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mercoledì 19 aprile 2017

Stagioni di costa: autunno

      







     Nel dicembre del  1883 il poeta Giosuè Carducci, grande autore della letteratura internazionale dell’Ottocento, edita “San Martino” (in maremma pisana) nel supplemento di Natale dell’ Illustrazione Italiana, successivamente inserita nella raccolta di poesie “Rime Nuove”.  Di queste poesie la più conosciuta rimane indubbiamente “S. Martino”, la cui notorietà attraverserà tutto il Novecento e addirittura sul finire di quel secolo viene proposta come canzone e quindi musicata.
Il tempo in cui le rime furono ideate (fine Ottocento), l’avvento del giorno dedicato a San Martino segnava ancora la fine dell’anno agricolo trascorso e l’inizio del successivo, una sorta di capodanno che apriva quel sistema di religiosità agraria che si esprimeva attraverso una serie di ricorrenze legate all’alternanza delle stagioni e il succedersi dei lavori nella campagna. Il Novecento, e in particolare la seconda metà d’esso che ha visto la modernizzazione delle nostre campagne avviata dal progresso industriale, ha avuto tra le sue conseguenze l’appiattimento o addirittura l’estinzione delle tradizioni locali. In un certo senso nel melanconico canto del Carducci  “che dipinge con i versi all’ora del vespero” potremmo leggere una “premonizione” che accomuna il crepuscolo del paesaggio al tramonto di un calendario antico, culturalmente religioso, e gli esuli pensieri alla perdita dei valori delle tradizioni religiosamente culturali, che si allontaneranno da lì a breve con la modernizzazione della campagna e per le mutate condizioni socio-economiche e culturali.
Circa un quarantennio fa, le vie e venule che attraversano i rioni storici di Mazara, subito dopo la “Festa di li morti“, durante la settimana che precedeva l’11 novembre erano “aromatizzate” olfattivamente da un odore forte, pungente, dolciastro: era il profumo particolare dato dalle esalazioni della cottura (tricotti) di biscotti secchi aromatizzati con semi di finocchio o di anice, denominati  viscotta o panuzzi di San Martinu. La via che più delle altre godeva di questa fragranza odorosa, che ritmicamente anno dopo anno contraddistingueva il tardo autunno e l’attardarsi dell’estate che si concludeva nella cosiddetta estate di San Martino, era la “Strata di la Mastranza” ossia la via Garibaldi. Questa via, che a quel tempo era un  rilevante asse commerciale della città, era denominata dai cronisti dei quotidiani “la piccola Carnaby Street della provincia” per la quantità e varietà di negozi di moda, di musica, pasticcerie, bar, sartorie, botteghe orafe, alimentari, barbieri, tabacchi e così via; ma il laboratorio che più di tutte le altre attività dominava questa sorta di bazar persiano era il forno del mastro fornaio Martino D’Annibale. In questo forno si panificavano pani speciali, distinguibili nella fragranza sia aromatica che palatale. Chi ha avuto la fortuna di vivere il luogo in quel periodo sa di cosa sto parlando. Si riusciva a percepire il passaggio delle stagioni con il “naso”: mentre l’approssimarsi  dell’estate odorava di brioches, l’arrivo dell’inverno profumava di cassateddri, il cui ripieno, la conserva di fichi, era  aromatizzato con le scorze di mandarini e foglie di alloro, miscela questa la cui  fragranza veniva esaltata dalla cottura al  forno e dal magistero del mastro fornaio. Ma il mago Martino raggiungeva l’apice della sua bravura nella preparazione di li panuzzi di San Martinu, il cui pregnante piacevole odore si diffondeva nell’area facendoci recepire la dolcezza dell’autunno, forse perché inconsciamente voleva ipercelebrare  l’omonimo santo. Durante questo periodo, che coincideva con la svinatura, i vecchi ci ricordavano antichi proverbi agricoli  come: “a San Martinu ogni mustu bonu addiventa vinu”-  “a San Martinu si tasta lu vinu”-“A San Martinu s'ammazza lu porcu e si sazza lu vinu". Già nel tempo di cui parlo la festività di San Martino aveva un eco lontano, frammenti di antichi riti agricoli arrivavano a noi assottigliati, il cui ricordo era mantenuto in pochi detti e nella tangibilità di un piccolo pane. Oggi, di conseguenza, qualsiasi azione di ripresa delle antiche feste darebbe vita a dei falsi riti, per lo più stravolti nella loro essenza originaria. La loro storia è, comunque, narrabile ed è con questo intento, al fine di portare alla conoscenza di tutti ed in particolare dei giovani l’esule memoria delle antiche tradizioni del luogo, che l’Accademia Selinuntina di Scienze, Lettere ed Arti di Mazara del Vallo, nella sua azione di promozione della storia del territorio, di concerto con l’Azienda vitivinicola GazzeRosse, l’antica tenuta del Cav.  R. Mandina ed Antonino Cicero Editore ha promosso l’11 novembre 2016 “la Sagra del vino Novello nell’Estate di S.Martino”, evento composito, costituito da un breve recital di poesie (G.Carducci- Ibn Hamdìs) che ha accompagnato la comunicazione su “Le antiche strade del vino del XVI sec, nel territorio mazarese”, seguite da un brindisi vernacolare in omaggio ai nostri contadini, con degustazione del nuovo vino e di “li panuzzi di S. Martinu”, quindi visita agli antichi  laboratori di trasformazione dell’antica tenuta.
L’iniziativa  è nata dalla sentita necessità di attivare una sorta di riappropriazione di un’identità legata al contesto territoriale che si va affievolendo giorno dopo giorno.  Il contesto territoriale dove sorge Mazara del Vallo presenta quelle caratteristiche fisiche  che configurano il cosiddetto “giardino del Mediterraneo”, espressione di un territorio geomorfologicamente articolato e vario. In questo luogo sono presenti due torrenti, due tipi di litorale, uno roccioso l’altro sabbioso, un’area lacustre, il surrogato di una grande maremma, estese aree rocciose dette sciare frammiste a fertili terre. Il fatto di essere posta tra il mare e la terra, ha fatto sì che Mazara nel corso della sua storia abbia vissuto di una duplice economia, una di mare e l’altra di terra, con alterne vicende in cui un sistema produttivo  sopperiva alla carenza dell’altro. Nell’economie di terra  rilevante è stata quella cerealicola che faceva del porto della città uno dei caricatori più importanti della costa sud-occidentale dell’isola. A questa produzione si abbinava quella vitivinicola cospicua già al tempo dei Normanni, che in territorio di Mazara avevano sottoposto a tributi regi, con la gabella vinae Iudeorum, gli estesi feudi di Judeo sottano e Judeo soprano, possedimenti terrieri di giudei mazaresi dove si coltivava la vite. Nelle antiche carte dell’archivio storico amministrativo della città sovente si incontrano documenti inerenti il vino come ad esempio la concessione fatta dal conte Bernardo Giovanni Cabrera, signore di Mazara che confermava nel 1436  i capitoli della città abolendo anche la gabella sulla minuta vendita del vino:”… che si pozza vendere et accattare vino ad quartara franco di gabella et de ogni altro diricto” (la quartara era un’ antica misura di capacità per liquidi rispondente a circa litri 17). Altri capitoli degli anni che seguono si occupano di stabilire la  paga dei lavoratori “in lo tempo de lo conciare et zappare le vigne“ oltre che di  mettere in sicurezza i lavoratori delle vigne prima della vendemmia imponendo la rimozione delle arnie delle api collocate tra le viti: “… che tutte quelle persune che tenessero vascelli de api intro e appresso vigne …. e li hagiano a da levare di tale loco … ”. Altri documenti cinquecenteschi, invece, che sanciscono le paghe dei trasportatori di mosto, ci informano quali terre dei feudi fossero piantati a vigneti. Indizi questi utili per delineare una ricerca sulla storia della coltura della vite nel nostro territorio.
Mario Tumbiolo



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