricorrente festa del Santo sono la
testimonianza più vera di un culto che ha fondamento nella storia del Santo. Questi
altari tradizionali vengono preparati
dalla solerzia e dall’estrosità delle donne del vicinato, che si
ritengono privilegiate per l’opera che prestano. Un’icone, raffigurante la
sacra famiglia, viene collocata nella parete principale in mezzo ad uno sfavillio
di luci sistemate in forma di stella o di mezzaluna. Coperte sontuose e
riccamente disegnate adornano le pareti mentre oggetti d’oro e rarità preziose
d’ogni sorta adornano il tetto e le pareti determinando con le luci profuse
nella stanza uno scintillio e una scenografia suggestiva. Sui tre gradini
dell’altare troneggiano tre “cucciddati”, dal peso che oscilla da cinque a otto
chilogrammi, destinati ai “santi” e preparati con farina, lievito, sale e
cimino, forme di pane lavorate con ricercatezza da esperti panettieri locali,
mentre altre forme di pane stanno ad evidenziare i simboli del mestiere di
Giuseppe, gli attrezzi di lavoro della Madonna e i segni della passione di Gesù
Cristo. La preparazione dei pani e delle pietanze comincia alcuni giorni prima
della festa ed ha un significato religioso. La caratteristica di questo “pane
di san Giuseppe” è la ricca allegoria che vi si riscontra: tre forme di pane,
che verranno consumate dai santi, hanno rispettivamente la forma di sole o di
un fiore (destinato al Bambino Gesù), di
palma (destinato alla Madonna) e di barba o di bastone (destinato a san
Giuseppe). Il pane a fiore o a forma di sole indica Cristo che è luce del
mondo, quello a palma indica il cibo che Maria fu costretta a dover mangiare
quando fuggì in Egitto per salvare la vita di Gesù bambino, quello a forma di
bastone o di barba indica l’assennatezza e la purezza, virtù proprie del grande
patriarca san Giuseppe. Piatti colmi di filamenti di grano o di cereali appena
germogliati coprono il restante vuoto, mentre il mirto (la murtidda) riveste
gli angoli e gli stipiti della casa. Nel centro della stanza addobbata è
collocata una tavola riccamente imbandita, pronta per accogliere i tre
personaggi: Giuseppe, Maria e Gesù.. All’ingresso della casa sono disposti tre
cuscini, dove i santi inginocchiandosi faranno la loro preghiera, prima di
benedire con acqua lustrale l’altare, le pietanze e la famiglia raccolta in
preghiera. Nella stanza più interna sono preparate “le pietanze dei santi”
(circa cento piatti) sempre ricche, abbondanti, a base di pesci, cereali,
verdure, frutti e dolci. Tra i dolci particolare posto riveste la “pignulata”
(farina, uova, zucchero, miele e olio), li “ravioli”(a base di ricotta) e la
cassata siciliana. La carne, simbolo di ricchezza e di benessere, alimento
proprio della classe borghese, è sempre bandita mentre vengono valorizzati i
prodotti della terra nella loro squisitezza e genuinità.
In questa scenografia piena di
luci, allietata dal suono di strumenti musicali e dal canto del banditore, che
rievoca le virtù del Santo, si muovono i personaggi principali: i santi o
“virgineddi”, rappresentati da un giovane di buona famiglia (san Giuseppe),
possibilmente orfano, di buoni costumi e di modeste condizioni economiche; da una
ragazza alquanto più giovane (la Madonna), anche questa scelta da modesta
famiglia; e, infine, da un bambino (Gesù) tra i cinque e i dieci anni.
Il Santo veste una tunica possibilmente colore
turchese sotto un mantello rosso; dalla spalla sinistra discende
trasversalmente sul fianco destro una fascia gialla. In una mano reca un
bastone fiorito mentre con l’altra conduce il Bambino. Dall’altra parte del
Bambino sta la Madonna, vestita con abito bianco, ornato da ricami e merletti;
il Bambino indossa una tunica bianca, fermata ai fianchi da un nastro azzurro.
In questa cornice una parte integrante ma necessaria spetta al banditore
“tammurinaru”, che ha il compito di accompagnare “i santi” alla messa del 19
marzo e riaccompagnarli durante la giornata nei vari movimenti rituali. La sua
opera inizia la sera precedente quando, presenti gli esponenti principali della
famiglia, si presenta recitando “li parti di san Giuseppi” con le quali si
cantano le lodi del Santo, si inneggia alle sue virtù e s’invoca pace e prosperità
sulla famiglia che ha preparato il sacro rito dell’altare.
A san Giuseppi lu
rennu stu vutu,
di lu cummitu ni fu
avvantaggiatu;
di suli pisci
n’accattaru u scutu,
anchi lu sonu ci fu
priparatu.
A san Giuseppi lu
rennu stu vutu,
la seggia ‘mparaddisu
nna sarvatu;
e cu nmita a tri
poviri in assolutu
Diu l’aspetta a lu
celu biatu!
La figura di san Giuseppe in
questo contesto rituale rispecchia la figura del “paterfamilias”, del padrone
di casa a cui spetta in maniera esclusiva l’ultima parola; il padre a cui tutti
i componenti della famiglia devono rispetto, ubbidienza e sottomissione.
Gluriusu Giuseppi,
anticu santu;
comu è santu supra ad
ogni santu,
ogni santu ci porta
ubbidienza.
Pur’anchi ‘ncelu lu
Spiritu Santu
ci porta la so santa
ubbidienza
cuntimplandu a
Giuseppi quant’è santu
ch’è patri di la
stessa onniputenza…
L’altare di san Giuseppe è sempre
un rito di propiziazione: si prepara o per soddisfare un voto di ringraziamento
per grazia ricevuta, o per impetrare una grazia o per rendere onore al grande
patriarca. L’altare rimane, però, un fatto sociale che coinvolge la sensibilità
religiosa di tutto l’ambiente: da qui l’ostentare rami di palme sul davanzale
delle case dove è stato preparato l’altare, addobbare con mirto le zone adiacenti, organizzare la questua per
le centinaia di pietanze richieste. La visita di rito da parte del popolo ai
vari altari del paese è quasi ritenuto un obbligo, un vero pellegrinaggio tra
il folklore e il sacro. Ultimo momento, in fine, è la grande cena, a sera inoltrata,
nella casa che ha ospitato i santi: ad essa partecipano quanti si sono
adoperati per la buona riuscita della giornata in onore e gloria del grande
patriarca san Giuseppe. Tutti questi temi sanciscono una ritrovata identità e
solidarietà di gruppo; una fede spontanea quanto profonda che riguarda l’intero
popolo del territorio. I momenti fondamentali che accompagnano l’intero
svolgimento del rito di un altare si possono sintetizzare a tre: la questua, il
banchetto dei santi e il cenone finale.
La
questua
Questo primo momento inizia un mese prima della festa ed
è sempre ricorrente anche se non determinante. Esso sancisce il principio
ideologico consacrato dalla teologia. “beati i poveri in spirito, perché di
essi è il regno dei cieli” (Mt. 5,2), ma soprattutto il coinvolgimento del
popolo, che si rende presente e disponibile con il proprio contributo in natura
o in denaro. La padrona di casa effettua la questua presso il vicinato e in
tutto il centro abitato, anche se le sue condizioni economiche sono agiate. Si presenta in umiltà alla comunità
paesana recando in mano un vassoio adorno di fiori “balaco” e rivolgendo ad
ognuno l’invito: “Ci dati nenti a Sangisippuzzu?”. Domanda che risulta una
semplice formalità perché tutti rispondono con un’offerta in denaro o con la
promessa di offerte in natura a tempo
debito (farina di frumento, olio di oliva, uova “di casa”, legumi, frutta,
ortaggi, ricotta od altro).
Ogni rifiuto viene interpretato
come mancanza di rispetto verso il Santo, verso la famiglia questuante e verso
tutta la società paesana. Le offerte, infatti, sono destinate al banchetto in
onore dei santi e al cenone finale, che sarà allestito, a tarda sera, per
quanti della famiglia e del vicinato si sono adoperati per la migliore riuscita
dell’altare.
Se talvolta essa assume forme che
rasentano la superstizione, rivela certamente una religiosità sincera quanto
arcadica.
E san Giuseppi ch’è patri
d’amuri,
Patri e un patri ch’è dignu
d’amari,
Patri e un patri ch’è summu
fatturi,
Patri e un patri chi po’
fari e sfari,
Patri e un patri ch’è patri
criaturi,
Patri chi cria celu, terra e
mari;
detti putiri a san Giuseppi
lu Signuri
su quantu fici, ha fattu e
avi a fari!
Se san Giuseppe gode in
cielo di una dignità e di un potere così eccelso, il suo patrocinio verso
l’umanità può essere paragonato solo a quello di Maria della quale il divino
poeta con versi immortali canta.
“Umile ed alta più che
creatura:
termine fisso d’eterno
consiglio”.
A Dante fa eco il banditore con i suoi versi ritmici
durante lo svolgimento del banchetto in onore del Santo:
Nparaddisu Maria sedi a la
destra,
a latu lu so Figghiu, Verbu
eternu,
e san Giuseppi sedi a la
sinistra
ch’è patri, spusu virgini ed
eternu…
sedi Giuseppi na la curti
silestra
nmezzu l’autri santi chiù
superni.
Il banchetto
Il banchetto rituale segna il
vero momento magico della giornata. I tre santi, dopo avere benedetto le
pietanze con fiori di “balaco”, pregni di acqua benedetta, prendono
Posto al tavolo imbandito: il
bambino nel mezzo con le spalle rivolte all’altare, san Giuseppe alla sua
destra e la Madonna alla sinistra. Tutto il popolo durante il pranzo, che si protrae di regola per
diverse ore, sfila davanti all’altare e s’intrattiene con i santi che distribuiscono
con una certa grazia parte del loro cibo ai presenti.
Finito il banchetto, i santi
vengono accompagnati a casa e portano con sé ciascuno uno dei tre “cucciddati”.
Il banchetto rappresenta il
bisogno di riunirsi, di fare comunità, di ricostruire il senso della famiglia
in chiave cristiana, dell’unione, della concordia, del mutuo soccorso. Il
banchetto di san Giuseppe è, pertanto, una vera agape fraterna, dove senza
distinzione di casta, di cultura, di età, ci si sente figli della stessa
comunità. E’ il contrappasso di una realtà egocentrica , superba e
materialista; è la risposta dell’uomo semplice ma di fede profonda, che vive in
una società educata al lavoro e alla rinuncia e che ha sempre subìto
l’oppressione e la prepotenza del più forte. E’ il banchetto del credente che
si riscopre figlio di Dio e fratello tra i fratelli, tutti in marcia verso la
casa del Padre.
Nta un trimulizzu la morti
n’afferra
semu tutti superbia e
rimarra,
la morti cu l’arca ‘nmanu a
tutti serra
fa li cosi cueti e mai si
sgarra.
C’è lu nimicu chi tuttu si
nperra;
cu san Giuseppi nun ci voli
sciarra:
cu nmita a tri poviri ca
nterra
li nmita a chiddu munnu e un
sgarra.
Il banchetto in una
dimensione escatologica si rivela transizione alimentare, simbolo del banchetto
eucaristico dove, senza distinzione di classe, di età e di cultura, tutti
partecipano in eguale misura al sacro: da qui il dovere da parte dei presenti
di accettare quei bocconi dei santi che vengono loro destinati.
Il banchetto, infine, è
celebrazione alimentare della cultura contadina povera che rompe la regola
della dura frugalità con lo straconsumismo dei beni che sono, di norma, il
perno della sussistenza. Viene bandita, così, la carne, alimento del ceto più
abbiente, mentre la tavola viene arricchita da piatti anche i più sofisticati
ma che dicono riferimento alla vita contadina, alla vita di un popolo che
ricava dalla campagna, e solo da essa, i mezzi di sussistenza. Le pietanze,
infatti, sono tutte a base di pesce, cereali, verdure, frutti di stagione e
dolci caserecci. Il banchetto esprime idee di cooperazione sociale se, come è
vero, i piatti vengono preparati dalla famiglia, che ha organizzato l’altare,
dalle donne del vicinato e da quanti hanno contribuito in maniera diversa ad
imbandire la tavola.
Va facci da
mangiari prestu e nfua:
cu servi ntavula e cu piatta
carria.
Cu nmita a tri poviri ncasa
sua
Il cenone finale
Il cenone serotino
costituisce una parte integrante e
necessaria della manifestazione rituale e si svolge nella stessa abitazione di
chi ha reso gli onori al Santo. Al sacro banchetto, condotto con senso di
profonda religiosità e folklore e all’insegna di un protocollo ormai consacrato
dalla tradizione, fa seguito un’abbondante libagione alla quale partecipano con
i componenti della famiglia tutto il vicinato e quanti direttamente hanno
offerto la loro opera. “La pasta di san Giuseppe” è l’unico ricco piatto che
viene consumato dai presenti con un rito parareligioso che unisce sacro e
profano dove alla liturgia, che evidenzia e sublima la povertà di san Giuseppe,
fa riscontro una cena semplice ed agreste quanto abbondante per i cereali, le
verdure e gli intrugli vegetariani d’ogni sorta e il tutto riccamente condito
con olio di oliva.
La cena è consumata “a
scannaturi”, in piedi e in un clima di allegria ed esultanza, che richiama un
“quid medium” tra l’agape fraterna, che veniva consumata nelle adunanze
cristiane dei primi secoli della Chiesa, e l’orgia alimentare, tipica delle
comunità agricole e collegata al ciclo della produzione e del lavoro
collettivo.
I tre momenti (questua, sacro banchetto e cenone) si inseriscono nel
contesto economico- sociale del paese, dove vengono valorizzati i frutti della
terra, unica fonte di vita per un popolo che trae solo dall’agricoltura le sue
risorse economiche, e la famiglia, intesa come Chiesa domestica dove il
paterfamilias svolge il compito di capo e ogni componente il proprio ruolo in
spirito di coesione familiare. Da qui il divieto assoluto di servire la carne
nella festa di san Giuseppe e l’obbligo di attenersi ad una alimentazione che
dice ordine alla vita agreste. Il banchetto dà il sigillo al tema proprio della famiglia come si vede dal rituale di accesso dei santi nella casa dove è stato preparato l’altare. Per ben due volte il padrone di casa lascia fuori san Giuseppe che, accompagnato dal “tammurinaru” bussa chiedendo ospitalità; solo quando egli si presenterà non come individuo ma come componente di una famiglia ed accompagnato da Maria e Gesù, verranno spalancate le porte al grido di “Viva Gesù, Giuseppe e Maria”. E il banditore con la sua voce sonora annuncia:
Cu nmita a tri poviri ncasa
sua,
nmita a Gesù, Giuseppi e a
Maria !
sac. Prof. Don Pietro Pisciotta
Li Parti di San Giuseppi ( o le lodi di San Giuseppe )
A san Giuseppi lu rennu stu vutu,
di lu cummitu ni fu avvantaggiatu:
di suli pisci n’accattaru u scutu,
sinu lu sonu ci fu priparatu.
A san Giuseppi lu rennu stu vutu:
iddu
la seggia nparaddisu na sarvatu;
e cu nmita a tri poviri in assolutu
Diu l’aspetta a
lu celu biatu.
Biatu lu viaggiu di n’Egittu,
Maria porta Gesuzzu nta lu pettu;
san Giuseppi si vota e cuntritu
tira avanti cu lu vastuneddu.
L’angilu ci dicia “tiramu ndrittu”
a san Giuseppi cu tantu affettu;
cu nmita a li tri poviri d’Egittu,
Diu l’aspetta a lu celu dilettu.
Stamuni cu stu Diu fidili e forti
Iddu ni
duna li modi e indirizzi
e nparadisu ni rapi li porti
livannu li piccati e li vizi.
Tu iennu nparadisu ti cunorti,
ti inciammi di stu Diu putenti e liziu;
cu nmita a tri poviri a la morti
si trova san Giuseppi a lu capizzu!
Nta un trimulizzu la morti n’afferra:
semu tutti superbia e rimarra;
la morti cu l’arca nmanu a tutti
serra,
fa li cosi cueti e mai si sgarra.
C’è lu nimicu chi tuttu si
nperra:
ma cu san Giuseppi nun ci voli
sciarra.
Cu nmita a tri poviri ca nterra
li nmita a chiddu munnu e
nun sgarra.
Nun ci la sgarra, no, mentri è nfua
c’ogni vanedda va a la santa via;
cerca lu puvireddu in ogni rua,
si nun lu trova, la strada firria.
Va facci da mangiari prestu e nfua:
cu servi ntavula e cu piatti carria.
Cu nmita a tri poviri ncasa sua
nmita a Gesù, Giuseppi e a Maria!
|
Stamuni cu
Maria forti e filici,
chidda chi
nparadisu n’arridduci;
idda fu sula
vergini e nutrici
e la spera
silestra la cunnuci;
cu l’angili e
li santi mperatrici
varda lu
Figghiu so quant’esti duci.
Cu nmita a
tri poviri si dici:
abbrazza lu
santu lignu di la cruci.
Arridduciti
o cori di mitallu,
va
guarda a Gesuzzu quant’è beddu;
fu un
piccatu, picchissu parlu:
Giuda
chi lu tradì a li ribelli,
Petru
chi lu nigà e cantà lu addu
tagghià l’aricchia a Malcu cu cuteddu.
Cu
nmita a tri poviri n’farfallu
nmita Cristu: miraculu ed
agnellu.
Vinni la festa di stu santu amatu,
picchissu parlu cu parola sciota:
Maria di san Giuseppi fu nmitata
e nta na campagnedda fu arricota.
O piccaturi, nun vutari strata,
fazzi chi lu dimoniu ti vota!
Li dicinnovi di marzu, sta iurnata,
ognunu nmita a san Giuseppi, nota!
Notati, piccatura: chiddu chi
fai nvita
tu nta la bulletta la trovi
calata;
l’arma t’ha datu Diu netta e
pulita,
tu di piccati la teni
macchiata?
A Cristu tu rinnovi la firita,
nun viri ch’è di Diu la to’
chiamata?
Maria lassà un dittu: cu nmita
trova a ndu munnu la torcia
addumata!
|
Ricettario:
La pasta di San Giuseppe:
Cuocere la pasta ( come al solito); poi condire in un tegame il
tutto con vari ingredienti già cotti precedentemente: finucchieddu ,
sparaceddu, broccoli, salsa (un pizzico), fagioli, diverse verdure fritte.
Amalgamare il tutto e poi cospargere con mollica fresca e con mollica soffritta
con prezzemolo ed aglio. Servire in piatti o mangiare “ a scannaturi”.
Sfingione di San Giuseppe:
Ingredienti:
- 500 acqua ; g. 400 di farina Maiorca; g. 50 di sugna; un pizzico di sala; n. 9 uova;
Preparazione:
In un tegame mettere: l’acqua, il sale e
la sugna; quando inizia a bollire aggiungere la farina in una unica soluzione;
mescolare sul fuoco. Quando il tutto è bene amalgamato , togliere dal fuoco il
tegame e farlo alquanto raffreddare, nel frattempo aggiungere uno alla volta le
uova ed amalgamare bene. Mettere in padella ( o in un tegame) olio estra vergine (nocellara del Belice) e
durante l’ebollizione versare l’impasto preparato con un cucchiaio formando
sfingioni . Tenere presente che gli
sfingi durante la cottura si gonfiano. Riempire gli sfingi raffreddati con
ricotta condita con zucchero, pezzetti
di cioccolata e cubetti di frutta candita. Decorare ogni sfingione con strisce
di scorzetta di arancio o limone candita .
Nessun commento:
Posta un commento