L’Accademia Selinuntina di Scienze , Lettere ed Arti è lieta di presentare
alla fruizione dei lettori un saggio di Giovanni Isgrò
sul martire mazarese Giovanni Matteo Adami, che subì il martirio in Giapppone
il 22 ottobre 1633. Il ch.mo prof. Giovanni Isgrò,
docente universitario, membro dell’Accademia Selinuntina, con questo saggio, in
pubblicazione nella rivista “Ho Theològos” della facoltà teologica
di Sicilia, ha voluto aggiungere un prezioso tassello al movimento cittadino e
diocesano che postula oggi la beatificazione di questo nobile figlio
della terra di Mazara.
Don Pietro Pisciotta
GIOVANNI MATTEO ADAMI SOCIETATIS JESU
INTRODUZIONE
Ricostruire la vita missionaria di p. Giovanni Matteo Adami consente di
ripercorrere uno degli itinerari più drammatici dell’azione evangelizzatrice
condotta dai gesuiti in Giappone nel primo secolo della fondazione dell’Ordine.[1]
Per quanto non individuabile nella nomenclatura di maggiore rilevanza
all’interno della Compagnia di Gesù,[2]in realtà p. Adami fu molto apprezzato da personalità
di rilievo nella storia della Chiesa del suo tempo, come il cardinale Giulio
Antonio Santori e lo stesso Preposto Generale, p. Claudio Acquaviva; così come
molto vicino gli fu p. Pietro Spinelli, rettore di importanti collegi
gesuitici, compreso il Collegio Romano, dove avvenne la prima formazione di p.
Adami.
Le poche lettere manoscritte dello stesso p. Adami sopravvissute a naugragi
e traversi diverse che tormentarono le comunicazioni fra Giappone ed europa
costituiscono uno dei riferimenti più importanti per questo studio. Conservate
presso l’Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI, Jap.-Sin 34, ff.1-15) con date
di invio che vanno dal 1615 al 1624. Si tratta di lettere in lingua italiana e
in lingua portoghese. Queste ultime sono state da noi tradotte e vengono qui
pubblicate in appendice. Le lettere sono indirizzate rispettivamente a p.
Pietro Spinelli (4 febbraio 1615), al Preposto Generale, p. Claudio Acquaviva e
al suo successore (23 gennaio 1616 e 8 gennaio 1617), a p. Bernardino Confalonerio
(17 ottobre 1618), tutte inviate da Macao; e ancora a p. Nuno Mascarenhas,
assistente della Compagnia di Gesù per le provincie del Portogallo (20 ottobre
1618 e 10 ottobre 1624), inviate dal Giappone.
Copie delle lettere del 4 febbraio 1615, del 17 ottobre 1618 e del 20
ottobre 1618 che qui non si riportano, sono inviate ad altro destinatario;
rispettivamente a p. Alessandro De Angelis, a p. Carlo Rossi in Sicilia e allo
stesso p. Mascarenhas.
Il valore documentario di queste lettere consiste nel fatto che ci danno
uno spaccato della situazione delle missioni in Giappone dall’inizio delle
grandi persecuzioni. Al di fuori dall’intento ufficiale di offrire un’immagine
edificante dell’attività della Compagnia, tipica delle litterae annuae,
le lettere di p. Adami sono caratterizzate da un punto di vista assolutamente
personale rispetto all’attività dei missionari gesuiti svolta sul campo. Per
questa ragione ci offrono anche una visione critica della realtà che non
risparmia attacchi precisi al comportamento di figure responsabili (come nel
caso del Rettore del Seminario di Meaco) e al non oculato impiego delle risorse
economiche nella gestione delle residenze gesuitiche. Particolarmente polemica
appare la contrapposizione fra la situazione “in sicurezza” dei gesuiti a Macao
e la condizione di estremo pericolo vissuta dai missionari nelle terre del
Giappone. Alla testimonianza di questa rischiosa condizione che p. Adami vive
da protagonista, si associa quella di tanti martìri perpetrati nei luoghi in
cui il nostro gesuita si trovò ad operare, descritti fino all’anno 1624, ossia
nove anni prima della sua esecuzione a morte nella fossa a Nagasaki (22 ottobre
1633).
Il percorso missionario di p. Adami e il tragico suo epilogo riportano
all’attenzione la questione del mancato processo di beatificazione di questo
martire per la fede; processo che è andato a buon fine per altri padri con i
quali egli condivise la vita missionaria in Giappone, come Gironimo (o
Girolamo) De Angelis (martirizzato ad Edo il 4 dicembre 1623) o p. Giuliano
Nakaura martirizzato insieme a lui a Nagasaki.
A integrazione di quanto riportato nelle lettere autografe di p. Adami,
abbiamo iniziato il nostro studio partendo dai Monumenta Historica
Japoniae, dove sono riscontrabili, fra gli altri, i cataloghi delle
presenze dei missionari in Giappone a partire dal 1549 al 1654[3] Ciò ha consentito
di illustrare la geografia del tormentato percorso evangelizzatore di p. Adami
e di attraversare gli spazi estremi di tale itinerario, portando ad una più vulgata
conoscenza luoghi e personaggi di questa storia non soltanto gesuitica.
Le due più grandi
raccolte delle Litterae annuae, a loro volta, per quanto non comprendenti
specificatamente notizie riguardanti p. Adami in quanto precedenti il suo
arrivo in estremo oriente ed orientate ad offrire una visione edificante del
processo evangelizzatore al fine di promuovere l’azione gesuitica,
costituiscono un riferimento importante per la conoscenza del clima che
caratterizzò l’avventura della Compagnia in Giappone anche se il dramma delle
persecuzioni e dei martìri esplose dopo il primo decennio del ‘600. Le citiamo
di seguito: Cartas que os padres e irmãos da Companhia de Jesus escreverão dos Reynos
de Japão & China aos da mesma Companhia da India, & Europa, des do anno
de 1549 o de 1580, Evora, Manoel de Lyra, 1598; Cartas que os padres e irmáos
da Companhia de Jesus, que andao nos Reynos de Iapáo escreueráo aos da mesma
Companhia da India, e Europa, des do anno de 1549 ate o de 66. Nellas se conta
o principio, socesso, e bódade da Christádade daquellas partes, e varios
costumes, e idolatrias da gentilitade, Coimbra, Antonio de Maris, 1570[4].
C’è traccia del nostro gesuita, invece, in quattro lettere coeve alla sua
attività missionaria inviate dal p. provinciale Francisco Pacheco
rispettivamente il 14 gennaio e il 27 ottobre 1621 e il 12 marzo e il 16
novembre 1625, delle quali si parlerà più avanti.
Notizie su p. Adami si trovano inoltre nell’opera di p. Daniele
Bartoli, Historia della Compagnia di Giesu, Roma, De Lazzeri, 1659,
nei libri IV e V dedicati al Giappone[5].
Sul piano più strettamente personale citiamo la biografia scritta da G. M.
Dionigi, Vita del padre Giovanni Matteo Adami – Martire mazarese,
manoscritto del 1656, del quale esiste una copia dattiloscritta presso
l’Archivio Storico Diocesano di Mazara del Vallo. L’opera offre una visione
romanzata della vita di p. Adami, non supportata da riferimenti
scientificamente riscontrabili. Una citazione particolare va al pregevole
studio della compianta Francesca La Malfa, Giovanni Matteo Adami S. J.,
Mazara del Vallo, Istituto per la Storia della Chiesa Mazarese, 2014, nel quale
tuttavia è mancata un’appropriata conoscenza delle lettere in lingua portoghese
di p. Adami, fondamentali per una corretta visione del ruolo e della vita
missionaria del nostro gesuita[6].
VITA E MARTIRIO
P. Adami nasce a Mazara del Vallo il 17 maggio del 1576 da Francesco,
“secreto” e regio cavaliere, e da Smeralda Bandini, di nobili origine pisane.
Nel 1591 è a Roma presso lo zio paterno Cosimo Adami, dottore in diritto civile
e in diritto canonico, “segretario familiare” del potente giurista inquisitore
Giulio Antonio Santori, arcivescovo di Santa Severina, in quello stesso anno
nominato cardinale da Papa Pio V, e successivamente nominato Penitenziere
Apostolico da Papa Clemente VIII. A lui era spettato l’onore di consacrare la
Chiesa del Gesù di Roma, tempio massimo dell’ordine gesuitico, il 25 novembre
1584. Il 21 settembre 1595 Giovanni Matteo Adami entra nella Compagnia di Gesù,
verisimilmente consigliato dal cardinale Santori, molto vicino alla famiglia
degli Acquaviva, conti di Caserta, al cui servizio era stato il padre Leonardo,
famoso avvocato, e alla quale apparteneva p. Claudio Acquaviva, Preposto
Generale della stessa Compagnia di Gesù dal 1581 al 1615.
Nel Collegio Romano Adami studia filosofia e teologia, essendo rettore p.
Pietro Antonio Spinelli al quale rimarrà particolarmente legato da stima e
gratitudine, come si evince dalla lettera a lui inviata da Macao il 4 febbraio
1615. In questa stessa lettera p. Adami fa riferimento alla «charità» ricevuta
da p. Spinelli «ritrovandomi in Roma et Milano». Del soggiorno nella capitale
lombarda, per il quale p. Adami dovette fruire di un qualche sostegno quando
era ancora a Roma, si ha notizia soltanto in questo documento; mentre è certo
che ulteriori approfondimenti negli studi teologici e filosofici p. Adami
dovette effettuarli presso il collegio di Coimbra in Portogallo, dove
peraltro iniziò lo studio della lingua portoghese e anche la sua
preparazione all’attività missionaria alla quale il Preposto Generale p.
Claudio Acquaviva lo aveva incoraggiato.
Il 25 marzo 1602, già sacerdote, p. Giovanni Matteo Adami si imbarca nel
porto di Lisbona per l’India, dove completa i suoi studi a Goa, per dirigersi
quindi a Macao, l’avamposto cinese più vicino al Giappone.
A Macao p. Adami viene accolto presso il collegio “Madre de Deus”, dove dal
gennaio di quello stesso anno si trovava uno dei maggiori protagonisti della
storia delle missioni gesuitiche nell’estremo oriente, il padre visitatore
Alessandro Valignano, reduce dalla terza visita in Giappone (dal 5 agosto 1598
al 15 gennaio 1603). Come risulta dal catalogo dell’ottobre di quell’anno, il
collegio di Macao ospitava 29 padri, fra portoghesi e italiani, e 21 irmãos,
compresi 8 giapponesi[7].
Fondato dallo stesso p. Valignano nel 1593 e diviso in diverse classi, vi
si insegnava teologia scolastica, filosofia, umanità e grammatica, ma anche
pittura e musica. Si trattava dunque di un collegio d’eccellenza dove si
imparavano le lingue giapponese e cinese. Fortemente danneggiata nel 1597 da un
incendio e da un tifone, la struttura, grazie alla generosità dei Lusitani, era
stata ricostruita e accresciuta da una nuova grande chiesa sovrastata da
un’alta torre.
Già per il 1604 il catalogo, stilato il 23 gennaio, riporta 27 padri e 32
irmãos, di ciascuno dei quali, oltre al nome, p. Valignano, estensore del
catalogo stesso, si prese cura di indicare le note caratteristiche. P. Adami
viene così descritto: «siciliano, natural da cidade de Mazara, de idade de 27
annos, de Companhia nove, de boas forças. Acabou os studios de philosophia. Vai
agora no 4 anno de theologia»[8]. Dunque il nostro gesuita, oltre ad apparire in buona salute, sta per
concludere in quel collegio il cursus studiorum.
Nello stesso anno 1604 p. Adami salpa per il Giappone dove approda nel
porto di Nagasaki; e proprio nel collegio di questa città il 23 settembre 1604
sostiene l’esame ad gradum di quattro voti (castità, povertà,
obbedienza ed obbedienza al Papa). Trasferito ad Omura per studiare la lingua
giapponese, nell’anno 1605, il 25 luglio, gli viene affidata la residenza di
Yanagawa nel regno di Chikugo. Intitolata a Santiago Mayor, la casa gesuitica
era sorta su un terreno messo a disposizione da Tanaka Yoshimasa, un valoroso
guerriero vicino alla Compagnia di Gesù. Già al servizio di Oda Nobunaga e poi
di Toyotomi Hideyoshi, per meriti sul campo, dopo la battaglia di Sekigahara
(21 ottobre 1600), nell’anno 1601 aveva ottenuto da Tokugawa Iyeyas il feudo di
Chikugo, fissando la propria sede a Yanagawa[9].
Situata in un bel sito di questa città, dove era stata alzata anche una
grande chiesa, la residenza ospitava oltre p. Adami un irmão giapponese
,Yama João, 4 collegiali e 10 «moços de serviço»[10].
Iniziava così la vera azione missionaria di p. Adami che in un solo anno
portava alla conversione di 3.000 anime, molte delle quali sottratte
all’idolatria, e destinate a crescere nei due anni successivi, al punto che fu
necessario far costruire una nuova chiesa e nuove case ad Amagui ed a
Cami-Aquizuqui. In questo modo, nel corso delle celebrazioni della Settimana
Santa, i cristiani provenienti da queste località, uniti agli altri del regno
di Bungo, raggiungevano il numero di 5.000 unità.
Fino al mese di ottobre del 1613 la presenza di p. Adami è specificatamente
testimoniata nella residenza di Yanagawa. Lo ritroviamo, quindi, ancora per il
1614, nel catalogo dei gesuiti in Giappone insieme ad altri 62 padri ed a 53
irmãos[11]. In questo elenco sono
descritte, come di norma, le caratteristiche di ciascun gesuita. Di p. Adami si
dice che ha compiuto 38 anni, che si trova nella Compagnia da 19 e che, come
nelle note degli anni precedenti, è dotato di buone forze; conosce bene la lingua
giapponese e ancora, che è stato fatto professo di quattro voti nell’anno 1611.
È noto che nel novembre del 1614 avviene la prima espulsione dei gesuiti e
degli altri ordini religiosi nel frattempo insediatisi in Giappone. Ad essa fa
riferimento la citata lettera inviata da p. Adami a p. Pietro Spinelli il 4
febbraio 1615 da Macao, nel cui collegio egli si trova insieme a buona parte
dei gesuiti espulsi[12]. In questa lettera p. Adami scrive che per ordine del signore del Giappone
il nemico del genere umano ha attaccato il fuoco della persecuzione in diversi
regni e luoghi. Ciò è stato dovuto alle false accuse giunte all’imperatore
anche da parte di alcuni mercanti inglesi e olandesi: «alcuni gentili li quali
mossi dall’interesse proprio et odio della nostra fede diedero moltissime et
falsissime imprecazioni di lei al signore del Giappone, il quale agevolmente
dando credito a tutto quello che questi nostri inimici gli dicevano et istigato
a questo ancora dalle false accuse di alcuni inglesi et olandesi, senza fare
altra inquisizione del vero, prohibì per tutti li suoi regni la nostra santa
legge, comandando di più che tutti della nostra Compagnia si trovassero per
Macao et gli altri per le Filippine, et che tutti li cristiani se nandassero et
per questo li padri di nostra Compagnia et altri religiosi».
Molti cristiani furono nello stesso tempo martirizzati con diversi
tormenti; in buona parte bruciati vivi, altri mandati in esilio, costretti ad
abbandonare la loro terra con le loro mogli e figli. P. Adami scrive anche che
i gesuiti sono stati risparmiati dal supplizio «perché i giapponesi non si
vogliono dimostrare crudeli con i forestieri, bastandogli di mandarli fuori dal
regno». Così che nel principio del mese di novembre del 1614 per forza li
fecero imbarcare tutti. Adesso sono con lui (p. Adami) a Macao, fra gli altri,
cinque italiani: i padri Carlo Spinola, Geronimo De Angelis, Pietro Paolo
Navarro, Giovan Battista Porro, Francesco Eugenio. P. Adami scrive comunque che
confida di tornare in Giappone nel mese di «giuglio».
Nel catalogo dei gesuiti presenti nel collegio di Macao nel 1616 p. Adami è
indicato come predicatore, consultore e prefetto degli infermi. All’inizio di
questo stesso anno (23 gennaio) si riferisce la lettera in lingua portoghese
inviata da Macao al Preposto Generale, p. Claudio Acquaviva. Si tratta di un
documento di particolare interesse perché ci offre uno spaccato molto vivo e
reale degli inconvenienti rilevati da p. Adami nella gestione economica da
parte del rettore del collegio di Macao, stante l’esigenza di mantenere il più
possibile attivo il lavoro evangelizzatore dei missionari in Giappone dopo
l’espulsione e nel pieno dilagare delle persecuzioni.
Pur nel rispetto reverenziale verso il Preposto Generale, il tono
polemico con cui descrive la situazione nel collegio di Macao e
soprattutto il comportamento del suo rettore, lascia intravedere un rapporto di
conoscenza diretta da parte di p. Adami nei confronti di p. Claudio Acquaviva,
che consente all’estensore della lettera medesima di formulare con estrema
determinazione un’analisi particolarmente severa. Dal momento che, pur essendo
formalmente consultore del rettore, non viene da questi consultato sulla
conduzione dell’attività del collegio, p. Adami così elenca al Preposto Generale
le criticità da lui riscontrate:
a) la presenza dei corsi nel collegio di Macao rappresenta solo una grande
spesa priva di alcun vantaggio per il Giappone. Il costo per il sostentamento
di due maestri e dei loro discepoli ammonta a 2.000 taels all’anno, dal momento
che per ogni elemento di questa casa necessitano 45 taels annui; mentre con
quest’ultima cifra si potrebbe sostentare una piccola residenza. Inoltre la
maggior parte degli irmãos che frequentano il corso di arte e altri perdono il
fervore per la missione, perché credono che andando in Giappone verrebbe
vanificata la fatica dei loro studi.
b) Gli irmãos che rimangono nel collegio per tanto tempo formano «strani
convitti con i loro compatrioti attorno alle notizie di quel che succede in
Giappone riguardo il vitto, gli abiti, le abitazioni e perdono quella pia
affezione a quella gente la cui conversione li mosse a venire da tanto
lontano».
c) Nonostante il collegio sia sorto da tanti anni, sono pochi i gesuiti
inviati in Giappone, «poiché la maggior parte arrivò già formata dall’Europa e
dall’India e questo posto finì per essere la sepoltura per molti di loro, e
altri molti di più di quanto sia abitudine nelle nostre terre, furono espulsi».
P. Adami illustra con grande senso pratico le problematiche che egli
riscontra durante il suo soggiorno in Meaco, e prospetta al tempo stesso al
Preposto Generale soluzioni concrete per una più efficace e funzionale attività
missionaria nella terra del Giappone dove egli anela tornare. Egli sostiene che
sarebbe sufficiente inviare dall’Europa pochi elementi purché già formati, in
quanto la situazione in Giappone è tale che non ci si può permettere di erigere
grandi collegi. È sufficiente pertanto non più che qualche residenza, perché
l’esperienza insegna che dove c’è molta gente, poco si fa, perché le persone
impigriscono e scaricano il loro lavoro su qualcun altro.
Del resto, scrive Adami, anche nello stesso collegio di Macao non sono
necessari molti elementi poiché la città è piccola (via abitano soltanto cinque
o seicento portoghesi), e i cinesi non sono molto predisposti alla conversione;
e per di più esistono numerose parrocchie e frati di altri ordini i quali sono
soliti ripagare il servizio offerto dai gesuiti e le spese conseguenti «com a
moeda de engratidão», ossia con la moneta dell’ingratitudine.
Diversamente dal tono tutto positivo normalmente riscontrabile nelle
lettere annue, p. Adami rileva la scarsa affluenza nelle chiese, dove ad
esclusione delle grandi feste nel corso delle quali si canta e si danza, i
portoghesi che assistono alle messe nel tempo ordinario non superano le ottanta
unità fra uomini e donne, in una chiesa che per grandezza sembra la casa
professa di San Rocco di Lisbona. Nonostante questo, lamenta che il padre
provinciale fa costruire altre fabbriche e che il collegio di Macao non è
inferiore a quello di Goa in un tempo in cui si è poveri ed indebitati, al
punto che sono costretti a vendere le lampade d’argento e i candelieri della
chiesa.
Alla motivazione che tante nuove grandi costruzioni sono realizzate nella
previsione di accogliere eventuali nuovi esuli provenienti dalla Cina o dal
Giappone, p. Adami risponde che le strutture di tali edifici, essendo in legno,
sono destinate a marcire ben presto e a non durare a lungo. Per questa ragione
suggerisce di provvedere soltanto al bisogno.
P. Adami scrive con piglio e sicurezza e con una autorevolezza che gli
viene dalla conoscenza diretta dei problemi, paragonabile a quella dei padri
visitatori, in particolare del grande p. Alessandro Valignano che egli ebbe
modo di conoscere e che cita in questa lettera, condividendo il fatto che egli
sostenesse che il tempo delle persecuzioni in Giappone dovesse essere
utilizzato dai gesuiti esuli a Macao per perfezionarsi. Per questa ragione p.
Adami avrebbe voluto che nel corso dei quindici mesi trascorsi in quel collegio
dopo l’espulsione ci si attivasse per insegnare agli europei della Compagnia la
lingua giapponese e le caratteristiche delle sette buddhiste da contrastare poi
sul campo. Invece, secondo p. Adami, il tempo passa a Macao nell’ignavia,
sicché quando torneranno in Giappone i missionari saranno meno preparati
all’opera di conversione e al sostegno dei cristiani.
Su un’altra questione p. Adami esprime il suo disappunto; ossia che i
superiori non hanno «coraçam grande e confiança dos subditos», ossia grande
cuore e fiducia nei sottoposti, e non si allontanano da loro. In questo modo si
registra una grande perdita nella conversione dei gentili e nella coltivazione
dei cristiani; poiché spesso non si inviano missionari là dove sono necessari,
in quanto diffidano di loro, favorendo così l’ozio nel collegio e l’aumento
delle spese.
Nella lettera dell’8 gennaio 1617 inviata da Macao al nuovo Preposto
Generale, p. Muzio Vitelleschi, p. Adami scrive proprio nella qualità di
consultore, lamentando che in un anno è stato convocato dal rettore soltanto
quattro volte. Invoca pertanto la regola numero 14 dell’ordine che sia il padre
visitatore, sia il padre provinciale si sono presi carico di far rispettare. P.
Adami scrive inoltre che sono stati accolti tre novizi: due meticci nati a
Macao e un portoghese precedentemente espulso dalla Compagnia a Goa. Egli non
condivide (insieme a molti altri padri) queste ammissioni perché, a suo parere,
si tratta di tre uomini di scarsa qualità e disposizione. In particolare i due
nati a Macao sono stati già espulsi per la loro inettitudine. P. Adami lamenta
che hanno poca preparazione di spirito e poca umiltà. Ciò è dovuto alla
mancanza di un noviziato formato e al poco esercizio nella virtù e nella
mortificazione; e anche in conseguenza del fatto che i maestri dei novizi sono
scelti tra padri giovani e di poca esperienza. P. Adami informa anche che il
collegio di Macao ospita padri che hanno terminato gli studi ed operai espulsi
dal Giappone e che alcuni dei padri studiano la lingua e le sette giapponesi,
sì da diventare abili strumenti per la missione. Lamenta infine il fatto che il
rettore (come i suoi predecessori) si interessa di cose che riguardano il governo
della città e gli affari secolari, provocando lamentele da parte degli stessi
secolari e perdita di amici della Compagnia.
Nel 1618 p. Adami può finalmente lasciare Macao per fare ritorno in
Giappone. Il 20 ottobre di quell’anno è nell’isola di Amakusa da dove scrive a
p. Nuno Mascarenhas, assistente della Compagnia di Gesù per le provincie del
Portogallo, a Roma. Al suo destinatario scrive che è giunto ad Amakusa
direttamente senza passare per Nagasaki. Lì rimarrà rifugiato intanto che è in
corso la persecuzione ordinata dal re. Lo stesso padre provinciale Matteo De
Couros e altri padri sono del resto in Giappone per aiutare i cristiani. Il
padre visitatore Francisco Vieira a sua volta è venuto a confortare i padri
gesuiti[13]. La lettera è
accompagnata da un pacco col suo nome ed un altro destinato ai suoi parenti in
Sicilia contenente lettere scritte dopo tanti anni, da indirizzare alla Casa
Professa di Palermo o al Rettore del Collegio di Palermo, in modo da poterle
fare pervenire nelle mani dei suoi parenti.
Nel 1619 p. Adami è ad Ōyano, una delle isole più vicine ad Amakusa. Ne dà
notizia p. Matteo De Couros nella lettera del 15 settembre inviata dal Giappone
al Preposto Generale[14]. P. De Couros informa che p. Adami si sposta in continuazione nei regni di
Fingo e di Chicugo per dir messa.
Nel 1620, come si evince dal catalogo dei padri e degli irmãos della
provincia del Giappone stilato nel mese di settembre[15], p. Adami è ad Ōshū, il più esteso regno sito nella
parte settentrionale del territorio dell’impero giapponese. Ivi p. Adami
esercita la mansione di consultore e ammonitore del superiore, p. Geronimo De
Angelis. Ancora nel regno di Ōshū, e più precisamente nel feudo della famiglia
Gamo nella provincia di Iwashiro, p. Adami risulta essere operativo, come si
evince dalla lettera del 14 gennaio 1621 inviata dal p. provinciale Francisco
Pacheco al Preposto Generale[16]; mentre da un’altra lettera del 27 ottobre 1621 dello stesso p. Pacheco,
sappiamo che p. Adami si sposta in varie parti dei regni di Ōshū e Dewa,
insieme ai pp. Geronimo De Angelis e Diego Carvalho e all’irmão Yama Joam[17].
Anche se non si hanno notizie per l’anno 1622, non sembra ci sia stata
soluzione di continuità della permanenza di p. Adami nel regno di Ōshū almeno
fino al 1625, come si evince dalla lettera del 12 marzo 1625 inviata da p.
Pacheco al Preposto Generale[18].
Nella lettera in lingua portoghese inviata il 10 ottobre 1624 a p. Nuno
Mascarenhas, assistente della Compagnia di Gesù, p. Adami dà aggiornamenti
sulla situazione a Voxu (Ōshū) e a Deva (Dewa) «conforme a minha obrigaçam». Il
fatto che p. Adami scriva “in conformità al suo oblbigo”, testimonia che a lui
spetta il dovere di relazionare su un territorio per il quale egli ha
responsabilità diretta. In effetti, come egli scrive, nell’ottobre del 1623
erano riprese le persecuzioni nella città di Yendo (Edo, l’odierna Tokyo) che
portarono alla morte, fra gli altri, p. Geronimo De Angelis da Castrogiovanni
(Enna), fino a quel momento, come si è detto, superiore delle missioni ad Ōshū
e Dewa; incarico adesso ricoperto da p. Adami[19].
Il gesuita mazarese dà quindi notizia di persecuzioni ordinate da Masamune
nel suo regno di Xendai (Sendai), a seguito delle quali egli descrive alcuni
martìri, in particolare quello riguardante una coppia di anziani. Immersi
dapprima nelle acque gelide di un fiume, completamente nudi erano stati
condotti per la città e quindi legati ad una cancellata presso la quale furono
esposti alle intemperie fino alla morte. Un’altra coppia era stata invece bruciata
viva, mentre altri nove cristiani, fra i quali p. Diego Carvalho, erano stati
immersi per dodici ore in una vasca di acqua gelida; e altri cento bruciati
vivi ad Aquita (Akita) e Xembocu (Senboku), terre del regno di Dewa[20].
P. Adami dà inoltre notizia di altri martìri perpetrati nella provincia di
Nambu (Nanbu), a testimonianza dei suoi spostamenti in aree diverse di quella
parte del Giappone. La lettera si conclude con un ringraziamento rivolto a p.
Mascarenhas per il dono di diversi reliquiari, mentre dichiara di essere
consapevole che il giorno del suo sacrificio non tarderà molto a venire.
Nella lettera del 16 novembre 1625 inviata da p. Pacheco al Preposto
Generale si ha per la prima volta notizia del peggioramento dello stato di
salute di p. Adami: «P. João Mattheus esta muito dolente e não poder continuar
os trabalhos daquellas partes [Ōshū]». Pertanto è lo stesso p. Pacheco a
prendere la decisione di inviarlo a Kami, probabilmente perché località
giudicata meno rischiosa[21].
Da questo anno in avanti termina la corrispondenza epistolare di p. Adami,
che tuttavia è nell’elenco dei padri gesuiti presenti in Giappone stilato
nell’ultima parte della lettera inviata da p. Michael Minoes a p. Francesco
Piccolomini, segretario della Compagnia di Gesù, il 6 settembre 1627[22].
Per cinque anni, dal 1627, si perdono le tracce di p. Adami, in
clandestinità nel regno di Ōshū. Lo ritroviamo nel 1632 ad Osaka dove, secondo
quanto scrive p. Bartoli, riesce a sfuggire alla cattura insieme al suo
catechista Toiemon, grazie a Inaba, governatore di quella città, che ricevuto
l’ordine dallo Shōgun (dittatore militare) di cercarli e ucciderli, li avvertì
del pericolo imminente facendo ricorso alle grida ammonitrici di un banditore[23].
Nell’anno 1633 un altro spietato ordine dello Shōgun decretava che i
gesuiti sparsi nei regni più lontani fossero condotti a Nagasaki, intanto che
alle condanne al rogo, alla decapitazione, all’immersione nell’acqua gelida e
al tormento dell’acqua bollente, si aggiungeva una nuova forma di esecuzione,
quella della “fossa”, detta ana-tsurushi. Così ci descrive p. Bartoli questo
supplizio:
Cavata, dunque, in terra una fossa, profonda presso a quanto è l’altezza
d’un uomo e di circuito bastevole a starvi senza toccarne i lati, le rizzavano
sopra un paio di forche, piantati i due legni in piè, sì che il terzo a
traverso pendesse appunto come diametro sopra la fossa. Da questo sospendevano
per i piedi il tormentato poi, levando la fune, il calavano capovolto dentro la
fossa, chi fino alla cintola, chi fino alle ginocchia, com’era in piacere a gli
esecutori e davano volta. Così mezzo sepolto il chiudevano turando la bocca
della fossa con due tavole, aventi ciascuna una scanalatura, la metà di quanto
era grosso il corpo, intorno a cui ben si adattavano: e ciò a fin che quegli vi
stesse al buio e non se ne udisser di fuori le voci, o lodasse Iddio o
predicasse alle guardie che quivi, dì e notte, assistevano, per trarlo subito
della fossa, se il domandava, con patto di rinnegare. Intanto non gli si dava
punto di che cibarsi né che bere, affinché morisse, per dir così, di due morti
insieme, e del tormento di quel penosissimo pendere e della fame. E nondimeno
ne vedremo qui appresso de’ vivuti così tormentando, l’un fino al settimo,
l’altro fino al nono dì. Vero è che a far loro stentar cotanto la morte, valea
non poco un avvedimento che gli spietati ministri in ciò ebbero, e fu girar
intorno al corpo, a chi più e a chi meno, strettamente una fune, accioché il
sangue non iscorresse giù affatto libero al soffogarli. Ma nondimeno, e ne
ingrossava loro il capo, onde avean tutto gonfio e livido il volto (avvegnaché
talvolta aprisser loro la cotenna con molti tagliuzzi, affinché per essi il
troppo sangue a poco a poco sfogasse) e le viscere inferiori, premendosi tutte
sopra il diaframate e il cuore, e i polmoni stravolti, li tenevano in una
passione simile ad agonia. Che se poi avveniva, che dopo alcun lungo
spazio li traessero della fossa, al rimettersi in piè, e tornare il sangue in
contrario di prima e tornar le viscere al lor luogo, provavano uno spasimo, il
doppio, maggior di prima.[24]
Dopo i primi due gruppi di cinque giustiziati nella fossa, fu la volta di
p. Adami e di altri cinque gesuiti (p. Cristóvão Ferreira, p. Giuliano Nakaura,
p. Antonio Sosa, gli irmãos Remigi e Lorenzo), dei quali solo il p. provinciale
Ferreira non resse al tormento, rinnegando la sua fede.
Ancora p. Daniele Bartoli così descrive quel terribile evento:
Gli ultimi di quest’anno a mettersi nella fossa, furono sei nostri
religiosi, i tre di loro europei che sono il p. Cristoforo Ferreira,
provinciale e governatore di quel vescovado e il p. Antonio de Sosa: quegli
nato in Torres Vedras, questi in Coviglian, amendue portoghesi, e il p. Gio.
Matteo Adami, da Mazzara in Sicilia: gli altri tre giapponesi, il p. Nacaura
Giuliano e i fratelli Pietro e Matteo, novizzi, de’ quali due ultimi, le
rnemorie di que’ tempi, non ci danno altra maggior contezza. Or questi sei,
tutti insieme il medesimo martedì, diciotto d’ottobre, cominciarono la lor
carriera in verso al cielo ma, nel giungervi, v’ebbe diversità. Uno, dopo
l’andare di pochi passi, s’abbandonò e cadde tra via; gli altri cinque, chi più
tosto e chi più tardi, compierono felicemente il lor corso. E fu il debole quel
medesimo che per più ragioni dovea essere il più forte, cioè il provinciale
Ferreira, che non resse al tormento più che quattro in cinque ore, e rendutosi
e trattone, quel che di poi ne avvenisse, mi serbo, all’ultimo, il dirne ogni
cosa insieme. De gli altri, i primi a giungere alla corona, furono i tre
giapponesi che, dalla fossa, costantissimamente sofferta, il quarto dì da che
v’eran sospesi, salirono con l’anime vittoriose in cielo. Seguitolli il dì
appresso il p. Gio. Matteo Adami, ma il p. Sosa, oltre a quanti si provassero a
quell’orribil tormento, vi durò nove giorni, sentito quasi fino all’ultimo
spirito benedire Iddio e lodarlo, non senza aversi, fin da gl’Idolatri, a cosa
eccedente il possibile della natura: e con ragione; non tanto per vivere, egli,
nove dì affatto digiuno e in patimento simile ad agonia, ma perché fu condotto
alla fossa già macero e snervato dall’acqua, infusagli a forza nel ventre e a
forza spremutane in Ozaca, dove fu preso, e dal venire fin’ di colà a
Nangasachi, viaggio di molte giornate, incatenato mani e piedi e con
trattamenti da fiera. Così dispose Iddio, che di due della medesima nazione, la
fortezza dell’uno senza esempio, reintegrasse la gloria, che la debolezza
dell’altro, anch’ella senza esempio, avea in gran parte diminuita: mentre
quegli sostenne nove dì un tormento, che questi non ebbe forza da tolerarlo
cinque ore.[25]
Col martirio di Nagasaki dell'ottobre 1633 si avvicina inesorabilmente la
fine della missione gesuitica in Giappone, che tuttavia resisterà ancora poco
più che un decennio grazie al coraggio di pochi padri che vivranno in continuo
pericolo e in clandestinità.
La grande avventura della Compagnia di Gesù, che aveva avuto inizio con
l'approdo di p. Francesco Saverio nel porto di Kagoshima nell’isola di Kyushu
nel 1549, aveva portato alla costruzione di chiese, collegi, seminari,
residenze, ospedali e alla conversione di centinaia di migliaia di giapponesi
in un territorio fra i più difficili del pianeta.
A p. Giovanni Matteo Adami, giunto in Giappone proprio quando cominciarono
ad accentuarsi le ostilità nei confronti dei cristiani, va riconosciuta la
straordinaria tenacia con cui condusse l'azione missionaria fino al sacrificio
della vita.
Per questa ragione nell'anno dedicato alla "misericordia" dal
nostro Papa Francesco, gesuita anch'egli, confidiamo che questo studio possa
contribuire a portare a buon fine quel processo di beatificazione che la
comunità devota della città di Mazara del Vallo da tanto tempo attende.
Giovanni Isgrò
APPENDICE
Lettere di p. Giovanni Matteo Adami con traduzione di quelle in lingua
portoghese.
Originale
Lettera inviata da Macao a p. Pietro Spinelli
4 febbraio 1615 Macao
Molto reverendo in Christo Signore,
Pax Christi
Questi anni passati scrissi a V. R. molte volte, ancorché per mia puoca
sorte sin hora non ho recevuto alcuna sua. La causa di questo credo che non he
aver recevuto V. R. le mie lettere o essere perse le resposte loro per la
lontananza del camino et per li continui naufragii et guerre che questi anni
hanno suceduto et continuano tuttavia con tanta perdita del Giappone, et di
tutte queste indie orientali. Hor qualsivogli sii la causa, io confesso di me
che di niuna maniera me scordo, ne scordar mi posso di V. R. al quale per tanti
modi mi ritrovo obligato et della grande charità che da lei recevetti per molte
fiate ritrovandome in Roma et Milano et per testificar questo mio affetto et
palesar questi oblighi miei faccio la presente per due vie. L’una mando con il
P.e Gabriel de Naros Portughese procuratore di questa provincia per vie delle
indie orientali. L’altra mando con il P. Pietro Moraijon Castigliano per le
parti di nova Spagna dalli quali V. R. intenderà particularmente le nove di
questo suo servo, perché con ambi voi ho trattato molto tempo et specialmente
con il P.e Gabriel de Naros al quale padre molto mi ritrovo obligato per le
molte charità che da lui ho recevuto per il che priego V. R. come più
caldamente posso per mia charità vogli in particulare per mio amore fargli
particulari accoglienze et favori offerendosi cum molta devozione et ancor che
V. R. saperà il succeduto nel Giappone dalli sopradetti Padri con tutto
brevemente darò raguaglio dello stato nel quale lasciammo lui, et di questo suo
servo. Questi anni, come dell’annue passate haverà saputo V. R. il demonio in
diversi regni, et luoghi del Giappone fu atacando fuoro di perventione contro
li christiani per mezo di alcuni gentili li quali, mossi dall’interesse proprio
et odio della nostra santa fede, diedero maligne et falsissime impressioni di
lei al sig.re del Giappone, il quale ugualmente dando credito a tutto quello
che questi nostri inimici gli dicevano et istigato a questo dalle false accuse
da alcuni Inglesi et Olandesi senza fare altra inquisitione del vero, prohibì
per tutti li suoi regni la nostra santa legge, commandando di più che tutti
della nostra Compagnia si tornassero per Macao, et gli altri per le Philippine,
e che tutti li Christiani renonchessero et per questo li Padri di nostra
compagnia et altri religiosi che stavano in diverse parti furono forzati dalli
Signori delli regni et luoghi particulari a irsene per Nangasachi, et molti di
loro furono mandati con guardie di soldati et li Christiani comensarono
ad essere provati et perseguitati con diverse maniere, per il che tutta questa
christianità arse et arde in grandissima persecutione, et per questo
molti furono martirizzati, altri abrusciati vivi, altri mandati in esilio a
parti lontanissime et abandonare di tutto il soccorso humano con suoi moglie et
figliuoli, essendogli confiscati tutti li beni et questi furono moltissimi come
V. R. vederà nell’anima. Non mancarono li nostri dall’officio suo perché nel
mezo della funecazione sempre furono dando animo et consolando li perseguiti
con molti disagi et pericoli et desiderio di ancor loro offrire la vita per
amor del Nostro Signore et delle sue pecorelle. Ma non poterono ottenere quel
che bramavano perché li Giapponesi non si vogliono mostrare crudeli et
discurtesicontro li forastieri, bastandogli di mandarli fuora del suo regno.
Così che nel principio del mese di Novembre del 1614 per forza li fecero
imbarcarse nescendo per questo effetto moltissimi soldati. Et di questa maniera
alcuni Padri et fratelli andarono per le Philippine, altri per Macao, fra quali
ancor’io con loro al presente mi ritrovo in questo porto della Cina in esilio
fuori di nostra cara patria del Giappone separati, et sciolti dalli nostri
carissimi Giapponesi, et per questo fuori di tutta nostra consolatione di
questa vita. Ma confidiamo nel Signore che ci congregherà et riunirà tutti una
altra volta nel Giappone, ancorché stiamo così sparsi et divisi per suo amore.
Restammo con tutto in diverse parti del Giappone nascosti molti et molto buoni
operai della compagnia per privarce, et dar forze alli poverelli et perseguiti
christiani, apparechirasi ancor loro di havere a porre la vita per amor del suo
Signore e delle sue pecorelle, fra li quali sono cinque italiani: il P.e Carlo
Spinola, il P.e Pietro Paulo Stanarso, il P.e Gieronimo De Angelis, il P.e
Giovan Battista Porro, il P.e Francesco Eugenio. Io confido nel Signore di
haver a tornare per la mia terra di promessione per questo mese di Giuglio.
Stiamo adesso fra noi in questo colegio di Macao più di cento con molto
desiderio della nave che nel porto di Nangasachi restò, la quale piaccia a Dio
che torni asolutamente per sapere il successo della Christianità, et in
particulare della città di Nangasachi doppo la nostra partenza il signore sii […] di consolarci con una
buona nova. Questo è che mi conviene in generale per scrivere al R. delle cose
di giappone lasciando il resto all_annua. Con che gioisco racomandar dare molto
nelli SS. Purifici et orationi di V. R. Mando a V. R. con il P.e Gabriel de
Natos un a corona fatta del legno al quale furono legati et abrugiati li
gloriosi martiri di prima et una altra con il P.e Pietro Novijon et del legno
da il quale fu ligato et abrugiato il santo martire di Christo chiamato
Cagnerion Lione.
Di Macao 4 di Frevraro ibis
Di V R
Servo nel Signore
Giovanni Matteo Adami
Originale
[f. 5]
Muito R[everen]do em X.º [Christo] Padre
Pax X.ti [Christi]
O anno passado escrevi a V. P. com o P[adr]e Procurador desta Provincia.
Agora faço estas regras pera comprir com a obrigaçam que tenho de consultor do
P[adr]e Reitor deste collegio de Macao, e appontares algu[m]as cousas
pertecentes assi a toda est[a] Pro[vinci]a como em particular a este collegio.
E a primeira cousa que me se offerece brevemente appontar he o bem, e proveito,
ou o dano, e perda, que a Prov[inci]a de Japão recebe desse collegio e na
verdade a esperiencia mostra quam acertado foi o parecer de muitos Padres
graves, e esperimentados desta Prov[inci]a que derão os annos passados acerca
de ter estudo aqui. Dize[n]do que haver estudos em Macao havia de ser p[ar]a
Japão de muito gasto, e de pouco proveito. Primeiramente porque p[ar]a
sustentaçam dos mestres e discipulos ategora se gastarão cada anno dous mil
taeis de cabedal de Japão e cada sujeito desta casa tem necessidade de 45 taeis
cada anno, que postos em Japão com elles se pode sostentar hu[m]a residencia pequena.
2.º porque a esperiencia mostra, que os Irmãos, que se crian neste collegio
estudando nelle o curso d’artes, e o mais, polla mor parte perdem o primeiro
fervor, e vocaçam das missoes. Porque entendem que indo p[ar]a Japão perdem o
trabalho de seus estudos, pois não se podem servir delles em ler, e pregar, por
onde aprendem Japão como abhorrecivel sepultura de seus talentos. Alem disto
estando aqui os Ir[mã]os muito tempo, e ouvindo de mais perto o que passa em
Japão acerca do victo, vestido, morada e conversaçam com os Japões formão
estranhos convitos da terra e dos naturaes e perdem aquella pia affeiçam a
aquella gente pera aqual servir e cultivar vierão de tam longe. As quaes cousas
de raro acrecem aos que vem com os estudos acabados e determinados a padecer e
desegannados [sic, desengannados] das leituras e pulpitos. 3.º Porque em
tantos annos que ha este collegio puocos [sic, poucos] são os sujeitos
que des [sic, desde] este collegio deu a Japão, porq[ue] a mor parte
delles vierão feitos de Europa e da India e esse lugar servio pera sepultura de
muitos e delle forão muitos despididos mais que nas nossas partes. Por onde
parece que se poderia serrar o muito gasto e ficar Japão milhor provido, se
assi entender V. P. se viessem p[ar]a esta missam de quando em quando alguns
puocos [sic, poucos] sujeitos feitos, ou pelo menos com o curso acabado
e começada a theologia, qua[n]do se partem de Europa, porq[ue] assi poderão
acabar seus estudos em Goa, e em Macao, no tempo que estão esperando a moçam. E
bastão puocos [sic] porque Japão não esta pera nelle se fazerem muitos
collegios grandes, mas bastão algu[m]as residencias como a Congregaçam
Prov[inci]al escreve a V. P. porque a esperiencia mostra onde ha muita gente,
puoco [sic] se faz, porque os sujeitos se fazem preguiçosos e hu[m]
lança a carga sobre o outro.
Sendo isto assi, não ha pera que neste collegio de Macao estejão tantos
sujeitos, assi porque esta cidade he pequena, pois dizem que os moradores della
Portugueses são 500, ou 600 pouco mais ou menos; e na gente natural da terra,
não ha conversão nenhu[m]a nem aos deste collegio ategora se puserão pera os
converter, parece porq[ue] não dão de si os Chinas e também aqui estão todas as
religioes mendicantes, e a Sé, e algu[m]as freguesias, por onde o numero dos
nossos poderia chegar ao numero, que tem os collegios ordinarios da India, e
aqui antigamente havia, antes de haver Frades, porq[ue] não são necessarios
tantos Padres da Comp[anhi]a onde ha tam puoca [sic]messe e tantos
pregadores. Salvo se o Reitor deste collegio queira dar a todas as freguesias,
Sé, conventos de Frades a cada passo pregadores, como aqui se costuma. Porq[ue]
nos outros não somos obrigados a sustentar os sujeitos pera que preguem e
autorizem os conventos dos Frades e as Freguesias, os quaes trabalhos e gastos
costumão os taes pagar muitas vezes com a moeda de engratidão como a
esperiencia cada dia o mostra. E pera que saiba V. P. [f. 5v] mais
particularmente o concurso que temos a nossa igreia às pregaçoes (tirando que
ha algum grande iubileo, e festa de bailos, e danças, que aqui custumão que se
aiuntão então pouco mais) quando ha 40 Portugueses, e outras tantas molheres
entre senhoras, e moças que mais são he bom auditorio, e eu cortei nas
pregaçoes dos domingos do advento, que não passavão 20 Portugueses, e menor
numero de molheres em hu[m]a Igreia que parece na grandesa hu[m]a casa professa
de S. Roque de Lisboa.
Por onde tambem não há p[ar]a que fazer tantas obras nesse collegio, que o
P[adr]e Prov[incia]l actualmente faz, e traça mayores, querendo fazer este
collegio, que não fique enferior ao de Goa em tempo que estamos tam pobres, e
endevidados, que estamos como diz o Procurador, pera desfazer as lampadas de
prata da Igreia, e os casticaes desabares pera comer. Por onde com razão os
seus lares não se fazem capaces da nossa necessidade e pobresa, cuidando que
merecimos, e eu confesso de mi que se não soubera na realidade o estado en que
estamos, não me poderia persuadir ter a Comp[anhi]a nestas partes necessidade
fazendo os superiores tantas obras en lugar e tempo desnecessarios, ou pello
menos não urgentes. E dizerem, que he bem termos hu[m] collegio grande e capaz
p[ar]a quando acontecer termos desterrados ou da China, ou de Japão terem os
Padres onde se acolherem. A isto se poderia responder, que como a esperiencia
mostra, as fabricas desta terra logo se desfazem, e apodrecem, e não durão mais
tempo, por onde não ha p[ar]a que tanto ante não fazelas. E quando acontecerem
estes desterros, então se farão estas obras, se forem necessarias, que entam
por ventura teremos prata, que agora não a temos. Digo demais que se acontece
algu[m]a perseguiçam em Japão, como esta, a qual ainda não acabou, por ventura
que os Superiores que então sarão deixerão muito mais sujeitos em Japão como fizerão
os superiores passados na perseguiçam de Taicô, o que agora tambem podia ser,
porque os Christãos deseiaram e se offereciam a esconder muito mais Padres e o
havião de fazer fielmente, como ategora o tem feito. Porque posto que os Padres
padeçam estandado [sic, estando] escondidos, com tudo neste tempo se faz
grande serviço ao senhor, e havengo guerras, como agora as ha em Japão, se
convertem muitos porq[ue] a esperiencia mostra, que nas agoas torvas das
perseguições, e guerras se faz boa pescaria de peixes grandes, digo de
Senhores.
Não deixarei de escrever nesta duas cousas, posto que não há pera poder-lhe
dar remedio, mas he bem que V. P. as saiba. A primeira he, que na perseguiçam
passada, os obreiros de Japão se fizerão mais aptos pera a conversão dos
gentios, e trato com os Christãos, e se fizerão muitas obras, e composições
pera o proveito dos nossos e da Christandade, por onde muitas vezes ouvi da boa
mem[oria] do P[adr]e Valignano, que aquella perseguiçam Deos permetirá, pera
que com este meyo os obreiros terem tempo, pera se perfeçoar. Mas agora neste
desterro de Macao, onde está a mor parte dos Padres de Japão, e muitos delles
ainda de boa idade pera tudo, e muitos Padres, e Irmãos Japões, que são os
melhores e mais entendidos assi na lingoa, como nos estudos de Japão, ategora
havendo quinze meses, que aqui estamos, podendose fazer tam facilmente hu[m]a
academia da lingoa Japoa, e fazer aprender aos nossos Europeos as cousas das
seitas de Japão, e fazer emendar os libros compostos, e fazer fazer outros de
novo, não há nisto falar, e estamos aqui como não havessimos de tornar outra
vez a cultivar Japão, e tantu[m]abest, que os sugeitos de Japão
nesta perseguiçam fiquem melhorados, que quando tornarem p[ar]a la, tornerão
com a lingoa de Japão esquecida, e podendo tornar pera Japão muitos Padres
pregadores na lingoa da terra, cousa tam deseiavel, e que a Congregaçam
Prov[inci]al mostrou tanto deseiar, que acerca disto escreveo a V. P., tornarão
pera elle menos aptos pera a conversão dos gentios, e tento dos Christãos. E
tanto mais devera o P[adr]e Prov[inci]al por nisto suas forças, quanto parece
ser de opiniam [f. 6] que os Padres Europeos preguem. Por onde
não sei que desculpa poderão dar, porque havendo impedimentos, os quaes não os
ha como aqui todos vemos, e sabemos, doveria por tudo cortar, pera sahir com
isto, e o que he peor não faltão trabalhos aos que quere[m] aprehender as
cousas de Japão, dovendo por o contrario serem aiudados e favorecidos. Escrevi
isto, não porque por agora, se lhe possa dar algum remedio, se não p[ar]a
mostrar a V. P. a magoa que eu, e outros temos acerca deste ponto.
A outra
cousa he, que pera o bom governo destas provincias, que consistem em missoes,
he necessario que os superiores dellas tenhão coraçam grande, e confiança dos
subditos, e não mostrar de distanciar delles. Porque se for de outra maneira na
conversão dos gentios e cultivaçam dos Christãos haverà muita falta, porque não
acodem muitas vezes a mandar os missionarios la onde são necessarios por desconfiarem
delles. Daqui nasce que querem ter todos os seus subditos
consigo. De donde ne nasce outro inconveniente, que he fazer grandes casas onde
não são necessarias, e terem os sujeitos ociosos. Onde ne segue fazerem grandes
gastos, e puoco [sic]ganho nas almas e daqui vem que muitos se tentão,
particularmente os Japoes, que naturalmente são descansados e estamos em termo
de ficarmos sem obreiros dojucus, e Irmãos tambem; attendendo que os Japões são
os immediatos obreiros nesta Christandade, e elles são os catechistas, e não os
Europeos (os quaes tambem elles, como ia dici ficão nem os aptos in con[foglio
rovinato]..nentos). Por onde eu acho que hu[m]a das melhores partes de hu[m]
Superior de Japão, hé saber conservar os sujeitos e não tam facilmente botalos
porque per fazer hu[m] sugeito he necessario muito gasto, e muito tempo, salvo
quando o merecem, porque a vigilancia no superior tambem he necessaria e não
desconfiança. Porque parece que não há rezão pera ser assi, sendo que os Europeos ategora
procederão cu[m] laude, e se aconteceo algum desastre foi em […]. Escrevo isso a V. P.
porque isto agora não falta, porq[ue] por amor disto ficarão puocos [sic]em
Japão dos nossos, e são mandados menos pera la.
Não
queiro mais enfadar a V. P. com estas minhas mininices, escrevo estas cosas por
assi sentilas in D[omi]no. Podera escrever a V. P. o que passa
neste collegio acerca dos superiores, que ategora forão, que por os fazerem
arbitros em demandas, e quererem governar os da cidade, temos alcançado muitos
enemigos e porque entenderão nas cousas alheas, puoco [sic] cuidado
tiverão de seus subditos, porque o governo nestas partes ia parece mais
politico, que religioso conforme as nossas constituçoes. Mas proprio o P[adr]e
Prov[inci]al está pera por nisso e outras cousas remedio efficaz, não me ponho
a escrever sobre esta materia. E assi acabo, pedindo a sua P. a sua S. Bençam,
rogando ao Senhor, que conserve a V. P. por muitos annos a nossa Comp[anhi]a.
De Macao 23 de Janeiro 1616.
De V. P.
Servo inutil
Joam Mattheus
Adami
Pareceome de avisar a V. P. como o P[adr]e Reitor não faz consulta com seus
consultores, e disto foi avisado de seu admonitor. Mas diz elle que
immediamente trata com o P[adr]e Prov[inci]al, [seguono parole cancellate] por
onde se vai entroduzendo o governo politico, mais que religioso com
grandiss[im]os uotros [sic] inconvenientes que disto se seguem acerca do
governo do collegio.
[f. 6v]
[destinatario]
Ao Muito R[everen]do em X.to [Christo] Padre Nosso o Padre
Claudio Aquaviva Preposto Geral da Comp[anhi]a de Jesus em Roma.
1.ª via. de Macao do 1616
[f. 7]
[regesto probabilmente redatto dal segretario del generale a Roma]
P. Matteo Adamo [sic] [1]616
Japão Janeiro
Estudos do Macao, e inconvenientes obras do Coll[egi]o desnec[essari]as
quando ouver p[er]seguiça[m] então se podera[m] fazer apossentos poderase fazer
:::::: a posição e apre[n]dam a lingoa p[ar]a pregar.
Desconfiança dos P[adr]es de
q[ue] se senta[m] os Japões desconfiados.
Nossos arbitros de demandas, e com o governo da cidade o P. R[eit]or
não faz consultas
Morreo pendurado nas covas de
Japão a 22 de Outubro 1633
Traduzione
Lettera del 23 gennaio 1616 inviata da Macao al Preposto Generale P.
Claudio Acquaviva.
Molto Reverendo in Cristo Padre
La Pace di Cristo
L’anno passato ho scritto a V. P. con il padre procuratore di questa
provincia. Adesso, faccio queste regole per adempiere all’obbligo che ho in
quanto consultore del padre rettore di questo collegio di Macao. Appunterò
anche cose riguardanti la provincia intera e il collegio nel particolare. La
prima cosa che mi preme appuntare è il bene e profitto ma anche il danno e la
perdita che la Provincia del Giappone riceve da questo collegio. In effetti,
l’esperienza ha dimostrato quanto appropriato fosse il parere che negli anni
passati diedero molti padri tra i più importanti e veterani di questa provincia
riguardo tenere qui dei corsi. Affermavano che la presenza di questi corsi a
Macao rappresentava solo una grande spesa priva di alcun vantaggio per il
Giappone. In primis perché ad oggi, per il sostentamento di due maestri e i
discepoli si spendono annualmente due mila taels del capitale
del Giappone e ogni elemento di questa casa necessita di 45 taels all’anno,
con i quali in Giappone ci si potrebbe sostentare una piccola residenza.
Secondo perché l’esperienza mostra che la maggior parte dei fratelli che
frequentano il corso di arte ed altri in questo collegio perde il fervore
originario e la vocazione per la missione, perché credono che andando in
Giappone verrebbe vanificata la fatica dei loro studi, dato che non se ne
potrebbero servire nelle letture e nelle preghiere, per cui considerano il
Giappone come l’odiosa sepoltura del proprio talento. Oltre a ciò, dato che
questi fratelli rimangono qui per molto tempo, formano strani convitti con i
loro compatrioti attorno alle notizie di quel che succede in Giappone riguardo
il vitto, gli abiti, le abitazioni e perdono quella pia affezione a quella
gente la cui conversione li mosse a venire da tanto lontano. Queste cose raramente
si vedono in coloro che hanno già terminato gli studi, i quali sono determinati
a soffrire e non si lasciano ingannare dalle letture e dalle prediche dai
pulpiti. Terzo perché, nonostante il collegio è qui da tanti anni, sono pochi i
soggetti che sono stati mandati in Giappone, poiché la maggior parte arrivò già
formata dall’Europa e dall’India e questo posto finì per essere la sepoltura
per molti di loro e altri, molti di più di quanto sia abitudine nelle nostre
terre, furono espulsi. Dal che pare che si potrebbe eliminare questa grande
spesa e provvedere in maniera migliore per il Giappone, se – con la vostra
benevolenza – si inviassero a questa missione di tanto in tanto pochi elementi
formati o, quanto meno, che abbiano terminato il corso iniziale e abbiano già
iniziato a seguire il corso di Teologia prima di imbarcarsi dall’Europa,
cosicché possano terminare gli studi tra Goa e Macao mentre attendono il
monsone. E ne bastano pochi, perché la situazione in Giappone non è tale che si
possano erigere grandi collegi. Al contrario, è sufficiente non più che qualche
residenza, proprio come la Congregazione Provinciale vi ha a riferito, perché
l’esperienza insegna che dove c’è molta gente, poco si fa, perché le persone si
impigriscono e scaricano il lavoro su qualcun altro.
Stando così le cose, non è necessario che ci siano molti elementi in questo
collegio di Macao, sia perché la città è piccola, infatti sembra che i
portoghesi che vi abitino siano circa cinque o seicento, sia perché le persone
del posto non sono oggetto di conversione e fino ad ora nessuno del collegio è
stato diretto a tale compito, dato che parrebbe che i cinesi non si offrano
all’evangelizzazione. Oltretutto, qui ci sono tutti gli Ordini Mendicanti, la
diocesi e qualche parrocchia, per cui il numero dei nostri potrebbe anche
equivalere quello ordinario dei collegi in India, come succedeva in passato
prima dell’arrivo dei Frati, perché non sono necessari tanti padri della
Compagnia dove c’è una cosí scarsa mietitura e tanti pregatori. A meno che il
rettore di questo collegio non voglia offrire pregatori per qualsiasi cosa a
tutte le parrocchie, alla diocesi e ai conventi dei Frati, come si suole fare
qui. Perché noi non siamo obbligati a mantenere persone affinché preghino e
aiutino i conventi dei Frati e le parrocchie, i quali sono soliti ripagare tali
lavori e spese con la moneta dell’ingratitudine, come l’esperienza ci mostra
quotidianamente. E affinché V. P. [f. 5v] si
rendaconto di quanta gente si riunisce nella nostra chiesa durante le prediche
(escludendo i grandi giubilei e le feste, qui comuni, dove si balla e danza
quando si raccolgono un po’ più di persone), sappia che quando ci sono 40
portoghesi e altrettante donne, tra signore e fanciulle, si tratta di un’ottima
affluenza e io ho dovuto ridurre le preghiere delle domeniche di avvento, dove
non c’erano più di 20 portoghesi e ancora meno donne, in una chiesa che per
grandezza sembra la casa professa di São Roque di Lisbona.
Pertanto, non c’è ragione alcuna di costruire tante cose in questo
collegio, sebbene il padre provinciale le stia attualmente facendo e ne
progetta di maggiori, volendo che questo collegio non sia inferiore a quello di
Goa, in un tempo in cui siamo così poveri e indebitati che, secondo quanto dice
il procuratore, di qui a poco per mangiare dovremo rimuovere le lampade
d’argento e i candelieri dalla chiesa. Dal che ne consegue che i suoi piaceri
non vanno d’accordo con le nostre necessità e la nostra povertà. E io confesso
che se non conoscessi il reale stato in cui ci troviamo, non riuscirei a
credere che la Compagnia avesse tanti bisogni in queste terre, dato che i
superiori costruiscono tante cose in un luogo e in un tempo in cui non sono
necessarie, o quanto meno non urgenti. E dicono che è bene avere un collegio
grande e capace in vista dell’eventuale espulsione dalla Cina o dal Giappone,
così da avere un posto dove ospitare gli esuli. A questo si potrebbe rispondere
che, come l’esperienza ci insegna, gli edifici di questa terra si rovinano e
marciscono in fretta e non durano molto tempo, per cui tanto vale non
costruirne nessuno. E quando saremo esiliati, allora si faranno queste
costruzioni, in caso siano necessarie, che forse allora avremo quell’argento
che ora ci manca. Dico ancora che se ci sarà un’altra persecuzione in Giappone,
come questa che ancora non è terminata, forse i superiori di quel tempo
lasceranno in Giappone più persone, come fecero i superiori passati durante la
persecuzione di Taicô e che si sarebbe potuto fare anche questa volta, dato che
i Cristiani lo desiderarono e si offrirono per nascondere molti padri e lo
avrebbero fatto fedelmente, como lo stanno facendo adesso. Perché, sebbene i
padri soffrano stando nascosti, tuttavia in questo tempo si fa un grande
servizio al Signore e, in caso di guerre, come quelle che ci sono oggi in
Giappone, si convertono in molti dato che l’esperienza mostra che nelle torbide
acque di persecuzioni e guerre si pescano pesci grandi, ossia signori potenti.
Non lascerò di scrivere in questa lettera due cose, sebbene non sia
possibile rimediarvi, ma è bene che V. P. le sappia. La prima è che, nella
persecuzione passata, gli operai del Giappone si fecero più atti alla
conversione dei gentili e al trattamento dei Cristiani e si fecero molte opere
e composizioni per il progresso dei nostri e della Cristianità. Molte volte udì
il Padre Valignano di buona memoria, che era Dio a permettere quella
persecuzione, affinché gli operai avessero tempo per perfezionarsi. Ma ora in
questo esilio di Macao si trova la maggior parte dei padri del Giappone, e
molti tra questi ancora in età buona per tutto, e molti padri e fratelli
giapponesi, che sono i migliori e più esperti tanto nella lingua, come negli
studi delle cose del Giappone. Dopo quindici mesi che risiedono in questo posto,
si potrebbe fare facilmente un’accademia di lingua giapponese per insegnare ai
nostri Europei le cose delle sette del Giappone, corregere i libri scritti e
farne fare di nuovi. Ma di questo non si parla e stiamo qui come se non
torneremo di nuovo a coltivare il Giappone, e tanou[m] ab est [non
sono riuscito a decifrare queste parole] che i giapponesi possano migliorare
durante questa persecuzione, che quando torneranno là, avranno dimenticato il
giapponese e potendo tornare in Giappone molti padri che possano predicare
nella lingua della terra, cosa che la Congregazione Provinciale dimostrò di
volere tanto e ne scrisse a V. P., torneranno lì meno preparati alla
conversione dei gentili e al sostegno dei Cristiani. E tanto più dovrà mettere
le sue forze in questo il padre provinciale, quanto sembra essere
dell’opinione [f. 6] che debbano essere i padri europei a
portare avanti l’evangelizzazione. A tal riguardo non so che scuse si possano
dare, perché in caso si presentino degli impedimenti, i quali – come tutti
vedono e sanno – non ci sono, il provinciale dovrebbe fare molti tagli per
riuscire in questa cosa e la cosa peggiore è che non mancano tribolazioni per
quelli che vogliono apprendere le cose del Giappone, dovendo, invece, a tal
fine essere aiutati e favoriti. Scrivo questo non perché ora vi si possa
rimediare, ma per mostrare a V. P. il disappunto che io come altri proviamo a
tal riguardo.
L’altra cosa è che per il buon governo di queste province, che consistono
di missioni, è necessario che i superiori abbiano grande cuore e fiducia nei
loro sottoposti e non si allontanino da loro. Perché se cosí non sarà, ci sarà
grande perdita nella conversione dei gentili e nella coltivazione dei
Cristiani, perché spesso non si inviano missionari là dove sono necessari per
diffidare di loro. Ne consegue che tutti vogliono tenere i propri sottoposti
presso di sé e ne nasce un altro inconveniente, ossia la costruzione di grandi
case dove non sono necessarie e si lasciano tanti sottoposti ad oziare, il che,
di conseguenza, causa l’aumento delle spese e la diminuzione delle anime. Da
ciò si nota come molti finiscono preda delle tentazioni, particolarmente i
giapponesi, i quali tendono a rilassarsi per natura, mentre noi corriamo il
rischio di rimanere senza dōjuku e anche senza Fratelli,
tenendo sempre in considerazione che sono i giapponesi i primi operai e
catechisti di questa Cristianità, non gli europei (i quali, come ho già detto,
non sono nemmeno i più adatti [foglio rovinato]). Per cui, io credo che una
delle migliori qualità di un Superiore del Giappone sia saper conservare i
sottoposti e non congedarli con leggerezza tranne quando lo meritano, dato che
per istruirne uno è necessario molto denaro e tempo, perché per un superiore è
importante anche la vigilanza, ma non la diffidenza. Dato che pare che non ci
sia ragione affinché si faccia in questo modo, visto che gli Europei fino ad
ora hanno lavorato cum laude e quando è accaduto un disastro,
fu in preros [?]. Vi scrivo questo perché al momento tutto ciò
non manca, perché per amore di questo in Giappone sono rimasti in pochi dei
nostri e ancora meno se ne mandano.
Non voglio appesantirla oltre con queste mie quisquilie, scrivo queste cose
cosí per sentirle in Domino. Potrei scrivere a V. P. quello che
succede in questo collegio riguardo ai superiori che ci furono fino ad ora, i
quali, per essere chiamati in causa come arbitri nelle dispute e per voler essi
stessi governare le persone della città, ci hanno fatto rimediare tanti nemici
e poco si dedicavano ai loro sottoposti, occupandosi degli affari degli altri.
Il governo di queste parti, difatti, sembra essere politico più che religioso e
conforme alle nostre Costituzioni. Ma proprio il padre provinciale sta cercando
di porre efficace rimedio a questo e ad altre cose e dunque io non scrivo su
questo argomento. E cosí finisco, chiedendo la sua Santa benidizione, pregando
il Signore che conservi per molti anni la nostra Compagnia. Da Macao, 23 di
Gennaio 1616.
Di V. P.
Servo inutile
Joam Mattheus Adami
[f. 6v]
[destinatario]
Al molto reverendo in Cristo Padre Nostro il Padre Claudio Acquaviva
Preposto Generale della Compagnia di Gesù in Roma.
Prima via, da Macao, 1616
[f. 7]
[regesto probabilmente redatto dal segretario del generale a Roma]
P. Matteo Adamo 1616
Giappone Gennaio
Studi a Macao e inconvenienti
Inutili lavori nel collegio
Quando ci sarà una persecuzione, allora si potranno costruire altri spazi
Si potrà fare + posizione e apprendano la lingua per pregare
Sfiducia dei Padri che i giapponesi siano diffidenti
I nostri come arbitri nelle dispute e nel governo della città
Il P. Rettore non tiene consulte.
Morì impiccato nei pozzi del Giappone il 22 di Ottobre 1633
Originale
[f. 8]
[altra mano: 8 Januar 1617. Macao
P. Joam Matthaeus
Adami]
Muito R[e]v[eren]do in X.to [Christo] Padre
Pax X.ti [Christi]
Este anno de 1616 soubemos como Deos nosso Senhor chamou pera si ao nosso
P. Geral Claudio Aquaviva pera como a cuidadoso pai de familha lhe dar o premio
de seus muitos trabalhos, e do bom cuidado, que teve da vinha de sua
Comp[anhi]a, com a qual nova, posto que todos ficamos desconsolados, e tristes
da maneira que ficão os bons filhos com a morte de seus amorosos, e queridos
pais. Comtudo se tem pera esta dor, e sentimento com nos persuadirnos, que Deos
nosso S[enho]r pola particular, e amorosa providencia, que tem de nossa
Comp[anhi]a ia lhe terà dado por seu vigairo e successor do defunto pessoa tal,
que nella possamos reverenciar e reconoser au hum, e uotro [sic]com
multa consolaçam, e proveito de nossas almas, e bem universal de toda nossa
Comp[anhi]a. E porque aquelle, a quem Deos escolheo por seu vigairo, e Geral, e
pai de nossa Comp[anhi]a he V. P. a V. P. desde aqui do ultimo do mundo deste
Macao humilmente me inclino pedindo sua S. bençam inutil servo, e indino [sic]
filho de V. P., rogando ao Senhor, ut emittat sapientiam de sede
magnitudinis suæ, et tecum laboret, ut scias, et facias, q[uo]d acceptum sit
coram eo omni tempore.
Escrevo esta a V. P. pola obrigaçam, que tenho de Consultor do Reitor deste
Collegio de Macao; ainda que os consultores deste collegio são somente de nome;
porq[ue] por espaço de hum anno, e meyo que sou consultor não chameria o Reitor
quatro vezes a consulta. Foi avisado o Reitor que goardasse [sic,
guardasse]a regra 14 de seu officio, forão avisados tambem os PP.s [Padres]
Visitador e Prov[incia]l, que aqui estão, que lha fizessem goardar [sic,
guardar], mas ategora não vemos que se tenha posto remedio.
O anno passado forão recebidos na Comp[anhi]a tres Noviços, duos delles
mistiços filhos de Macao, e hum Portugues, que fora ia despedido da Comp[anhi]a
em Goa, o qual recebimento muitos Padres tiverão pera si desnecessario e danoso
pera a Comp[anhi]a porque todos elles são sujeitos de puocas partes, e
esperanças, e em tempo que esta Provincina havia de ser descarregada de gente
disutil. Emfim, ia os duos filhos de Macao por ineptos forão despedidos, fica
agora somente o Portugues e na verdade, como a esperiencia mostra, os Noviços
neste lugar sayem por ordinario puoco aproveitados no espiritu, e humildade;
assi por não haver Novitiado formado, nem serem exercitados bem no exercitio
das virtudes, e mortificaçam e puoco provados com os experimentos da
Comp[anhi]a; como tambem, porque os mestres dos noviços ordinariamente são
Padres mancebos e de puoca [sic, pouca] esperiencia, como V. P. pode ver
do catalogo, que va dos suieitos deste Collegio.
Como quer, que neste Collegio não ha mancebos estudantes, se não Padres com
seus estudos acabados e obreiros, que vieram desterrados de Japão, ha nelle
muita paz, e quietaçam, e procedem todos com espiritu, e devaçam, empregandose
nos exercitios, e ministerios de nossa Comp[anhi]a, conforme a ordem da
Obediencia com fruito nos proximos. Entre os Padres ha alguns, que estudam a
lingoa de Japão e as seitas delle pera se fazerem mais aptos instrumentos pera
aquella missam; e este estudo instituyo o P[adr]e Franc[is]co Viera [sic,
Vieira] Visitador depois de sua chegada a este collegio da India.
[f. 8v] O qual com sua vinda consolou muito a todos
desta Provincia. O qual, posto que he virtuoso, prudente, e esperimentado no
governo da Comp[anhi]a na India, não tem comtudo ainda esperiencia do que se
convem fazer em Japão; por onde muitos dos mais esperimentados estão
arreceando, por as traças, que mostra levar, que ordenerá cousas, que antes,
que se tornem a tirar hão de causar muita perturbaçam nos sujeitos, e no
governo aprovado por uotros [sic, outros] Visitadores, e confirmado com
a esperiencia de tantos annos.
Quanto ao governo do presente Reitor deste Collegio, posto que he suave,
não se pode chamar espiritual conforme a o instituto de nossa Comp[anhi]a
porque seguindo elle as pizadas de seu predecessor he muito dado ao trato
inutil com os seculares, por onde attendendo a o alheo, deixa o proprio, nam tendo
aquella communicaçam com seus subditos e o cuidado espiritual, que se requere
contentandose de os contentar, e ter em paz. Aqui o Reitor, nem por si, nem por
outros aquillo que se ordena nos paragrafos p[rimeir]o e 2.º da
Instruiçam Procoadiutoribus temporalibus Societatis; sendo aqui
mais necessario, que nos uotros [sic, outros] lugares, porque aqui ha
muitos coadiutores mancebos, que foram soldados, nos quaes ainda esta apegado
muito de soldadesca. Ja por vezes se ha tratado com os Superiores mayores pera
que posessem algum preceito ao Reitor deste collegio, e a qualquer uotro [sic]
Padre, que aqui estiver, pera que não se metão nas cousas do governo desta
cidade, e uotras cousas secularescas; ao que posto que os Superiores parece ter
provido, não deixa com tudo o mao custume brotar, com muito dano nosso, e
murmuraçoes dos seculares e perda dos amigos, como cada dia esperimentamos,
como saberà V. P. por cartas de uotros [sic] que estas cousas sabem
melhor. Não sou mais comprido nesta, remetendome no mais à carta, que escrevi o
anno passado. E com isto acabo pedindo a V. P. a sua Santa Benção, rogando ao
Senhor que conserve a V. P. por muitos annos a nossa Comp[anhi]a. De Macao aos
8 de Janeiro de 1617.
De V. P. muito R[everen]da
Servo inutil
Joam Mattheus
Adami
[f. 9v]
[destinatario]
Ao Muito R[everen]do em Chr[ist]o P[adr]e nosso, o P[adr]e Preposto Geral
da Comp[anhi]a de Jesu.
1.ª Via. 1617
De Macao
Roma.
Traduzione
Lettera dell’8 gennaio 1617 inviata da Macao al Preposto Generale p.
Claudio Acquaviva.
Molto Reverendo in Cristo Padre
La Pace di Cristo
Nel 1616 ci arrivò la notizia di come Dio nostro Signore chiamò a sé il
nostro Padre Generale Claudio Acquaviva, affinché, come un premuroso padre di
famiglia, potesse offrirgli il premio per le sue tante tribolazioni e per la
premura con cui si prese cura della vigna della sua Compagnia. La notizia ci ha
lasciati tutti intristiti e inconsolabili, proprio come buoni figli che perdono
i propri amati e cari genitori. Nonostante il dolore, siamo convinti che Dio
nostro Signore, tramite la personale e amorosa provvidenza che ha nei riguardi
della nostra Compagnia, avrà già scelto come suo vicario e successore del
defunto una persona tale che possiamo reverire e riconoscere con molta
consolazione e vantaggio delle nostre anime e bene universale di tutta la
nostra Compagnia. E poiché colui che Dio ha scelto per suo vicario, generale e
padre della nostra Compagnia è V. P., a V. P., da qui, dall’ultimo luogo del
mondo, da questa Macao, umilmente mi inchino chiedendo la sua santa benedizione
come servo inutile e figlio indegno, pregando al Signore, ut emittat
sapientiam de sede magnitudinis suæ, et tecum laboret, ut scias, et facias,
q[uo]d acceptum sit coram eo omni tempore.
Scrivo a V. P. per l’obbligo che ho in quanto consultore del rettore di
questo collegio di Macao, sebbene i consultori qui lo siano solamente di nome,
perché durante l’anno e mezzo in cui ho ricoperto questo ruolo, il rettore ha
convocato la consulta solamente quattro volte. Il rettore è stato richiamato
che rispettasse la regola 14 del suo seggio e anche il padre
visitatore e il provinciale che stanno qui sono stati avvisati che gliela
facessero rispettare, ma al momento non sembra vi si sia posto rimedio.
L’anno passato furono accolti nella Compagnia tre novizi, due meticci nati
a Macao e un portoghese, il quale era già stato precedentemente espulso dalla
Compagnia a Goa. Molti padri ritenevano questi ammissioni inutili e dannose per
la Compagnia, perché sono tutti i tre uomini con poche qualità e disposizione e
sono stati accolti in un momento in cui questa provincia dovrebbe essere
alleviata da gente superflua. Ad ogni modo, i due nati a Macao sono stati già
espulsi per via della loro inettitudine e ora rimane solo il portoghese. In realtà,
come ci insegna l’esperienza, i novizi di queste parti normalmente non hanno la
necessaria preparazione di spirito e di umiltà per le seguenti ragioni.
L’assenza di un noviziato formato, la loro poca pratica nell’esercizio delle
virtù e della mortificazione, la poca esperienza delle cose della Compagnia, ma
anche perché, come può vedere V. P. dal catalogo delle persone di questo
collegio, i maestri dei novizi ordinariamente sono scelti tra padri giovani e
poca esperienza.
Come vuole, in questo collegio non ci siano giovani studenti, ma solo padri
che hanno terminato gli studi e operai espulsi dal Giappone, il collegio gode
di molta pace e quiete e tutti avanzano in spirito e devozione, impegnandosi
negli esercizi e ministeri della nostra Compagnia, conformemente all’ordine di
obbedienza per il profitto del prossimo. Tra i padri ce ne sono di alcuni che
studiano la lingua e le sette giapponesi, cosí da diventare abili strumenti per
quella missione. Questo studio fu introdotto dal Padre Visitatore Francisco
Vieira una volta arrivato in questo collegio dall’India, [f. 8v] il
che fu di grande consolazione per tutti noi di questa provincia. Padre Vieira,
sebbene sia virtuoso, prudente e con molta esperienza nel governo della
Compagnia in India, ancora non ha l’esperienza adatta per decidere ciò che
conviene fare in Giappone, per cui molti tra i veterani sono preoccupati a
causa dei suoi progetti e che ordinerà di fare cose che, prima che vengano
rettificate, saranno causa di molto disturbo tra i sottoposti e nel governo
approvato dagli altri visitatori e confermato da molti anni di esperienza.
Quanto al governo dell’attuale rettore del collegio, posto che sia suave,
non si può chiamare spirituale secondo l’istituto della nostra Compagnia,
perché egli, sulle tracce dei suo predecessori, si presta molto all’inutile
rapporto con i secolari, per cui, occupandosi di cose altrui, non si occupa
delle proprie e non mantiene quella comunicazione e attenzione spiriturale
verso i suoi sottoposti che gli è richiesta, accontentandosi di accontentarli e
mantenerli in pace. Qui il rettore non fa rispettare né per sé né per gli altri
quello che si ordina nel primo e secondo paragrafo delle istruzioni Procoadiutoribus
temporalibus Societatis, nonostante sia qui più necessario che in altri
posti, perché qui ci sono molti coadiutori giovani che in precedenza erano
soldati, i quali sono tuttora molto attaccati allo spirito militaresco. Già
alcune volte si è trattato con i principali superiori affinché si imponesse
qualche precetto al rettore e a qualsiasi altro padre che fosse qui, affinché
non si immischiassero nel governo della città e altri affari secolari. Sebbene
sembri che i padri superiori vi abbiano posto rimedio, questo mal costume non
cessa di germogliare ed è causa di grande danno per noi, ma anche di lamentele
dei secolari e perdita di amici, come vediamo ogni giorno e come V. P. saprà
dalle lettere di altri che conoscono queste cose meglio di me. Non mi dilungo
oltre in questa lettera, rimandando il resto all’altra che scrissi l’anno
passato. E con questo finisco, chiedendo a V. P. la sua Santa Benedizione,
pregando al Signore che vi conservi per molti anni nella nostra Compagnia. Da
Macao, l’8 Gennaio del 1617.
Di V. P. molto Reverenda
Servo inutile
Joam Mattheus Adami
Originale
Lettera inviata dal Giappone il 17 ottobre 1618 a p. Benardino Confalonerio
assistente della Compagnia di Gesù
Molto Reverendo in Cristo Padre
La Pace di Cristo
Ancorchè doppo la mia partita di Roma a Milano, e di là a queste parti fin’
hora non habbia scritto a V.R., con tutto le posso affirmare che questo non è
stato per essermi io scordato di V.R. e delle molte sue Charità che da lei ho
ricevuto essendo il V.R. Rettore del Seminario Romano, et io prefetto di una
camera. Di questo potrà essere fidelissimo testimonio il Padre Celso
Confalonerio, mio particularissimo Padre et amico nel Signore, con il
quale così nel Giappone come in Macao con grata memoria di lei raggionai ben
spesso delle cose sue. Ma nacque per non si me offerire occasione di poterlo
debitamente fare, non volendo , io stando occupato nel servitio di questa
Christianità e V.R. in cose molto maggiori et importanti alla nostra Compagnia,
inquietarla con le mie disnecessarie lettere, contentandome nel secreto
del cuor mio raccomandarlo al Signore Iddio come di continuo ho fatto, e doppo
di haver inteso che V.R. fu eletto per uno dell’Asistenti del R.N.P. Gerato più
caldamente il faccio nelle mie fredde orationi, e prendo divoti sacrifici. Così
che faccio la presente così per il Padre Celso me lo acconsegliare, come ancora
particularmente per satisfare in parte all’obligo mio verso V. R. alla quale
molto mi raccomando nel Signore.
Io questo mese di Giuglio passato tornai di Macao secretamente
un’altra volta per il Giappone lasciando in quel collegio per Rettore al Padre
Celso molto contra sua voluntà , ma con sanità e ben disposto. La persecutione
delli Gentili contra la Christianità e ministri di lei ogni giorno va crescendo
più e più intanto che adesso particularmente li Padri di nostra Compagnia
stanno aspettando contra di noi la sentenza del Re, la quale probabilmente sarà
(se il Signore Iddio altro non dispone) che ci cerchino con diligenza per tutto
il Giappone, e trovati, o ci mandaranno un’altra volta per Macao, o ci ammazzaranno.
Piaccia al Signore di facerci degni di poter poner la vita per suo santo amore,
et honore e perché io mi cognosco indignissimo che il Signore mi faccia così
signalata gratia per li miei molti demeriti et imperfettioni nel suo santo
servitio, prego a V.R. che con le sue SS.orationi e sacrifitii me l’ottenga da
Dio. Con questa lettera mando una al Padre Carlo Rossi in Sicilia, la quale è
di cose di edificatione, se V.R. permettendolo le sue molte occupationi, la
vorrà leggere lo possa fare, e di poi di letta, mandarla al detto Padre e
perché questa non è per altro, finisco pregandola che si ricordi di me nelle
sue SS.e orationi e sacrifitii.
Del Giappone 17 di Otobre 1618
Di V.R. Servo nel Signore
Giovan Mattheo Adami
Originale
[Lettera del 20 ottobre 1618 inviata dal Giappone a p. Nuno Mascarenhas
assistente della Compagnia di Gesù]
[f. 12]
Pax Christi.
Posto que ategora não escrevi a V. R. como era minha obrigaçam dandolhe as
devidas graças pollas muitas charidades, que sendo V. R. Reitor do Collegio de
Santo Antam recebi em Lisboa até me embarcar pera estas partes; com tudo
affirmo a V. R. com toda verdade que isto não nasceo por eu esquecerme de V. R.
e de seus beneficios; mas veyo por não se me offerecer particular, e commoda
occasiam pera o fazer; não quis estando eu occupado na cultivaçam desta
Christandade, e V. R. em móres, e de muito serviço de Deus, e da Comp[anhi]a
estorvalo com minhas desnecessarias cartas, contendandome no secredo do meu
coraçam do encomandar [sic, encomendar] ao Senhor Deos como ategora fiz,
e depois de saber, que V. R. foi eleito por Assistente do N. R. P[adr]e Geral
por parte das Provincias de Portugal o faço com mor cuidado nas minhas frias
oraçoes e puoco [sic, pouco] devotos Sacrificios. Assi que agora assi
por conselho d’alguns PP.s [Padres] Portugueses
particular[men]te meus verdadeiros pais, et amigos, como tambem pera emendar os
descuidos passados me atrevi esta vez de lhe offerecer esta carta em testimunho
do muito que confesso dever a V. R. e do amor, e reverencia que lhe tenho e
juntamente em penhor [sic, penho]de lhe haver a escrever todos os annos
como he minha obrigaçam.
Escrevo esta a V. R. de Jappão pera onde este anno tornei de Macao, e agora
me acho em hu[m]a ilha por nome Amacusa, onde ha muitos Christaos, p[ar]a onde
me vim direito do Pataxo, por assi ordenar o Sup[eri]or sem chegar ategora a
Nangasaqui nem ver o P. Prov[inci]al, ou encontrar algum dos nossos P[adr]es e
estarei aqui recolhido até passar hu[m]a rija tormenta, que particular[men]te
se allevantou sobre a estada do P[adr]e Prov[inci]al, e mais P[adr]es da
Comp[anhi]a em Jappão contra a ordem do Rei delle aiuntando os Christaos, a
qual não sabemos em que parará; mas todos estamos prestes p[ar]a o que Deos for
servido ordinar de nos e particular[men]te estamos mui esforçados por este anno
tambem passar a este reino com tanto trabalho seu, e incomodidades o bem velho
Nosso P[adr]e Visitador Fran[cis]co Vieira, cuja vinda confiamos no senhor que
sará de gloria sua.
Ainda que seia esta a primeira vez, que escrevo a V. R. pera começar a
acrecentar às antigas, novas obrigaçoes, neste maço debaixo do nome de V. R. e
de sua boa so[m]bra mando uotro [sic], pera que V. R. por amor de Deus o
queira fazer encaminhar a Sicilia pera onde va, porque nelle vão cartas mui
deseiadas dos meus parentes, e são as primeiras [aggiunta posticcia: ou as 2.as]
que depois de tantos annos lhes escrevo por assi me o pedirem os Padres de lá.
As poderia V. R. fazer encomendar ao P[adr]e Preposto da Casa Professa de
Palermo, ou ao Reitor do Collegio da mesma cidade p[ar]a que possem chegarem
seguramente às maos dos meus parentes sendo delles encaminhadas pera onde
vão. E porq[ue] esta não he p[ar]a mais acabo
encomendandome de todo coraçam nos s[ant]os sacrif[ici]os e oraçoes de V. R. ao
qual o S[enh]or Deos encha com seus celestiaes does e graças. De Jappão 20 de Outubro
1618.
Joam Mattheus Adami
Traduzione
La Pace di Cristo
Sebbene fino ad oggi non ho scritto a V. R. come sarebbe mio obbligo per
darle i dovuti ringraziamenti per la molta carità che ricevei in Lisbona prima
di imbarcarmi per queste terre, quando V. R. era rettore del collegio di Santo
Antão. Ciononostante, confido in tutta sincerità che non fu per essermi
dimenticato di lei e dei suoi favori. Non volli disturbarla con le mie inutili
lettere per non essersi presentata un’occasione propizia e comoda ed per essere
io occupato nella coltivazione di questa Cristianità e V. R. in maggiori
occupazioni di gran servizio per Dio e per la Compagnia. Pertanto mi accontentai
di raccomandarla al Signore Dio nel segreto del mio cuore, come ho fatto fino
ad oggi. Ed ora che so che V. R. fu eletto come Assistente del nostro Reverendo
Padre Generale per le province del Portogallo, lo faccio con maggiore
attenzione nelle mie fredde preghiere e poco devoti sacrifici. Cosicché ora,
tanto su consiglio di sacerdoti portoghesi miei veri padri e amici, quanto per
correggere i miei errori passati, oso scrivere questa lettera come testimone
del molto amore e riverenza che devo a V. R. e come pegno di averle dovuto
scrivere tutti gli anni secondo i miei obblighi.
Scrivo questa lettera dal Giappone dove sono tornato quest’anno da Macao.
Ora mi trovo in un’isola chiamata Amakusa, dove ci sono molti Cristiani e dove
sono sbarcato direttamente dalla nave, senza passare per Nagasaki né aver visto
il padre provinciale o altri nostri padri, perché cosí ordinò il superiore.
Rimarrò qui rifugiato fino a quando sarà passata questa forte tormenta
innalzatasi a causa della permanenza in Giappone contro l’ordine del Re del
padre provinciale e altri padri della Compagnia per aiutare i Cristiani,
persecuzione che ignoriamo quando giungerà al termine. Ma siamo tutti pronti a
qualsiasi cosa ci ordinerà Dio e, in particolare, siamo molto animati per esser
venuto qui, tra molte tribolazioni e disagi, l’anziano padre nostro Visitatore
Francisco Vieira, la cui venuta confidiamo che sia per la gloria del Signore.
Sebbene sia la prima volta che scrivo a V. R., comincio ad aggiungere nuovi
obblighi agli antichi, in questo pacco col suo nome e sotto la sua ombra ne
mando un altro affinché V. R. per amor di Dio lo faccia rincamminare per la
Sicilia, perché dentro ci sono lettere molto anelate dai miei parenti e sono le
prime [aggiunta posticcia: o le seconde] che gli scrivo dopo tanti anni, dato
che me lo hanno chiesto i padri di là. V. R. le può indirizzare al padre
preposto della casa professa di Palermo o al rettore del collegio della stessa
città affinché possano arrivare sicuramente nelle mani dei miei parenti, essendo
poi nuovamente spedite ovunque essi si trovano. E poiché questa lettera non ha
altri scopi, chiudo raccomandandomi di tutto cuore ai suoi santi sacrifici e
orazioni e che sia riempito di doni e grazie dal Signore Dio. Dal Giappone, 20
Ottobre 1618.
Joam Mattheus Adami
Originale
Japon 10 oct 1624 P. Joan Matth Adami
Al P.e Assistente do Portugal Nuno Mascarenhas
Pax Christi
Nao deixarei este anno escrever a V. R. alguas novas destas partes de Voxu
e Deva conforme a minha obrigaçam porque sei que V. R. molto folgaria com ellas
polo grande amor, que tem a toda essa Christandade de Jappao e a esta affligida
Provincia.
O anno passado de 1623 começouse a renovarse a perseguicam contro os fieis
no me de Outubro na cidade de Yendo, na qual receberão a coroa do S. martirio
muitos fieis e entre elles hum religioso de S. Francisco e o Padre Jeronymo de
Angelis natural de Castrojoam no reino de Sicilia filho dimissório de N.
Compañia varão verdadeiramente apostolico, e incansável no serviço de Deos, e
na conquista das almas, o qual com razão se pode chamar Apostolo destas partes
de Voxù, e Deva, pois elle foi, que com seu grande zelo, e muitos trabalhos
abrio estes matos fechados, e plantou nelles huma nova, e grande vinha do
Senhor a qual elle só por alguns annos cultivou e acrecentou com increivel
sucesso, e conversão das almas; a qual agora com difficuldade podem cultivar
três Padres de Nossa Companhia e duos religiosos de S. Fran[cis]co. Renovouse
logo a p[er]seguiçam contro a nossa S. Feè em Yendo, e por todo Jappão, e
particularmente nestas partes de Voxù e Deva onde ao presente me acho, e nesta
só destas partes falerei.
Em Xendai estado de Masamune ouve mui cruel perseguiçam por assi mander
elle por muitos respeitos e livrarse de muitos enfadamentos. No fim do mes de
Fevereiro de 1624 foram martirizados na cidade de Xendai alguns, e entre elles
duos marido, e molher ia de muita idade, porq[ue] Ansai Jochin era de 70 annos,
e sua molher de 60, ou mais. O martirio foi levalos a o rio naquelle tempo de
grandiss[im]os frios, e neves, e la por vezes o melgulharão nelle, mas os bons
velhos perseverando na confissão da S[ant]a Feè de Christo os despirão nús, e
passarão por toda a cidade lançando sobre elles muitas vezes baldes de agoa; e
por derradeiro amarrados a huns cancelos com muita fortaleza, paciencia,
e paz derão suas almas a o S[enh]or.
No mesmo lugar em uotro [sic, outro] dia forão martirizados duos
outros marido e molher, mas estes forão assados vivos, a molher estando no meyo
das chamas começou a lancar dos olhos grande copia de lagrimas, e disse que era
tam grande a consolaçam que tinha por morrer por amor de Jesu Christo nosso
S[enh]or que por pura suavidade não podia ter as lagrimas considerando
particularmente o grande beneficio, que o S[enh]or lhe fazia por a ter posta no
numero de seus escolhidos para
[f. 14v]
o gozar eternamente no ceo. O que causou em todos grande compaixão, e
devaçam.
Aos 4 de Março no mesmo lugar forão martirizados nove, com novo, e mui
cruel, e comprido martirio. Entre elles foi o P[adr]e Diogo Carvalho natural de
Coimbra de N. Comp[anhi]a dimissório filho della, e superior da missam destas
partes, varão tambem elle verdaderamente Apostolico e grande zelosos das almas
polas quaes muito padeceo, e trabalhou em Voxù, e Deva, com muita gloria do
S[enho]r, bem das almas, e honra de N[ossa] Comp[anhi]a. O genero do martirio
foi semelhante ao que padecerão os 40 S[antissim]os martires, cuia festa
celebra a S. igreja aos 9 do mesmo mês de Março. E soffreo aquelle tormento com
tanta fortaleza, paciencia, e paz, que até os mesmos gentios ficarão pasmados,
porq[ue] nem tremeo polo frio, nem mostrou outro sinal de pena, e dor mas com
grande fervor, e zelo animava seus companheiros com seu exemplo, e palavras,
pelo que todos com grande alegria, e paciencia acabarão os trabalhos desta
vida, e forão a gozar da eterna beaventurança. E o P[adr]e foi o derradeiro de
todos, que deo sua alma ao S[enho]r que por tanta sua gloria a criara quasi a
meya noite, sendo estado naquelle tanque de agoa por espaço de 12 horas. Graças
ao S[enho]r que assi o quis escolher, e fazelo seu mimoso servo, e filho, a
glorificalo nesta vida in laboribus, p[ar]a lhe dar no ceo a coroa
preciosa da gloria. Nos deixou a todos com grandes saudades, pola grande falta
que neste tempo nos faz hum semelhante obreiro, mas confiamos no S[enho]r que
por sua intercessão nos aiudarà mais.
Em Aquita, e Xembocu terras do reino de Deva a p[er]seguiçam contro
aquelles fieis foi crueliss[im]a e rigorosiss[im]a e tal que nem nos montes, e
debaixo da neve se podião esconder os Christaos, durou a furia da p[er]seguiçam
ategora, porque quebrou sua furia com dar a palma do S[anto] Martirio a mais de
cento, dos quaes 32 forão assados vivos, e estes pola mor parte forão criados
do S[enho]r daquellas partes por nome Sataquedono, gente honrada, e principal
com seus filhos, e molheres. No tempo do martirio destes gloriosos s[ant]os o
mesmo sataquedono, e uotros [sic, outros] gentios virão cousas
maravilhosas no ar, por onde o Tono disse, que os Christãos tinhão razão morrer
por sua lei, mas prohibio, que não se falasse nellas, por não tomar mais forças
os Christaos. Polo anno com o favor divino em particular dare novas disto,
porq[ue] [f. 15] atègora não se pudi tomar informaçam fiel do
sucedido.
A Provincia de Nambu deo tambem ao ceo seus martires, de tres tivi novas
certas, entre os quaes foi hu[m]a molher de 50 annos de idade, a qual foi
atormentada com diversos generos de tormentos; e tomandos suas carnes a derão a
comer a hum tigre, que tem em hu[m]a casa feita de esteos, como hu[m]a gayola,
o qual por ordinario sustentão com carne humana dos iustiçados, vendo o tigre a
presa desceo elle de seu baileu, e cheirou a carne da S[anta] Martir de Christo
e deixandoa intacta se tornou p[ar]a o seu baileu, e por espaço de tres dias,
como me escrevem, não deceo delle, pelo que os da vijia forão forçados a tirar
fora da gayola a carne da S[anta] molher e então o tigre deceo, mas mui brava
que punha medo a todos, do que ficarão os gentios espantados. Ouve tambem neste
lugar outras maravilhas.
Este he o fruito que deo Voxù, e Deva nesta perseguiçam, e se recolheo no
ceo com grande honra da Comp[anhi]a, porq[ue] todos os sobreditos martires são
filhos da Comp[anhi]a e cultivados por os filhos della, tirando tres, que no
estado de masamune padecerão, que dizem forão dos Christaos dos P[adre]s de S.
Fran[cis]co. Nas uotras partes posto que ouve p[er]seguiçam, não foi tam cruel,
e se contentarão com destarrar alguns.
Já dei as graças a V. R. do prezente que tres annos há recebi de diversos
reliquiairos, e outras cousas de devaçam, e torno a dar as graças, porq[ue] não
sei se minhas cartas chegarião por amor de tantos naufragios e p[er]igos de
corsarios. Não quero ser mais comprido, peço a V. R. me faça charidade pedir a
N. Padre da minha parte a Sua S[anta] benção, porque parece-me que não tarderà
muito meu dia. Nos S[ant]os sacrif[ici]os e
orações de V. R. muito me encomendo. De Jappão 18 de Outubro de 1624.
Joam Matt[he]us
Adami
Traduzione
Lettera del 10 ottobre 1624 inviata al Padre Nuno Mascarenhas Assistente
della Compagnia di Gesù.
Non lascerò quest’anno di scrivere a V. R. alcune novità delle parti di
Voxu e Deva in conformità al mio obbligo perché so che V. R. le apprezzerà
molto per il grande amore che ha nei confronti di tutta la cristianità
giapponese e di questa afflitta provincia.
L’anno passato del 1623 riprese la persecuzione dei fedeli nel mese di
Ottobre nella città di Yendo, nella quale ricevettero la corona del Santo
Martirio molti fedeli e fra loro un religioso di San Francesco e il Padre
Girolamo De Angelis nativo di Castrogiovanni nel regno di Sicilia figlio
dimissorio della Nostra Compagnia uomo veramente apostolico e instancabile nel
servizio di Dio e nella conquista delle anime, il quale con ragione si può
chiamare apostolo di questa parte di Oshu e Deva in quanto fu lui che, con
grande zelo e molto lavoro, aprì queste selve serrate e vi piantò una nuova e
grande vigna del Signore la quale egli per alcuni anni coltivò da solo e
accrebbe con incredibile successo e conversione delle anime, la quale oggi è
coltivata con difficoltà da tre Padri della Nostra Compagnia e due religiosi di
San Francesco. La persecuzione contro la nostra santa fede è ricominciata
presto a Yendo, e per tutto il Giappone, e particolarmente in queste parti di
Oshu e Deva dove al presente mi trovo e solo di queste parti parlerei.
In Sendai, stato di Masamune, ci fu una crudelissima persecuzione ordinata
dallo stesso Masamune per varie ragioni e per liberarsi di molti fastidi. Verso
la fine del mese di febbraio 1624 delle persone furono martirizzate nella città
di Xendai e fra queste due mariti e mogli già piuttosto anziani, perché Ansai
Jochin aveva 70 anni e sua moglie 60 o più. Per il martirio furono portati ad
un fiume in un tempo di grandissimo freddo e neve e vi furono immersi più
volte. Tuttavia, dato che quei buoni vecchi perseveravano nella confessione
della Santa Fede di Cristo, furono spogliati completamente e condotti per tutta
la città mentre gli lanciavano in continuazione secchi d’acqua. Infine, furono
legati a dei cancelli e con forza, pazienza e pace offrirono le loro anime al
Signore.
Nello stesso luogo ma in un altro giorno furono martirizzati altri due
mariti e mogli, ma essi furono bruciati vivi. Nel mezzo delle fiamme, dagli
occhi di una delle mogli cominciò a cadere una grande quantità di lacrime ed
ella disse che era grande la consolazione che provava per morire per amore di
Gesù Cristo Nostro Signore e che non riusciva a contenere le lacrime per questa
pura gentilezza, considerando in particolare il beneficio che il Signore le
faceva nell’includerla nel numero dei prescelti per godere eternamente della
sua compagnia in cielo, il che causò in tutti grande compassione e devozione.
Al 4 di marzo nello stesso luogo furono martirizzati in nove con un nuovo,
molto crudele e lungo martirio. Fra essi ci fu Padre Diogo Carvalho nativo di
Coimbra della nostra Compagnia figlio dimissorio di essa e superiore della
missionedi queste parti, uomo anch’egli veramente apostolico e grande zelante
di anime, per le quali soffrì e lavorò molto in Voxù e Deva con molta gloria
del Signore, bene delle anime e onore della nostra Compagnia. Il tipo di
martirio fu simile a quello che patirono i 40 Santissimi martiri, la cui festa
la nostra chiesa celebra il 9 dello stesso mese di Marzo. E soffrì quel
tormento con tanta forza, pazienza e pace che addirittura gli stessi gentili
rimasero basiti, perché non tremò per il freddo né mostrò alcun segno di pena e
dolore, ma con grande fervore e zelo animava i suoi compagni col suo esempio e
le sue parole. Cosicché, tutti con grande allegria e pazienza terminarono le
sofferenze di questa vita e furono a godere dell’eterna beatitudine. E il Padre
fu l’ultimo che diede la sua anima al Signore, per la cui gloria morì intorno
alla mezzanotte, dopo di aver passato 12 ore in quella vasca d’acqua.
Ringraziamo il Signore, il quale lo scelse per farne suo fortunato servo e
figlio e glorificarlo in questa vita in laboribus al fine di
offrirgli in cielo la preziosa corona della gloria. Ci lasciò tutti con grande
nostalgia a causa della grande mancanza che di questi tempi sentiamo di un
simile operaio, ma abbiamo fiducia nel Signore che intercederà e ci verrà
ancora più in aiuto.
In Aquita e Xembocu, terre del regno di Deva, la persecuzione contro i
fedeli fu crudelissima e rigorosissima al punto che i Cristiani non si
trovavano nascondiglio né sui monti, né sotto la neve. La furia della
persecuzione perdura tuttora e diede la palma del Santo martirio a più di cento,
32 dei quali furono bruciati vivi e per la maggior parte erano servitori del
signore di quella zona chiamato Sataquedono. Era gente onorata e importante e
furono uccisi anche figli e mogli. Nel tempo del martirio di questi gloriosi
santi, lo stesso Sataquedono e altri gentili videro cose meravigliose in cielo,
il che portò il Tono a dire che i Cristiani avevano ragione a
voler morire per la loro religione, ma proibì che si parlasse di tali
meraviglie per far sí che i Cristiani non si rinvigorissero. L’anno che viene,
col favore divino darò notizie su questo, perché [f. 15] fino
ad ora non fu possibile ottenere una fedele informazione dell’accaduto.
Anche la provincia di Nambu offrì al cielo i suoi martiri. Di tre ho
notizie certe. Tra questi c’era una donna di 50 anni, la quale fu tormentata
con diversi tipi di torture. Ne presero la carne e la diedero da mangiare ad
una tigre, la quale era rinchiusa in una casa fatta di pali, simile ad una
gabbia, e ordinariamente era sfamata proprio con la carne umana dei giustiziati.
Quando vide la preda, la tigre scese dalla sua pedana e andò ad annusare la
carne della Santa martire di Cristo, ma lasciandola intatta se ne tornò sulla
sua pedana e, secondo quanto mi scrivono, non scese di lì per tre giorni, per
cui le guardie furono forzate a rimuovere la carne della Santa donna dalla
gabbia, ma in quel momento la tigre scese e mise a tutti tanta paura che i
gentili rimasero sbalorditi. Nello stesso luogo accaddero anche altre
meraviglie.
Questo è il frutto che diedero Voxù e Deva in questa persecuzione e fu
raccolto in cielo con grande onore della Compagnia, perché tutti i martiri
citati sono figli della Compagnia e coltivati dai suoi figli, con l’eccezione
di tre, che patirono nello stato di Masamune, i quali pare siano Cristiani
convertiti dai Padri di S. Francesco. Nelle altre parti, sebbene vi sia
persecuzione, non fu altrettanto crudele e fu limitata all’esilio di qualche
persona.
Ho già ringraziato V. R. per il dono di diversi reliquiari e altre cose per
la devozione che ricevetti tre anni fa, ma la ringrazio di nuovo, perché non so
se le mie lettere arriveranno a causa di tanti naufragi e per il pericolo dei
corsari. Non voglio dilungarmi oltre, le chiedo che mi faccia la carità di
chiedere a nostro Padre da parte mia la sua santa benidizione, perché mi sembra
che il mio giorno non tarderà ancora molto. Mi raccomando molto nei santi
sacrifici e orazioni di V. R. Dal Giappone, 18 Ottobre 1624.
Joam Mattheus Adami
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[1] Per una visione più ampia dell'azione evangelizzatrice della Compagnia di
Gesù in Giappone, con particolare riguardo alle pratiche sceniche messe in atto
dai padri gesuiti, rimando al mio saggio L’avventura scenica dei gesuiti in
Giappone, Di Pagina,Bari 2016.
[2] Oltre a p. Xavier, che rimase in Giappone per trenta mesi, citiamo i pp.
Torres, Frois, Valignano, Organtino, Cabral, Vilela, Pacheco, Fernandez e
l'irmão (fratello laico) Almeyda.
[3] Josef Franz Schütte(acura di),Monumenta historica Japoniae I: Textus
catalogorum Japoniae aliaeque de personis domibusque S.J. in Japonia
informationes et relationes, 1549-1654,Roma 1975.
[4] Le lettere annue furono inoltre raccolte a Roma, tradotte in italiano ed
edite, prima nella stamperia della casa professa dei gesuiti al Gesù, più tardi
dal Tramezzino a Venezia e infine dallo Zanetti a Roma, che stampò le Lettere, Avvisi e Ragguagli del Giappone negli anni 1578, 1579, 1584, 1585, 1586, 1588, 1590, 1591, 1592, 1593.
[5] Come è noto, a p. Daniele Bartoli si deve un lungo ed estenuante lavoro di
assemblaggio e ordinamento di una vastissima mole di documenti inediti provenienti
dalle missioni e che afferiva a Roma, riguardanti l'India, la Cina e il
Giappone. Si vedano inoltre E. Aguileira, Provinciae Siculae
Societatis Iesu ortus et res gestae ab anno 1612 ad annum 1672, II, Panormi
1740, 284-5; P. d’Alegambe, Mortes illustres et
gesta eorum S. I. qui in odium fidei ... necati aerumnisve confecti sunt, Roma, 1657, 31-3; A.
de Andrade, Varones Ilustres en Santidad, Letras y
zelo de las almas de la Compañía de Jesús,Madrid, José Fernández de Buendía, VI,
1667, 602-619; A. F. Cardim, Fasciculus e Iapponicis
floribus, suo adhuc madentibus sanguine compositus, Corbellettii, Roma
1646; Masaharu Anesaki, A concordance to the history of Kirishitan
missions: (Catholic missions in Japan in the sixteenth and seventeenth centuries, Office of the Academy,
Tokyo 1930, 160; C. E. O’Neill, Diccionario histórico de
la Compañía de Jesús biogràfico-temàtico, Institutum Historicum S.I. e Universidad
Pontifica Comillas, Roma-Madrid 2001, I, 15, III . 2798, IV 3615; E. De
Guilhermy, Menologe de La Compagnie de Jesus, Part 2, Paris 1894, 411; M.
Tanner, Societas Jesu usque ad sanguinis et vitae
profusionem militans in Asia, Typis Universitatis Carolo-Ferdinandæ in
Colegio Societatis Jesu, Pragæ 1675,pp. 346-349, 362-367, 412.
[6] Inesatta è, fra le altre, l’affermazione che p. Adami sarebbe stato
nominato nel 1616, peraltro dal già defunto p. Acquaviva, vicario del Preposto
Generale e rettore del collegio di Macao, quando invece Adami in quell’anno,
1617, è soltanto consultore di quel rettore.
[7] Cfr. Monumenta Historica Japoniae, cit., I, 453
sgg. Avviata nel 1575 la consuetudine di stilare cataloghi brevi relativi alla
presenza dei padri gesuiti in India, a partire dal dicembre 1579 anche le missioni
giapponesi furono monitorate attraverso cataloghi, tuttavia di maggiore
consistenza informativa. Ciò fu dovuto all’azione regolarizzatrice svolta da p.
Valignano in occasione della prima visita in Giappone dal 25 luglio 1579 al 20
febbraio 1582. Il primo catalogo riguardante specificamente la città di Macao è
datato 25 ottobre 1581.
[12] Esistono due copie di questa lettera in quanto affidate contemporaneamente
per due vie, quella delle Indie e quella delle Filippine, rispettivamente a p.
Gabriel De Naros, portoghese, procuratore di quella provincia ed a p. Pietro De
Morecon, castigliano.
[13] Sulla coraggiosa visita di p. Vieira sfuggito miracolosamente alla cattura
e costretto a nascondersi in luoghi di fortuna (per 40 giorni dimorò in una
barca lontano dalla costa di Nagasaki), si veda D. Bartoli, cit., IV, 14. Lo
stesso Bartoli descrive la lunga permanenza del padre visitatore in capanne di
paglia costruite a Fukaie e a Katsusa, di ritorno dalle visite effettuate a
Sakai, Osaka e Meaco.
[19] P. Bartoli così descrive il supplizio inflitto a p. De Angelis e ai
compagni di martirio: «I quattro di decembre, piantate già le colonne e
disposte loro intorno le legne per arderli, ne vennero gli esecutori alla
carcere e cominciato, dal p. de Angelis, nel condusser fuori e gli trassero
delle gambe i ferri e, legategli dietro le braccia, gli gittarono una grossa
fune al collo, raccomandatone il capo alle mani d’un manigoldo, poi all’altro
religioso di s. Francesco e similmente a’ compagni dello steccato, tutti
insieme. Così legati, ordinarono al p. de Angelis che salisse a cavallo,
acconciatagli prima dietro una banderuola di carta che gli sopravanzava il
capo, scrittovi dentro questa sola parola padre, e similmente il Galvez e il
santo confessore di Cristo, Fara Mondo Giovanni, quello dalle mani e i piè
smozzicati e con la croce stampata in fronte: e nella banderuola, il suo nome.
Questi tre soli furon messi a cavallo, i quarantotto a piedi, divisi in tre
parti uguali di sedici l’una e dietro a ciascun de’ tre a cavallo, una d’esse.
Innanzi a tutti andava il p. de Angelis seguitato dal f. Iempo Simone, da Lione,
suo albergatore, e da gli altri quattordici in fila, l’un dopo l’altro, con a
lato il carnefice che il teneva per lo capestro strettogli alla gola. Poi il p.
fra Galvez con appresso altrettanti, l’ultimo, Fara Mondo Giovanni, e dietrogli
il rimanente. Innanzi, e dopo essi, i capi della giustizia e da amendue verso
Iendo, ed or con gli occhi in cielo or calati sopra esso, con grande
espressione d’affetto pregare (a quel che si poté giudicarne) Iddio a
illuminare l’uno e l’altro signor del Giappone, che quivi erano. Poi levatasi
alto la fiamma e sospintagli contro dal vento che traeva gagliardo, rivolse a
lei la faccia e, senza più muoverla punto, si stette ricevendone
quell’avventarglisi ch’ella faceva onde, anche perciò, ammirati i gentili
dicevano che ben si era eletto il più valoroso ad essere il capitano: egli al
venire in campo era stato il condottiere de gli altri, egli il più intrepido ad
incontrare e vincere il nemico. Bella anche a vedere fu la diversa postura in
che morirono questi tre santi uomini ed in che, morti, rimasero. Al Galvez i
legami durarono intieri ed egli, da essi pendente, restò diritto in piè. Fara
Mondo arsagli giù da piè la colonna, cadde steso con essa. Il p. de Angelis
loro in mezzo, abbruciate in parte le funi e già mancando, inginocchiossi,
spirò e così ginocchioni rimase. Era di cinquantasei anni, de’ quali trentotto
era vivuto nella Compagnia e ventitré in Giappone dove, anche dodici anni
prima, avea fatta la solenne professione di quattro voti» (D. Bartoli, cit.,
IV, 63 – 64). P. Bartoli, oltre a scrivere che p. Adami succedette a p. De
Angelis «nelle fatiche e di poi nelle grazie d’una simil corona», riporta
proprio il brano di questa lettera del 20 ottobre 1624 che testimonia il
sacrificio del gesuita di Castrogiovanni.
[20] Di questi martìri anche p. Bartoli dà notizia soffermandosi sulle diverse
fasi del supplizio (IV, 75).
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