Francesco Maria Graffeo o. f. m. (1685-1695)
Figura oltremodo nobile in piena età moderna fu il
vescovo francescano Francesco Maria Graffeo, mazarese di nascita, figlio di
Carlo e di Caterina Graffeo, nato e battezzato nella cattedrale di Mazara il 21
settembre 1633 (nome di battesimo Matteo Giovanni). Nobiltà di sangue, ma
soprattutto d’animo e di santità di vita caratterizzarono la sua esistenza
terrena. La Sicilia del tempo non offriva certamente rosee prospettive: la
situazione storica e gli sviluppi economici risentivano della grave crisi che
attanagliava la popolazione che a causa di pestilenze, epidemie, guerre e fame
si era considerevolmente ridotta: in cinquant’anni gli abitanti da 9143 (anno
1642) si erano ridotti a 6300 nell’anno 1699. Le relazione “ad limina apostolorum” dei Vescovi di
Mazara evidenziano i dati completi concernenti gli abitanti, l’organizzazione
ecclesiastica locale e l’azione pastorale dei suoi Vescovi. Il Vescovo era alle prese ogni giorno con i
mille problemi che attanagliavano il territorio: alla tassa sul macinato si
aggiungeva il pagamento di donativi che il Parlamento decideva in favore dal re
e che in fine finivano con il gravare solamente sui meno abbienti. Si aggiungono inoltre il giuoco d’azzardo e
la prostituzione che avevano indotti i Vescovi ad intervenire nei sinodi della
Chiesa con gravi sanzioni. La maggior parte delle entrate del Comune erano
assorbite dalla regia Corte e dalla Deputazione del regno, mentre molta gente
viveva nella squallida miseria e nell’accattonaggio. L’azione caritativa della
Chiesa in favori dei poveri e delle
categorie più a rischio avevano spinto i
Vescovi a creare luoghi di raccolta e
pii Istituti per raccogliere orfani, poveri, ragazze sole o abbandonate sul lastrico dei marciapiedi, mentre
l’autorità civile puntava il dito con bandi riguardanti soprattutto le “donne
impudiche che non possono camminare sulla strada, suonata l’ave Maria”. La Chiesa divenne così l’oasi della salvezza,
il rifugio sicuro dei poveri, il punto focale per la salvaguardia e la protezione
della persona umana. Fiorirono un numero considerevole di conventi e monasteri
femminili dove circa un migliaio di suore o monache svolgevano la loro
missione, conforme ai carismi propri di ciascuna congregazione. La Chiesa di
Mazara ebbe la fortuna di essere governata in questo secolo da Vescovi saggi
che seppero imporsi per santità di vita, capacità organizzative ed incisività pastorale. Chiude l’elenco di
fine secolo la figura mirabile di frate Francesco Maria Graffeo la cui elezione
a Vescovo di Mazara fece esultare di gioia il territorio diocesano dove il Graffeo,
figlio di Mazara, aveva operato come
Guardiano del convento dei Frati Minori Conventuali e come docente prima e
Provinciale poi della Provincia Minoritica di Sicilia.
Francesco Maria
Graffeo, proveniente da famiglia principesca, era nato a Mazara il 21 settembre
1633 e qui battezzato nella Cattedrale con il nome di Matteo Giovanni, mutato
nella professione religiosa in Francesco Maria. La famiglia francescana in
quegli anni si era solidamente affermata con conventi di Frati Minori
conventuali sorti nel secolo XIII, ancora vivo San Francesco d’Assisi, a Mazara,
Marsala e Alcamo; inoltre, dopo la pace di Caltabellotta, e con l’avvento di
Vescovi francescani a guida della Chiesa di Mazara, erano sorti nuovi conventi a Salemi (anno 1364), Monte san Giuliano–Erice
(anno 1364), Gibellina (anno 1520), Partanna (anno 1523), Castelvetrano (anno
1534), Calatafimi (anno 1543), Carini (anno 1546) e Vita (1619). Erano presenti
inoltre nel territorio diocesano i Frati Minori Osservanti con conventi propri a
Trapani “Sant’Anna” (anno 1620),
Castelvetrano “S. M. dell’Itria” (anno 1620), Salemi “S. M. degli Angeli” (anno
1622); mentre i conventi dei Frati Minori cappuccini si insediarono in tutte le
città e paesi del territorio diocesano: Castelvetrano “S. Rosalia” (anno 1546),
Trapani “Epifania” (anno 1555), Alcamo “Sant’Anna” (anno1566), Marsala “S. M.
della Pietà” (anno1571), Calatafimi “SS. Salvatore” (anno 1581), Mazara “S.
croce” (anno 1583), Salemi “SS. Salvatore” (anno 1589), Partanna “Sant’Andrea”
(anno 1598), Carini “S.M. Degli Angeli” (anno 1603), Sala di Partinico “S.M.
degli angeli” (anno 1617), e Trapani “S.M. di Porto Salvo” (anno 1617). Un vero
esercito di Frati Minori, figli del grande Francesco di Assisi, che, mentre
diffondevano ovunque la Parola di Dio e il culto mariano, riuscirono a tenere
sempre viva la fiaccola della Fede seminando la Parola, avvicinando i più umili
alla Chiesa e testimoniando ovunque il messaggio evangelico: vivere è amare;
amare è servire. A distanza di secoli la presenza francescana oggi è
determinata solo dalla presenza di due conventi di Frati Minori Cappuccini: uno
a Castelvetrano, l’altro a Salemi. A Trapani, nel convento minoritico “San
Francesco”, nel secolo XVII si recò il giovanissimo Graffeo per completare la
sua prima preparazione culturale e qui, il 26 settembre 1649, a soli sedici
anni, emise la professione religiosa. Da Trapani si trasferì a Napoli nel
convento di San Lorenzo dove studiò filosofia e teologia e il 18 dicembre 1655 fu ordinato presbitero
dal vescovo francescano fra Giuseppe de Rubeis. Conseguita la laurea magistralis in Sacra Teologia nel mese di maggio del 1659,
fu avviato all’insegnamento e lo troviamo successivamente docente a Malta, a
Messina e a Trapani. Prefetto degli studi nello studentato francescano di Palermo, si rivelò presto un
forbito oratore e viaggiò molto; più volte Guardiano in vari conventi, fu anche
Visitatore Generale. Nel 1672 resse come
Commissario la Provincia francescana di Sicilia e nel Capitolo Generale di
Caltagirone del 1681 fu eletto Ministro generale della Provincia minoritica per
il triennio 1681-1684. La sua nomina a Vescovo di Mazara arrivò il 30 aprile
1685, mentre era intento a ristrutturare il convento e l’annessa chiesa di san
Francesco in Mazara. L’antico convento,
alquanto angusto, era sorto accanto alla
chiesa di San Biagio, vicino le mura della città, in zona diametralmente
opposta alla Cattedrale; nel tempo si era ingrandito, grazie alla generosità
del barone Ugone Talach che nel 1305 aveva assegnato ai Frati una rendita annua
e di altri benefattori, tanto che il vescovo Marco La Cava il 4 ottobre 1610 aveva
scelto il convento e la chiesa come sede del 4° sinodo diocesano della Chiesa
di Mazara. Eletto Provinciale, il Graffeo volle ridare un aspetto
nuovo al Convento e alla Chiesa
di san Francesco non risparmiando forze ed energie e realizzando un
complesso architettonico d’avanguardia che nel secolo XVIII sarà scelto per ben
due volte come sede di congregazioni capitolari e nel 1812 di una terza
congregazione regionale.
La Cattedrale da normanna in stile barocco
Era intento alla realizzazione del progetto “Convento
e Chiesa” di San Francesco, quando il 23 novembre 1684 ricevette dal re Carlo
II biglietto di nomina a Vescovo di Mazara. La scelta fu ratificata da papa Innocenzo XI il 28 aprile
1685, dopo aver sottoposto il Graffeo all’esame di una commissione cardinalizia
per la nomina a Vescovo, che lo definì “Scotum
loquentem” ad indicare la profonda cultura e la eloquente facondia. Fu consacrato Vescovo a Roma il 1° maggio
1685 da Papa Innocenzo XI e prese possesso canonico della diocesi il 5 giugno.
Il decennale episcopato di mons. Francesco Maria Graffeo è scandito dalle
molteplici opere realizzate, che si trovano bene elencate ed illustrate dal
Mongitore, dal Renda-Ragusa, dal Gerardi, dal Pugliese, dal Safina e, non
ultimo, in vari studi storici del Quinci. Opere insigni e primarie furono
certamente l’ingrandimento del convento di San Francesco e la relativa
costruzione della chiesa annessa. Questa risultò ad una navata con copertura a botte lunettata, di stile
barocco, ricchissimo di affreschi, stucchi ed ori. Le pareti della navata risultarono
scandite da tre cornici disposte in forma orizzontale, il tutto arricchito da decorazioni plastiche
e pittoriche. Consacrato Vescovo, il suo primo pensiero fu la sua Cattedrale.
Uomo ricco di esperienza, scrive Alberto Rizzo Marino, si rivolse subito
all’autorità tutoria del tempo per ottenere il necessario assenso per demolire
e riedificare la Cattedrale, essendo questa di regio patronato per diritto di
fondazione. Avutane formale licenza, il 18 giugno 1690, pontificalmente
vestito, benedisse e pose la prima pietra, che fu murata con una lamina d’oro
del costo di 300 scudi, presenti il Capitolo della Cattedrale, il Presbiterio Diocesano,
il Magistrato e una moltitudine di fedeli. L’augurale solennità è riportata nel
Libro dei privilegi della Chiesa di Mazara. Il progetto di trasformazione era
stato studiato dall’architetto trapanese Pietro Castro, collaborato dal
capomastro Pietro Schifano, che si rivelarono veri maestri nell’arte del
raccordo armonico delle vecchie strutture con le nuove. Collaborarono per la
realizzazione Pietro Orlando per gli stucchi e le opere di ultima mano e i
pittori Giuseppe Felice e lo Scannatello, che già aveva dato ottime prove nel
tempio di san Francesco per le sue inventive e capacità creative. Ne venne
fuori la magnifica Basilica-Cattedrale che ancora oggi ammiriamo. Le maestranze
impiegarono quattro anni e il 6 agosto 1694 la Cattedrale fu riaperta al culto.
Il Tempio fu ricostruito, ma toccò al grande vescovo Bartolomeo Castelli,
trecento anni or sono, consacrare solennemente la mirabile opera che un altro
vescovo francescano, Costantino Trapani farà elevare a Basilica minore
vaticana. Restauratore instancabile, amò la sua città natale della quale fu
Vescovo e ne fece restaurare le mura di
cinta creando anche una porta nuova, di fronte al prospetto principale del
duomo, detta “Porta del SS. Salvatore. Instancabile e frenetico nel ricostruire
quanto necessitava al decoro e allo splendore della città, fu oltremodo
premuroso nella pastorale non trascurando mai né il poveri, nei quali
intravedeva sempre il volto di Cristo, né i fedeli affidati alle sue cure di
Pastore. Testimonianza viva rimangono i due sinodi che celebrò in Mazara e le
due sacre visite che attuò in tutta la Diocesi, ognora desideroso di assicurare
con la sua presenza di padre e pastore il massimo bene morale e spirituale
delle anime.
I due sinodi del Vescovo Francesco Maria Graffeo
I due sinodi celebrati dal vescovo Graffeo, i cui atti
non furono mai pubblicati ma sono gelosamente custoditi, manoscritti,
nell’Archivio Storico Diocesano, sono scanditi in due tempi assai significativi
e con specifica finalità: il primo, all’inizio della sua attività pastorale,
nel 1689, in vista della ricostruzione della Cattedrale, il secondo nel 1694
per consegnare la ricostruita Cattedrale alla Chiesa di Mazara. Uomo assai
pratico e ricco di grandi esperienze, nel primo sinodo affrontò in modo
speciale la discussione per la ricostruzione della Chiesa Cattedrale, madre di
tutte le chiesa parrocchiali e sede del magistero episcopale, ormai fatiscente
nelle sue strutture portanti. Non furono trascurati i gravi problemi interni
affliggevano in quegli anni Mazara e la
diocesi. Ai reiterati mali sociali si univa una strenua povertà che colpiva una
larga fascia della popolazione e quella sottocultura formata da magia, incantesimi,
sortilegi e superstizioni di ogni sorta. Se gli abitanti a Mazara si erano
ridotti appena a 6300 unità, il territorio della diocesi assommava a 120.000
fedeli, mentre il clero secolare e
religioso superava le duemila unità. Il vescovo Graffeo, sollecito del bene
spirituale e morale della sua Chiesa, si dimostrò ben consapevole che
l’antidoto più efficace ai mali del tempo era
l’istruzione, la preghiera ed una pastorale incisiva a tutti i livelli.
Il problema prioritario rimase il ripristino della Cattedrale dove il Vescovo
siede pastore e Maestro. La Cattedrale è il simbolo del Corpo mistico della
Chiesa, a cui convergono tutte le altre parrocchie. Da quando il Granconte
Ruggero l’aveva eretto, negli anni intercorrenti tra il 1085 e il 1093, la
Cattedrale era divenuta centro della vita religiosa, morale e civile della
Sicilia occidentale e il punto di convergenza di tutte le sollecitazioni
pastorali dei suoi vescovi, il centro di
fede e di comunione, la casa comune dei cristiani che in essa si riconoscono
veri fratelli. Il vescovo volle affidare a questo sinodo del 1689 il programma
coraggioso della demolizione e ricostruzione della sua Cattedrale così come nel
successivo sinodo dell’anno 1694 fu lieto di presentare alla Diocesi la nuova
Cattedrale, simbolo della rinascita della Chiesa spirituale non costruita da
mano di uomo ma dall’azione dello Spirito Santo. L’una infatti dice ordine
all’altra; il Tempio materiale è figura del tempio spirituale, che è la Chiesa,
Tempio misterioso ma reale, costruito “con pietre vive per un sacerdozio santo”
con la missione specifica di offrire
sacrifici spirituali graditi a Di, trasformando in atti di adorazione e
di amore ogni impegno e lavoro senza limiti nello spazio e nel tempo. Nel
frattempo non rimase inerte, con le braccia conserte.
Per ben due volte durante il suo governo della diocesi
visitò il territorio: i singoli paesi, città e villaggi, nella consapevolezza del suo ruolo di pastore
di questa Chiesa particolare. La visita canonica è stata istituita con una
duplice valenza: permettere al Vescovo di conoscere la Chiesa affidata alle sue
cure e sollecitudini di padre e pastore e tenersi al corrente in modo diretto
della situazione concreta della Chiesa per spronare i fedeli a compiere il
proprio dovere, conforme alla legge divina dell’amore. Così infatti hanno
sempre operato i grandi vescovi come San Basilio, san Martino e sant’Agostino;
questo si prefiggeva inoltre il Concilio di Trento quando prescrisse, come dovere personale
dell’Ordinario, la “visita pastorale” in tutto il territorio e ne codificò la obbligatorietà nella legislazione canonica. La paternità del Vescovo, “riverbero della paternità di Dio” rifulge in modo
particolare nella Visita pastorale che porta il padre in mezzo ai figli, ed
evidenzia il Pastore saggio che addita
alle pecorelle affidate alle sue cure la via che conduce ai pascoli della
salvezza. Testimonianza imperitura rimangono
gli otto faldoni di atti, relativi alle due Visite canoniche, conservati
nell’Archivio Storico, che al lettore offrono uno spaccato vivo della realtà di
Chiesa presente in Mazara ai tempi del Graffeo. A beneficio dei poveri e contro lo
strozzinaggio degli usurai eresse a Carini il Monte di pietà e contribuì in
modo decisivo a costruire la Diocesi spirituale richiedendo al clero una
maggiore preparazione culturale e pastorale e lottando contro ogni forma di
superstizione nel popolo santo di Dio. Il munifico Vescovo donò alla sua
Cattedrale un paliotto d’argento che oggi domina come frontespizio dell’altare
maggiore, candelabri di argento e vasellame vario, oggi conservati nel Museo
Diocesano. Per i canonici della Cattedrale ottenne l’uso della cappamagna e per
il Capitolo l’uso della “mazza” d’argento mentre al Magistrato cittadino
permise di sedere su apposito scanno, coperto da fodera rossa. All’improvviso,
il 16 gennaio 1695, chiuse la sua
esperienza terrena, all’età di soli 62 anni, rimpianto dal clero e dai fedeli
tutti; fu tumulato nella stessa Cattedrale, al centro dell’antico coro.
Arma araldica:
Campo d’oro, con tre sbarre d’azzurro, abbassate sotto una riga dello stesso,
sormontato da un grifo di nero passante con la branca destra erta. Lo scudo
caricato da insegna francescana.
Bibliografia: Quinci G. B., Fonti e notizie storiche sul Seminario Vescovile di Mazara, pag. 132
e ss., Palermo 1937; I Francescani a Mazara
dal 1210 ad oggi, Mazara 1927; La
cattedrale di Mazara dalla sua fondazione ad oggi, Marsala 1916; Pisciotta
P., Croce e campanile –Mazarien Ecclesia,
p. 125 e ss., Campobello di Mazara 2009; La
Chiesa di Mazara nei 900 anni della sua storia, p. 74 e ss., Istituto
Storia per la Chiesa di Mazara 1995; A. Rizzo-Marino, La Cattedrale e i vescovi di Mazara, Trapani 1980; P. Safina, Mazara sacra, anno 1900; G. Nicastro, La Sicilia occidentale nelle relazioni “ad limina”
dei vescovi della Chiesa Mazarese, vol. 2, Trapani 1988; R. Pirri, Sicilia sacra, Palermo 1733; F. Napoli, Storia della città di Mazara, Mazara 1932.
Sac. prof. Pietro Pisciotta

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