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giovedì 23 giugno 2016

GIOVANNI MATTEO ADAMI SOCIETATIS JESU


L’Accademia Selinuntina di Scienze , Lettere ed Arti è lieta di presentare alla fruizione dei lettori     un saggio di Giovanni Isgrò sul martire mazarese Giovanni Matteo Adami, che subì il martirio in Giapppone il 22 ottobre 1633. Il ch.mo prof. Giovanni Isgrò, docente universitario, membro dell’Accademia Selinuntina, con questo saggio, in pubblicazione  nella rivista “Ho Theològos” della facoltà teologica di Sicilia, ha voluto aggiungere un prezioso tassello al movimento cittadino e diocesano che postula oggi la beatificazione di questo nobile figlio  della terra di Mazara.

                                                                                                   Don Pietro Pisciotta



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GIOVANNI MATTEO ADAMI SOCIETATIS JESU

INTRODUZIONE
Ricostruire la vita missionaria di p. Giovanni Matteo Adami consente di ripercorrere uno degli itinerari più drammatici dell’azione evangelizzatrice condotta dai gesuiti in Giappone nel primo secolo della fondazione dell’Ordine.[1]
Per quanto non individuabile nella nomenclatura di maggiore rilevanza all’interno della Compagnia di Gesù,[2]in realtà p. Adami fu molto apprezzato da personalità di rilievo nella storia della Chiesa del suo tempo, come il cardinale Giulio Antonio Santori e lo stesso Preposto Generale, p. Claudio Acquaviva; così come molto vicino gli fu p. Pietro Spinelli, rettore di importanti collegi gesuitici, compreso il Collegio Romano, dove avvenne la prima formazione di p. Adami.
Le poche lettere manoscritte dello stesso p. Adami sopravvissute a naugragi e traversi diverse che tormentarono le comunicazioni fra Giappone ed europa costituiscono uno dei riferimenti più importanti per questo studio. Conservate presso l’Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI, Jap.-Sin 34, ff.1-15) con date di invio che vanno dal 1615 al 1624. Si tratta di lettere in lingua italiana e in lingua portoghese. Queste ultime sono state da noi tradotte e vengono qui pubblicate in appendice. Le lettere sono indirizzate rispettivamente a p. Pietro Spinelli (4 febbraio 1615), al Preposto Generale, p. Claudio Acquaviva e al suo successore (23 gennaio 1616 e 8 gennaio 1617), a p. Bernardino Confalonerio (17 ottobre 1618), tutte inviate da Macao; e ancora a p. Nuno Mascarenhas, assistente della Compagnia di Gesù per le provincie del Portogallo (20 ottobre 1618 e 10 ottobre 1624), inviate dal Giappone.
Copie delle lettere del 4 febbraio 1615, del 17 ottobre 1618 e del 20 ottobre 1618 che qui non si riportano, sono inviate ad altro destinatario; rispettivamente a p. Alessandro De Angelis, a p. Carlo Rossi in Sicilia e allo stesso p. Mascarenhas.
Il valore documentario di queste lettere consiste nel fatto che ci danno uno spaccato della situazione delle missioni in Giappone dall’inizio delle grandi persecuzioni. Al di fuori dall’intento ufficiale di offrire un’immagine edificante dell’attività della Compagnia, tipica delle litterae annuae, le lettere di p. Adami sono caratterizzate da un punto di vista assolutamente personale rispetto all’attività dei missionari gesuiti svolta sul campo. Per questa ragione ci offrono anche una visione critica della realtà che non risparmia attacchi precisi al comportamento di figure responsabili (come nel caso del Rettore del Seminario di Meaco) e al non oculato impiego delle risorse economiche nella gestione delle residenze gesuitiche. Particolarmente polemica appare la contrapposizione fra la situazione “in sicurezza” dei gesuiti a Macao e la condizione di estremo pericolo vissuta dai missionari nelle terre del Giappone. Alla testimonianza di questa rischiosa condizione che p. Adami vive da protagonista, si associa quella di tanti martìri perpetrati nei luoghi in cui il nostro gesuita si trovò ad operare, descritti fino all’anno 1624, ossia nove anni prima della sua esecuzione a morte nella fossa a Nagasaki (22 ottobre 1633).
Il percorso missionario di p. Adami e il tragico suo epilogo riportano all’attenzione la questione del mancato processo di beatificazione di questo martire per la fede; processo che è andato a buon fine per altri padri con i quali egli condivise la vita missionaria in Giappone, come Gironimo (o Girolamo) De Angelis (martirizzato ad Edo il 4 dicembre 1623) o p. Giuliano Nakaura martirizzato insieme a lui a Nagasaki.
A integrazione di quanto riportato nelle lettere autografe di p. Adami, abbiamo iniziato il nostro studio partendo dai Monumenta Historica Japoniae, dove sono riscontrabili, fra gli altri, i cataloghi delle presenze dei missionari in Giappone a partire dal 1549 al 1654[3] Ciò ha consentito di illustrare la geografia del tormentato percorso evangelizzatore di p. Adami e di attraversare gli spazi estremi di tale itinerario, portando ad una più vulgata conoscenza luoghi e personaggi di questa storia  non soltanto gesuitica.
Le due più grandi raccolte delle Litterae annuae, a loro volta, per quanto non comprendenti specificatamente notizie riguardanti p. Adami in quanto precedenti il suo arrivo in estremo oriente ed orientate ad offrire una visione edificante del processo evangelizzatore al fine di promuovere l’azione gesuitica, costituiscono un riferimento importante per la conoscenza del clima che caratterizzò l’avventura della Compagnia in Giappone anche se il dramma delle persecuzioni e dei martìri esplose dopo il primo decennio del ‘600. Le citiamo di seguito: Cartas que os padres e irmãos da Companhia de Jesus escreverão dos Reynos de Japão & China aos da mesma Companhia da India, & Europa, des do anno de 1549 o de 1580, Evora, Manoel de Lyra, 1598; Cartas que os padres e irmáos da Companhia de Jesus, que andao nos Reynos de Iapáo escreueráo aos da mesma Companhia da India, e Europa, des do anno de 1549 ate o de 66. Nellas se conta o principio, socesso, e bódade da Christádade daquellas partes, e varios costumes, e idolatrias da gentilitade, Coimbra, Antonio de Maris, 1570[4].
C’è traccia del nostro gesuita, invece, in quattro lettere coeve alla sua attività missionaria inviate dal p. provinciale Francisco Pacheco rispettivamente il 14 gennaio e il 27 ottobre 1621 e il 12 marzo e il 16 novembre 1625, delle quali si parlerà più avanti.
Notizie su p. Adami si trovano inoltre nell’opera di p. Daniele Bartoli, Historia della Compagnia di Giesu, Roma, De Lazzeri, 1659, nei libri IV e V dedicati al Giappone[5].
Sul piano più strettamente personale citiamo la biografia scritta da G. M. Dionigi, Vita del padre Giovanni Matteo Adami – Martire mazarese, manoscritto del 1656, del quale esiste una copia dattiloscritta presso l’Archivio Storico Diocesano di Mazara del Vallo. L’opera offre una visione romanzata della vita di p. Adami, non supportata da riferimenti scientificamente riscontrabili. Una citazione particolare va al pregevole studio della compianta Francesca La Malfa, Giovanni Matteo Adami S. J., Mazara del Vallo, Istituto per la Storia della Chiesa Mazarese, 2014, nel quale tuttavia è mancata un’appropriata conoscenza delle lettere in lingua portoghese di p. Adami, fondamentali per una corretta visione del ruolo e della vita missionaria del nostro gesuita[6].

VITA E MARTIRIO
P. Adami nasce a Mazara del Vallo il 17 maggio del 1576 da Francesco, “secreto” e regio cavaliere, e da Smeralda Bandini, di nobili origine pisane. Nel 1591 è a Roma presso lo zio paterno Cosimo Adami, dottore in diritto civile e in diritto canonico, “segretario familiare” del potente giurista inquisitore Giulio Antonio Santori, arcivescovo di Santa Severina, in quello stesso anno nominato cardinale da Papa Pio V, e successivamente nominato Penitenziere Apostolico da Papa Clemente VIII. A lui era spettato l’onore di consacrare la Chiesa del Gesù di Roma, tempio massimo dell’ordine gesuitico, il 25 novembre 1584. Il 21 settembre 1595 Giovanni Matteo Adami entra nella Compagnia di Gesù, verisimilmente consigliato dal cardinale Santori, molto vicino alla famiglia degli Acquaviva, conti di Caserta, al cui servizio era stato il padre Leonardo, famoso avvocato, e alla quale apparteneva p. Claudio Acquaviva, Preposto Generale della stessa Compagnia di Gesù dal 1581 al 1615.
Nel Collegio Romano Adami studia filosofia e teologia, essendo rettore p. Pietro Antonio Spinelli al quale rimarrà particolarmente legato da stima e gratitudine, come si evince dalla lettera a lui inviata da Macao il 4 febbraio 1615. In questa stessa lettera p. Adami fa riferimento alla «charità» ricevuta da p. Spinelli «ritrovandomi in Roma et Milano». Del soggiorno nella capitale lombarda, per il quale p. Adami dovette fruire di un qualche sostegno quando era ancora a Roma, si ha notizia soltanto in questo documento; mentre è certo che ulteriori approfondimenti negli studi teologici e filosofici p. Adami dovette effettuarli presso il collegio di Coimbra in Portogallo, dove peraltro  iniziò lo studio della lingua portoghese e anche la sua preparazione all’attività missionaria alla quale il Preposto Generale p. Claudio Acquaviva lo aveva incoraggiato.
Il 25 marzo 1602, già sacerdote, p. Giovanni Matteo Adami si imbarca nel porto di Lisbona per l’India, dove completa i suoi studi a Goa, per dirigersi quindi a Macao, l’avamposto cinese più vicino al Giappone.
A Macao p. Adami viene accolto presso il collegio “Madre de Deus”, dove dal gennaio di quello stesso anno si trovava uno dei maggiori protagonisti della storia delle missioni gesuitiche nell’estremo oriente, il padre visitatore Alessandro Valignano, reduce dalla terza visita in Giappone (dal 5 agosto 1598 al 15 gennaio 1603). Come risulta dal catalogo dell’ottobre di quell’anno, il collegio di Macao ospitava 29 padri, fra portoghesi e italiani, e 21 irmãos, compresi 8 giapponesi[7].
Fondato dallo stesso p. Valignano nel 1593 e diviso in diverse classi, vi si insegnava teologia scolastica, filosofia, umanità e grammatica, ma anche pittura e musica. Si trattava dunque di un collegio d’eccellenza dove si imparavano le lingue giapponese e cinese. Fortemente danneggiata nel 1597 da un incendio e da un tifone, la struttura, grazie alla generosità dei Lusitani, era stata ricostruita e accresciuta da una nuova grande chiesa sovrastata da un’alta torre.
Già per il 1604 il catalogo, stilato il 23 gennaio, riporta 27 padri e 32 irmãos, di ciascuno dei quali, oltre al nome, p. Valignano, estensore del catalogo stesso, si prese cura di indicare le note caratteristiche. P. Adami viene così descritto: «siciliano, natural da cidade de Mazara, de idade de 27 annos, de Companhia nove, de boas forças. Acabou os studios de philosophia. Vai agora no 4 anno de theologia»[8]. Dunque il nostro gesuita, oltre ad apparire in buona salute, sta per concludere in quel collegio il cursus studiorum.
Nello stesso anno 1604 p. Adami salpa per il Giappone dove approda nel porto di Nagasaki; e proprio nel collegio di questa città il 23 settembre 1604 sostiene l’esame ad gradum di quattro voti (castità, povertà, obbedienza ed obbedienza al Papa). Trasferito ad Omura per studiare la lingua giapponese, nell’anno 1605, il 25 luglio, gli viene affidata la residenza di Yanagawa nel regno di Chikugo. Intitolata a Santiago Mayor, la casa gesuitica era sorta su un terreno messo a disposizione da Tanaka Yoshimasa, un valoroso guerriero vicino alla Compagnia di Gesù. Già al servizio di Oda Nobunaga e poi di Toyotomi Hideyoshi, per meriti sul campo, dopo la battaglia di Sekigahara (21 ottobre 1600), nell’anno 1601 aveva ottenuto da Tokugawa Iyeyas il feudo di Chikugo, fissando la propria sede a Yanagawa[9].
Situata in un bel sito di questa città, dove era stata alzata anche una grande chiesa, la residenza ospitava oltre  p. Adami un irmão giapponese ,Yama João, 4 collegiali e 10 «moços de serviço»[10].
Iniziava così la vera azione missionaria di p. Adami che in un solo anno portava alla conversione di 3.000 anime, molte delle quali sottratte all’idolatria, e destinate a crescere nei due anni successivi, al punto che fu necessario far costruire una nuova chiesa e nuove case ad Amagui ed a Cami-Aquizuqui. In questo modo, nel corso delle celebrazioni della Settimana Santa, i cristiani provenienti da queste località, uniti agli altri del regno di Bungo, raggiungevano il numero di 5.000 unità.
Fino al mese di ottobre del 1613 la presenza di p. Adami è specificatamente testimoniata nella residenza di Yanagawa. Lo ritroviamo, quindi, ancora per il 1614, nel catalogo dei gesuiti in Giappone insieme ad altri 62 padri ed a 53 irmãos[11]. In questo elenco sono descritte, come di norma, le caratteristiche di ciascun gesuita. Di p. Adami si dice che ha compiuto 38 anni, che si trova nella Compagnia da 19 e che, come nelle note degli anni precedenti, è dotato di buone forze; conosce bene la lingua giapponese e ancora, che è stato fatto professo di quattro voti nell’anno 1611.
È noto che nel novembre del 1614 avviene la prima espulsione dei gesuiti e degli altri ordini religiosi nel frattempo insediatisi in Giappone. Ad essa fa riferimento la citata lettera inviata da p. Adami a p. Pietro Spinelli il 4 febbraio 1615 da Macao, nel cui collegio egli si trova insieme a buona parte dei gesuiti espulsi[12]. In questa lettera p. Adami scrive che per ordine del signore del Giappone il nemico del genere umano ha attaccato il fuoco della persecuzione in diversi regni e luoghi. Ciò è stato dovuto alle false accuse giunte all’imperatore anche da parte di alcuni mercanti inglesi e olandesi: «alcuni gentili li quali mossi dall’interesse proprio et odio della nostra fede diedero moltissime et falsissime imprecazioni di lei al signore del Giappone, il quale agevolmente dando credito a tutto quello che questi nostri inimici gli dicevano et istigato a questo ancora dalle false accuse di alcuni inglesi et olandesi, senza fare altra inquisizione del vero, prohibì per tutti li suoi regni la nostra santa legge, comandando di più che tutti della nostra Compagnia si trovassero per Macao et gli altri per le Filippine, et che tutti li cristiani se nandassero et per questo li padri di nostra Compagnia et altri religiosi».
Molti cristiani furono nello stesso tempo martirizzati con diversi tormenti; in buona parte bruciati vivi, altri mandati in esilio, costretti ad abbandonare la loro terra con le loro mogli e figli. P. Adami scrive anche che i gesuiti sono stati risparmiati dal supplizio «perché i giapponesi non si vogliono dimostrare crudeli con i forestieri, bastandogli di mandarli fuori dal regno». Così che nel principio del mese di novembre del 1614 per forza li fecero imbarcare tutti. Adesso sono con lui (p. Adami) a Macao, fra gli altri, cinque italiani: i padri Carlo Spinola, Geronimo De Angelis, Pietro Paolo Navarro, Giovan Battista Porro, Francesco Eugenio. P. Adami scrive comunque che confida di tornare in Giappone nel mese di «giuglio».
Nel catalogo dei gesuiti presenti nel collegio di Macao nel 1616 p. Adami è indicato come predicatore, consultore e prefetto degli infermi. All’inizio di questo stesso anno (23 gennaio) si riferisce la lettera in lingua portoghese inviata da Macao al Preposto Generale, p. Claudio Acquaviva. Si tratta di un documento di particolare interesse perché ci offre uno spaccato molto vivo e reale degli inconvenienti rilevati da p. Adami nella gestione economica da parte del rettore del collegio di Macao, stante l’esigenza di mantenere il più possibile attivo il lavoro evangelizzatore dei missionari in Giappone dopo l’espulsione e nel pieno dilagare delle persecuzioni.
Pur nel rispetto reverenziale verso il Preposto Generale, il tono polemico  con cui descrive la situazione nel collegio di Macao e soprattutto il comportamento del suo rettore, lascia intravedere un rapporto di conoscenza diretta da parte di p. Adami nei confronti di p. Claudio Acquaviva, che consente all’estensore della lettera medesima di formulare con estrema determinazione un’analisi particolarmente severa. Dal momento che, pur essendo formalmente consultore del rettore, non viene da questi consultato sulla conduzione dell’attività del collegio, p. Adami così elenca al Preposto Generale le criticità da lui riscontrate:
a)      la presenza dei corsi nel collegio di Macao rappresenta solo una grande spesa priva di alcun vantaggio per il Giappone. Il costo per il sostentamento di due maestri e dei loro discepoli ammonta a 2.000 taels all’anno, dal momento che per ogni elemento di questa casa necessitano 45 taels annui; mentre con quest’ultima cifra si potrebbe sostentare una piccola residenza. Inoltre la maggior parte degli irmãos che frequentano il corso di arte e altri perdono il fervore per la missione, perché credono che andando in Giappone verrebbe vanificata la fatica dei loro studi.
b)      Gli irmãos che rimangono nel collegio per tanto tempo formano «strani convitti con i loro compatrioti attorno alle notizie di quel che succede in Giappone riguardo il vitto, gli abiti, le abitazioni e perdono quella pia affezione a quella gente la cui conversione li mosse a venire da tanto lontano».
c)      Nonostante il collegio sia sorto da tanti anni, sono pochi i gesuiti inviati in Giappone, «poiché la maggior parte arrivò già formata dall’Europa e dall’India e questo posto finì per essere la sepoltura per molti di loro, e altri molti di più di quanto sia abitudine nelle nostre terre, furono espulsi».
P. Adami illustra con grande senso pratico le problematiche che egli riscontra durante il suo soggiorno in Meaco, e prospetta al tempo stesso al Preposto Generale soluzioni concrete per una più efficace e funzionale attività missionaria nella terra del Giappone dove egli anela tornare. Egli sostiene che sarebbe sufficiente inviare dall’Europa pochi elementi purché già formati, in quanto la situazione in Giappone è tale che non ci si può permettere di erigere grandi collegi. È sufficiente pertanto non più che qualche residenza, perché l’esperienza insegna che dove c’è molta gente, poco si fa, perché le persone impigriscono e scaricano il loro lavoro su qualcun altro.
Del resto, scrive Adami, anche nello stesso collegio di Macao non sono necessari molti elementi poiché la città è piccola (via abitano soltanto cinque o seicento portoghesi), e i cinesi non sono molto predisposti alla conversione; e per di più esistono numerose parrocchie e frati di altri ordini i quali sono soliti ripagare il servizio offerto dai gesuiti e le spese conseguenti «com a moeda de engratidão», ossia con la moneta dell’ingratitudine.
Diversamente dal tono tutto positivo normalmente riscontrabile nelle lettere annue, p. Adami rileva la scarsa affluenza nelle chiese, dove ad esclusione delle grandi feste nel corso delle quali si canta e si danza, i portoghesi che assistono alle messe nel tempo ordinario non superano le ottanta unità fra uomini e donne, in una chiesa che per grandezza sembra la casa professa di San Rocco di Lisbona. Nonostante questo, lamenta che il padre provinciale fa costruire altre fabbriche e che il collegio di Macao non è inferiore a quello di Goa in un tempo in cui si è poveri ed indebitati, al punto che sono costretti a vendere le lampade d’argento e i candelieri della chiesa.
Alla motivazione che tante nuove grandi costruzioni sono realizzate nella previsione di accogliere eventuali nuovi esuli provenienti dalla Cina o dal Giappone, p. Adami risponde che le strutture di tali edifici, essendo in legno, sono destinate a marcire ben presto e a non durare a lungo. Per questa ragione suggerisce di provvedere soltanto al bisogno.
P. Adami scrive con piglio e sicurezza e con una autorevolezza che gli viene dalla conoscenza diretta dei problemi, paragonabile a quella dei padri visitatori, in particolare del grande p. Alessandro Valignano che egli ebbe modo di conoscere e che cita in questa lettera, condividendo il fatto che egli sostenesse che il tempo delle persecuzioni in Giappone dovesse essere utilizzato dai gesuiti esuli a Macao per perfezionarsi. Per questa ragione p. Adami avrebbe voluto che nel corso dei quindici mesi trascorsi in quel collegio dopo l’espulsione ci si attivasse per insegnare agli europei della Compagnia la lingua giapponese e le caratteristiche delle sette buddhiste da contrastare poi sul campo. Invece, secondo p. Adami, il tempo passa a Macao nell’ignavia, sicché quando torneranno in Giappone i missionari saranno meno preparati all’opera di conversione e al sostegno dei cristiani.
Su un’altra questione p. Adami esprime il suo disappunto; ossia che i superiori non hanno «coraçam grande e confiança dos subditos», ossia grande cuore e fiducia nei sottoposti, e non si allontanano da loro. In questo modo si registra una grande perdita nella conversione dei gentili e nella coltivazione dei cristiani; poiché spesso non si inviano missionari là dove sono necessari, in quanto diffidano di loro, favorendo così l’ozio nel collegio e l’aumento delle spese.
Nella lettera dell’8 gennaio 1617 inviata da Macao al nuovo Preposto Generale, p. Muzio Vitelleschi, p. Adami scrive proprio nella qualità di consultore, lamentando che in un anno è stato convocato dal rettore soltanto quattro volte. Invoca pertanto la regola numero 14 dell’ordine che sia il padre visitatore, sia il padre provinciale si sono presi carico di far rispettare. P. Adami scrive inoltre che sono stati accolti tre novizi: due meticci nati a Macao e un portoghese precedentemente espulso dalla Compagnia a Goa. Egli non condivide (insieme a molti altri padri) queste ammissioni perché, a suo parere, si tratta di tre uomini di scarsa qualità e disposizione. In particolare i due nati a Macao sono stati già espulsi per la loro inettitudine. P. Adami lamenta che hanno poca preparazione di spirito e poca umiltà. Ciò è dovuto alla mancanza di un noviziato formato e al poco esercizio nella virtù e nella mortificazione; e anche in conseguenza del fatto che i maestri dei novizi sono scelti tra padri giovani e di poca esperienza. P. Adami informa anche che il collegio di Macao ospita padri che hanno terminato gli studi ed operai espulsi dal Giappone e che alcuni dei padri studiano la lingua e le sette giapponesi, sì da diventare abili strumenti per la missione. Lamenta infine il fatto che il rettore (come i suoi predecessori) si interessa di cose che riguardano il governo della città e gli affari secolari, provocando lamentele da parte degli stessi secolari e perdita di amici della Compagnia.
Nel 1618 p. Adami può finalmente lasciare Macao per fare ritorno in Giappone. Il 20 ottobre di quell’anno è nell’isola di Amakusa da dove scrive a p. Nuno Mascarenhas, assistente della Compagnia di Gesù per le provincie del Portogallo, a Roma. Al suo destinatario scrive che è giunto ad Amakusa direttamente senza passare per Nagasaki. Lì rimarrà rifugiato intanto che è in corso la persecuzione ordinata dal re. Lo stesso padre provinciale Matteo De Couros e altri padri sono del resto in Giappone per aiutare i cristiani. Il padre visitatore Francisco Vieira a sua volta è venuto a confortare i padri gesuiti[13]. La lettera è accompagnata da un pacco col suo nome ed un altro destinato ai suoi parenti in Sicilia contenente lettere scritte dopo tanti anni, da indirizzare alla Casa Professa di Palermo o al Rettore del Collegio di Palermo, in modo da poterle fare pervenire nelle mani dei suoi parenti.
Nel 1619 p. Adami è ad Ōyano, una delle isole più vicine ad Amakusa. Ne dà notizia p. Matteo De Couros nella lettera del 15 settembre inviata dal Giappone al Preposto Generale[14]. P. De Couros informa che p. Adami si sposta in continuazione nei regni di Fingo e di Chicugo per dir messa.
Nel 1620, come si evince dal catalogo dei padri e degli irmãos della provincia del Giappone stilato nel mese di settembre[15], p. Adami è ad Ōshū, il più esteso regno sito nella parte settentrionale del territorio dell’impero giapponese. Ivi p. Adami esercita la mansione di consultore e ammonitore del superiore, p. Geronimo De Angelis. Ancora nel regno di Ōshū, e più precisamente nel feudo della famiglia Gamo nella provincia di Iwashiro, p. Adami risulta essere operativo, come si evince dalla lettera del 14 gennaio 1621 inviata dal p. provinciale Francisco Pacheco al Preposto Generale[16]; mentre da un’altra lettera del 27 ottobre 1621 dello stesso p. Pacheco, sappiamo che p. Adami si sposta in varie parti dei regni di Ōshū e Dewa, insieme ai pp. Geronimo De Angelis e Diego Carvalho e all’irmão Yama Joam[17].
Anche se non si hanno notizie per l’anno 1622, non sembra ci sia stata soluzione di continuità della permanenza di p. Adami nel regno di Ōshū almeno fino al 1625, come si evince dalla lettera del 12 marzo 1625 inviata da p. Pacheco al Preposto Generale[18].
Nella lettera in lingua portoghese inviata il 10 ottobre 1624 a p. Nuno Mascarenhas, assistente della Compagnia di Gesù, p. Adami dà aggiornamenti sulla situazione a Voxu (Ōshū) e a Deva (Dewa) «conforme a minha obrigaçam». Il fatto che p. Adami scriva “in conformità al suo oblbigo”, testimonia che a lui spetta il dovere di relazionare su un territorio per il quale egli ha responsabilità diretta. In effetti, come egli scrive, nell’ottobre del 1623 erano riprese le persecuzioni nella città di Yendo (Edo, l’odierna Tokyo) che portarono alla morte, fra gli altri, p. Geronimo De Angelis da Castrogiovanni (Enna), fino a quel momento, come si è detto, superiore delle missioni ad Ōshū e Dewa; incarico adesso ricoperto da p. Adami[19].
Il gesuita mazarese dà quindi notizia di persecuzioni ordinate da Masamune nel suo regno di Xendai (Sendai), a seguito delle quali egli descrive alcuni martìri, in particolare quello riguardante una coppia di anziani. Immersi dapprima nelle acque gelide di un fiume, completamente nudi erano stati condotti per la città e quindi legati ad una cancellata presso la quale furono esposti alle intemperie fino alla morte. Un’altra coppia era stata invece bruciata viva, mentre altri nove cristiani, fra i quali p. Diego Carvalho, erano stati immersi per dodici ore in una vasca di acqua gelida; e altri cento bruciati vivi ad Aquita (Akita) e Xembocu (Senboku), terre del regno di Dewa[20].
P. Adami dà inoltre notizia di altri martìri perpetrati nella provincia di Nambu (Nanbu), a testimonianza dei suoi spostamenti in aree diverse di quella parte del Giappone. La lettera si conclude con un ringraziamento rivolto a p. Mascarenhas per il dono di diversi reliquiari, mentre dichiara di essere consapevole che il giorno del suo sacrificio non tarderà molto a venire.
Nella lettera del 16 novembre 1625 inviata da p. Pacheco al Preposto Generale si ha per la prima volta notizia del peggioramento dello stato di salute di p. Adami: «P. João Mattheus esta muito dolente e não poder continuar os trabalhos daquellas partes [Ōshū]». Pertanto è lo stesso p. Pacheco a prendere la decisione di inviarlo a Kami, probabilmente perché località giudicata meno rischiosa[21].
Da questo anno in avanti termina la corrispondenza epistolare di p. Adami, che tuttavia è nell’elenco dei padri gesuiti presenti in Giappone stilato nell’ultima parte della lettera inviata da p. Michael Minoes a p. Francesco Piccolomini, segretario della Compagnia di Gesù, il 6 settembre 1627[22].
Per cinque anni, dal 1627, si perdono le tracce di p. Adami, in clandestinità nel regno di Ōshū. Lo ritroviamo nel 1632 ad Osaka dove, secondo quanto scrive p. Bartoli, riesce a sfuggire alla cattura insieme al suo catechista Toiemon, grazie a Inaba, governatore di quella città, che ricevuto l’ordine dallo Shōgun (dittatore militare) di cercarli e ucciderli, li avvertì del pericolo imminente facendo ricorso alle grida ammonitrici di un banditore[23].
Nell’anno 1633 un altro spietato ordine dello Shōgun decretava che i gesuiti sparsi nei regni più lontani fossero condotti a Nagasaki, intanto che alle condanne al rogo, alla decapitazione, all’immersione nell’acqua gelida e al tormento dell’acqua bollente, si aggiungeva una nuova forma di esecuzione, quella della “fossa”, detta ana-tsurushi. Così ci descrive p. Bartoli questo supplizio:

Cavata, dunque, in terra una fossa, profonda presso a quanto è l’altezza d’un uomo e di circuito bastevole a starvi senza toccarne i lati, le rizzavano sopra un paio di forche, piantati i due legni in piè, sì che il terzo a traverso pendesse appunto come diametro sopra la fossa. Da questo sospendevano per i piedi il tormentato poi, levando la fune, il calavano capovolto dentro la fossa, chi fino alla cintola, chi fino alle ginocchia, com’era in piacere a gli esecutori e davano volta. Così mezzo sepolto il chiudevano turando la bocca della fossa con due tavole, aventi ciascuna una scanalatura, la metà di quanto era grosso il corpo, intorno a cui ben si adattavano: e ciò a fin che quegli vi stesse al buio e non se ne udisser di fuori le voci, o lodasse Iddio o predicasse alle guardie che quivi, dì e notte, assistevano, per trarlo subito della fossa, se il domandava, con patto di rinnegare. Intanto non gli si dava punto di che cibarsi né che bere, affinché morisse, per dir così, di due morti insieme, e del tormento di quel penosissimo pendere e della fame. E nondimeno ne vedremo qui appresso de’ vivuti così tormentando, l’un fino al settimo, l’altro fino al nono dì. Vero è che a far loro stentar cotanto la morte, valea non poco un avvedimento che gli spietati ministri in ciò ebbero, e fu girar intorno al corpo, a chi più e a chi meno, strettamente una fune, accioché il sangue non iscorresse giù affatto libero al soffogarli. Ma nondimeno, e ne ingrossava loro il capo, onde avean tutto gonfio e livido il volto (avvegnaché talvolta aprisser loro la cotenna con molti tagliuzzi, affinché per essi il troppo sangue a poco a poco sfogasse) e le viscere inferiori, premendosi tutte sopra il diaframate e il cuore, e i polmoni stravolti, li tenevano in una passione simile ad agonia.  Che se poi avveniva, che dopo alcun lungo spazio li traessero della fossa, al rimettersi in piè, e tornare il sangue in contrario di prima e tornar le viscere al lor luogo, provavano uno spasimo, il doppio, maggior di prima.[24]

Dopo i primi due gruppi di cinque giustiziati nella fossa, fu la volta di p. Adami e di altri cinque gesuiti (p. Cristóvão Ferreira, p. Giuliano Nakaura, p. Antonio Sosa, gli irmãos Remigi e Lorenzo), dei quali solo il p. provinciale Ferreira non resse al tormento, rinnegando la sua fede.
Ancora p. Daniele Bartoli così descrive quel terribile evento:

Gli ultimi di quest’anno a mettersi nella fossa, furono sei nostri religiosi, i tre di loro europei che sono il p. Cristoforo Ferreira, provinciale e governatore di quel vescovado e il p. Antonio de Sosa: quegli nato in Torres Vedras, questi in Coviglian, amendue portoghesi, e il p. Gio. Matteo Adami, da Mazzara in Sicilia: gli altri tre giapponesi, il p. Nacaura Giuliano e i fratelli Pietro e Matteo, novizzi, de’ quali due ultimi, le rnemorie di que’ tempi, non ci danno altra maggior contezza. Or questi sei, tutti insieme il medesimo martedì, diciotto d’ottobre, cominciarono la lor carriera in verso al cielo ma, nel giungervi, v’ebbe diversità. Uno, dopo l’andare di pochi passi, s’abbandonò e cadde tra via; gli altri cinque, chi più tosto e chi più tardi, compierono felicemente il lor corso. E fu il debole quel medesimo che per più ragioni dovea essere il più forte, cioè il provinciale Ferreira, che non resse al tormento più che quattro in cinque ore, e rendutosi e trattone, quel che di poi ne avvenisse, mi serbo, all’ultimo, il dirne ogni cosa insieme. De gli altri, i primi a giungere alla corona, furono i tre giapponesi che, dalla fossa, costantissimamente sofferta, il quarto dì da che v’eran sospesi, salirono con l’anime vittoriose in cielo. Seguitolli il dì appresso il p. Gio. Matteo Adami, ma il p. Sosa, oltre a quanti si provassero a quell’orribil tormento, vi durò nove giorni, sentito quasi fino all’ultimo spirito benedire Iddio e lodarlo, non senza aversi, fin da gl’Idolatri, a cosa eccedente il possibile della natura: e con ragione; non tanto per vivere, egli, nove dì affatto digiuno e in patimento simile ad agonia, ma perché fu condotto alla fossa già macero e snervato dall’acqua, infusagli a forza nel ventre e a forza spremutane in Ozaca, dove fu preso, e dal venire fin’ di colà a Nangasachi, viaggio di molte giornate, incatenato mani e piedi e con trattamenti da fiera. Così dispose Iddio, che di due della medesima nazione, la fortezza dell’uno senza esempio, reintegrasse la gloria, che la debolezza dell’altro, anch’ella senza esempio, avea in gran parte diminuita: mentre quegli sostenne nove dì un tormento, che questi non ebbe forza da tolerarlo cinque ore.[25]

Col martirio di Nagasaki dell'ottobre 1633 si avvicina inesorabilmente la fine della missione gesuitica in Giappone, che tuttavia resisterà ancora poco più che un decennio grazie al coraggio di pochi padri che vivranno in continuo pericolo e in clandestinità.
La grande avventura della Compagnia di Gesù, che aveva avuto inizio con l'approdo di p. Francesco Saverio nel porto di Kagoshima nell’isola di Kyushu nel 1549, aveva portato alla costruzione di chiese, collegi, seminari, residenze, ospedali e alla conversione di centinaia di migliaia di giapponesi in un territorio fra i più difficili del pianeta.
A p. Giovanni Matteo Adami, giunto in Giappone proprio quando cominciarono ad accentuarsi le ostilità nei confronti dei cristiani, va riconosciuta la straordinaria tenacia con cui condusse l'azione missionaria fino al sacrificio della vita.
Per questa ragione nell'anno dedicato alla "misericordia" dal nostro Papa Francesco, gesuita anch'egli, confidiamo che questo studio possa contribuire a portare a buon fine quel processo di beatificazione che la comunità devota della città di Mazara del Vallo da tanto tempo attende.


 Giovanni Isgrò
  

APPENDICE
Lettere di p. Giovanni Matteo Adami con traduzione di quelle in lingua portoghese.

Originale
Lettera inviata da Macao a p. Pietro Spinelli

4 febbraio 1615 Macao
Molto reverendo in Christo Signore,
Pax Christi
Questi anni passati scrissi a V. R. molte volte, ancorché per mia puoca sorte sin hora non ho recevuto alcuna sua. La causa di questo credo che non he aver recevuto V. R. le mie lettere o essere perse le resposte loro per la lontananza del camino et per li continui naufragii et guerre che questi anni hanno suceduto et continuano tuttavia con tanta perdita del Giappone, et di tutte queste indie orientali. Hor qualsivogli sii la causa, io confesso di me che di niuna maniera me scordo, ne scordar mi posso di V. R. al quale per tanti modi mi ritrovo obligato et della grande charità che da lei recevetti per molte fiate ritrovandome in Roma et Milano et per testificar questo mio affetto et palesar questi oblighi miei faccio la presente per due vie. L’una mando con il P.e Gabriel de Naros Portughese procuratore di questa provincia per vie delle indie orientali. L’altra mando con il P. Pietro Moraijon Castigliano per le parti di nova Spagna dalli quali V. R. intenderà particularmente le nove di questo suo servo, perché con ambi voi ho trattato molto tempo et specialmente con il P.e Gabriel de Naros al quale padre molto mi ritrovo obligato per le molte charità che da lui ho recevuto per il che priego V. R. come più caldamente posso per mia charità vogli in particulare per mio amore fargli particulari accoglienze et favori offerendosi cum molta devozione et ancor che V. R. saperà il succeduto nel Giappone dalli sopradetti Padri con tutto brevemente darò raguaglio dello stato nel quale lasciammo lui, et di questo suo servo. Questi anni, come dell’annue passate haverà saputo V. R. il demonio in diversi regni, et luoghi del Giappone fu atacando fuoro di perventione contro li christiani per mezo di alcuni gentili li quali, mossi dall’interesse proprio et odio della nostra santa fede, diedero maligne et falsissime impressioni di lei al sig.re del Giappone, il quale ugualmente dando credito a tutto quello che questi nostri inimici gli dicevano et istigato a questo dalle false accuse da alcuni Inglesi et Olandesi senza fare altra inquisitione del vero, prohibì per tutti li suoi regni la nostra santa legge, commandando di più che tutti della nostra Compagnia si tornassero per Macao, et gli altri per le Philippine, e che tutti li Christiani renonchessero et per questo li Padri di nostra compagnia et altri religiosi che stavano in diverse parti furono forzati dalli Signori delli regni et luoghi particulari a irsene per Nangasachi, et molti di loro furono mandati con guardie di soldati et li Christiani  comensarono ad essere provati et perseguitati con diverse maniere, per il che tutta questa christianità arse et arde in grandissima persecutione, et per questo  molti furono martirizzati, altri abrusciati vivi, altri mandati in esilio a parti lontanissime et abandonare di tutto il soccorso humano con suoi moglie et figliuoli, essendogli confiscati tutti li beni et questi furono moltissimi come V. R. vederà nell’anima. Non mancarono li nostri dall’officio suo perché nel mezo della funecazione sempre furono dando animo et consolando li perseguiti con molti disagi et pericoli et desiderio di ancor loro offrire la vita per amor del Nostro Signore et delle sue pecorelle. Ma non poterono ottenere quel che bramavano perché li Giapponesi non si vogliono mostrare crudeli et discurtesicontro li forastieri, bastandogli di mandarli fuora del suo regno. Così che nel principio del mese di Novembre del 1614 per forza li fecero imbarcarse nescendo per questo effetto moltissimi soldati. Et di questa maniera alcuni Padri et fratelli andarono per le Philippine, altri per Macao, fra quali ancor’io con loro al presente mi ritrovo in questo porto della Cina in esilio fuori di nostra cara patria del Giappone separati, et sciolti dalli nostri carissimi Giapponesi, et per questo fuori di tutta nostra consolatione di questa vita. Ma confidiamo nel Signore che ci congregherà et riunirà tutti una altra volta nel Giappone, ancorché stiamo così sparsi et divisi per suo amore. Restammo con tutto in diverse parti del Giappone nascosti molti et molto buoni operai della compagnia per privarce, et dar forze alli poverelli et perseguiti christiani, apparechirasi ancor loro di havere a porre la vita per amor del suo Signore e delle sue pecorelle, fra li quali sono cinque italiani: il P.e Carlo Spinola, il P.e Pietro Paulo Stanarso, il P.e Gieronimo De Angelis, il P.e Giovan Battista Porro, il P.e Francesco Eugenio. Io confido nel Signore di haver a tornare per la mia terra di promessione per questo mese di Giuglio. Stiamo adesso fra noi in questo colegio di Macao più di cento con molto desiderio della nave che nel porto di Nangasachi restò, la quale piaccia a Dio che torni asolutamente per sapere il successo della Christianità, et in particulare della città di Nangasachi doppo la nostra partenza il signore sii [] di consolarci con una buona nova. Questo è che mi conviene in generale per scrivere al R. delle cose di giappone lasciando il resto all_annua. Con che gioisco racomandar dare molto nelli SS. Purifici et orationi di V. R. Mando a V. R. con il P.e Gabriel de Natos un a corona fatta del legno al quale furono legati et abrugiati li gloriosi martiri di prima et una altra con il P.e Pietro Novijon et del legno da il quale fu ligato et abrugiato il santo martire di Christo chiamato Cagnerion Lione.  
Di Macao 4 di Frevraro ibis
Di V R
Servo nel Signore
Giovanni Matteo Adami
Originale

[f. 5]
Muito R[everen]do em X.º [Christo] Padre

Pax X.ti [Christi]

O anno passado escrevi a V. P. com o P[adr]e Procurador desta Provincia. Agora faço estas regras pera comprir com a obrigaçam que tenho de consultor do P[adr]e Reitor deste collegio de Macao, e appontares algu[m]as cousas pertecentes assi a toda est[a] Pro[vinci]a como em particular a este collegio. E a primeira cousa que me se offerece brevemente appontar he o bem, e proveito, ou o dano, e perda, que a Prov[inci]a de Japão recebe desse collegio e na verdade a esperiencia mostra quam acertado foi o parecer de muitos Padres graves, e esperimentados desta Prov[inci]a que derão os annos passados acerca de ter estudo aqui. Dize[n]do que haver estudos em Macao havia de ser p[ar]a Japão de muito gasto, e de pouco proveito. Primeiramente porque p[ar]a sustentaçam dos mestres e discipulos ategora se gastarão cada anno dous mil taeis de cabedal de Japão e cada sujeito desta casa tem necessidade de 45 taeis cada anno, que postos em Japão com elles se pode sostentar hu[m]a residencia pequena. 2.º porque a esperiencia mostra, que os Irmãos, que se crian neste collegio estudando nelle o curso d’artes, e o mais, polla mor parte perdem o primeiro fervor, e vocaçam das missoes. Porque entendem que indo p[ar]a Japão perdem o trabalho de seus estudos, pois não se podem servir delles em ler, e pregar, por onde aprendem Japão como abhorrecivel sepultura de seus talentos. Alem disto estando aqui os Ir[mã]os muito tempo, e ouvindo de mais perto o que passa em Japão acerca do victo, vestido, morada e conversaçam com os Japões formão estranhos convitos da terra e dos naturaes e perdem aquella pia affeiçam a aquella gente pera aqual servir e cultivar vierão de tam longe. As quaes cousas de raro acrecem aos que vem com os estudos acabados e determinados a padecer e desegannados [sic, desengannados] das leituras e pulpitos. 3.º Porque em tantos annos que ha este collegio puocos [sic, poucos] são os sujeitos que des [sic, desde] este collegio deu a Japão, porq[ue] a mor parte delles vierão feitos de Europa e da India e esse lugar servio pera sepultura de muitos e delle forão muitos despididos mais que nas nossas partes. Por onde parece que se poderia serrar o muito gasto e ficar Japão milhor provido, se assi entender V. P. se viessem p[ar]a esta missam de quando em quando alguns puocos [sic, poucos] sujeitos feitos, ou pelo menos com o curso acabado e começada a theologia, qua[n]do se partem de Europa, porq[ue] assi poderão acabar seus estudos em Goa, e em Macao, no tempo que estão esperando a moçam. E bastão puocos [sic] porque Japão não esta pera nelle se fazerem muitos collegios grandes, mas bastão algu[m]as residencias como a Congregaçam Prov[inci]al escreve a V. P. porque a esperiencia mostra onde ha muita gente, puoco [sic] se faz, porque os sujeitos se fazem preguiçosos e hu[m] lança a carga sobre o outro.
Sendo isto assi, não ha pera que neste collegio de Macao estejão tantos sujeitos, assi porque esta cidade he pequena, pois dizem que os moradores della Portugueses são 500, ou 600 pouco mais ou menos; e na gente natural da terra, não ha conversão nenhu[m]a nem aos deste collegio ategora se puserão pera os converter, parece porq[ue] não dão de si os Chinas e também aqui estão todas as religioes mendicantes, e a Sé, e algu[m]as freguesias, por onde o numero dos nossos poderia chegar ao numero, que tem os collegios ordinarios da India, e aqui antigamente havia, antes de haver Frades, porq[ue] não são necessarios tantos Padres da Comp[anhi]a onde ha tam puoca [sic]messe e tantos pregadores. Salvo se o Reitor deste collegio queira dar a todas as freguesias, Sé, conventos de Frades a cada passo pregadores, como aqui se costuma. Porq[ue] nos outros não somos obrigados a sustentar os sujeitos pera que preguem e autorizem os conventos dos Frades e as Freguesias, os quaes trabalhos e gastos costumão os taes pagar muitas vezes com a moeda de engratidão como a esperiencia cada dia o mostra. E pera que saiba V. P. [f. 5v] mais particularmente o concurso que temos a nossa igreia às pregaçoes (tirando que ha algum grande iubileo, e festa de bailos, e danças, que aqui custumão que se aiuntão então pouco mais) quando ha 40 Portugueses, e outras tantas molheres entre senhoras, e moças que mais são he bom auditorio, e eu cortei nas pregaçoes dos domingos do advento, que não passavão 20 Portugueses, e menor numero de molheres em hu[m]a Igreia que parece na grandesa hu[m]a casa professa de S. Roque de Lisboa.
Por onde tambem não há p[ar]a que fazer tantas obras nesse collegio, que o P[adr]e Prov[incia]l actualmente faz, e traça mayores, querendo fazer este collegio, que não fique enferior ao de Goa em tempo que estamos tam pobres, e endevidados, que estamos como diz o Procurador, pera desfazer as lampadas de prata da Igreia, e os casticaes desabares pera comer. Por onde com razão os seus lares não se fazem capaces da nossa necessidade e pobresa, cuidando que merecimos, e eu confesso de mi que se não soubera na realidade o estado en que estamos, não me poderia persuadir ter a Comp[anhi]a nestas partes necessidade fazendo os superiores tantas obras en lugar e tempo desnecessarios, ou pello menos não urgentes. E dizerem, que he bem termos hu[m] collegio grande e capaz p[ar]a quando acontecer termos desterrados ou da China, ou de Japão terem os Padres onde se acolherem. A isto se poderia responder, que como a esperiencia mostra, as fabricas desta terra logo se desfazem, e apodrecem, e não durão mais tempo, por onde não ha p[ar]a que tanto ante não fazelas. E quando acontecerem estes desterros, então se farão estas obras, se forem necessarias, que entam por ventura teremos prata, que agora não a temos. Digo demais que se acontece algu[m]a perseguiçam em Japão, como esta, a qual ainda não acabou, por ventura que os Superiores que então sarão deixerão muito mais sujeitos em Japão como fizerão os superiores passados na perseguiçam de Taicô, o que agora tambem podia ser, porque os Christãos deseiaram e se offereciam a esconder muito mais Padres e o havião de fazer fielmente, como ategora o tem feito. Porque posto que os Padres padeçam estandado [sic, estando] escondidos, com tudo neste tempo se faz grande serviço ao senhor, e havengo guerras, como agora as ha em Japão, se convertem muitos porq[ue] a esperiencia mostra, que nas agoas torvas das perseguições, e guerras se faz boa pescaria de peixes grandes, digo de Senhores.
Não deixarei de escrever nesta duas cousas, posto que não há pera poder-lhe dar remedio, mas he bem que V. P. as saiba. A primeira he, que na perseguiçam passada, os obreiros de Japão se fizerão mais aptos pera a conversão dos gentios, e trato com os Christãos, e se fizerão muitas obras, e composições pera o proveito dos nossos e da Christandade, por onde muitas vezes ouvi da boa mem[oria] do P[adr]e Valignano, que aquella perseguiçam Deos permetirá, pera que com este meyo os obreiros terem tempo, pera se perfeçoar. Mas agora neste desterro de Macao, onde está a mor parte dos Padres de Japão, e muitos delles ainda de boa idade pera tudo, e muitos Padres, e Irmãos Japões, que são os melhores e mais entendidos assi na lingoa, como nos estudos de Japão, ategora havendo quinze meses, que aqui estamos, podendose fazer tam facilmente hu[m]a academia da lingoa Japoa, e fazer aprender aos nossos Europeos as cousas das seitas de Japão, e fazer emendar os libros compostos, e fazer fazer outros de novo, não há nisto falar, e estamos aqui como não havessimos de tornar outra vez a cultivar Japão, e tantu[m]abest, que os sugeitos de Japão nesta perseguiçam fiquem melhorados, que quando tornarem p[ar]a la, tornerão com a lingoa de Japão esquecida, e podendo tornar pera Japão muitos Padres pregadores na lingoa da terra, cousa tam deseiavel, e que a Congregaçam Prov[inci]al mostrou tanto deseiar, que acerca disto escreveo a V. P., tornarão pera elle menos aptos pera a conversão dos gentios, e tento dos Christãos. E tanto mais devera o P[adr]e Prov[inci]al por nisto suas forças, quanto parece ser de opiniam [f. 6] que os Padres Europeos preguem. Por onde não sei que desculpa poderão dar, porque havendo impedimentos, os quaes não os ha como aqui todos vemos, e sabemos, doveria por tudo cortar, pera sahir com isto, e o que he peor não faltão trabalhos aos que quere[m] aprehender as cousas de Japão, dovendo por o contrario serem aiudados e favorecidos. Escrevi isto, não porque por agora, se lhe possa dar algum remedio, se não p[ar]a mostrar a V. P. a magoa que eu, e outros temos acerca deste ponto.
            A outra cousa he, que pera o bom governo destas provincias, que consistem em missoes, he necessario que os superiores dellas tenhão coraçam grande, e confiança dos subditos, e não mostrar de distanciar delles. Porque se for de outra maneira na conversão dos gentios e cultivaçam dos Christãos haverà muita falta, porque não acodem muitas vezes a mandar os missionarios la onde são necessarios por desconfiarem delles. Daqui nasce que querem ter todos os seus subditos consigo. De donde ne nasce outro inconveniente, que he fazer grandes casas onde não são necessarias, e terem os sujeitos ociosos. Onde ne segue fazerem grandes gastos, e puoco [sic]ganho nas almas e daqui vem que muitos se tentão, particularmente os Japoes, que naturalmente são descansados e estamos em termo de ficarmos sem obreiros dojucus, e Irmãos tambem; attendendo que os Japões são os immediatos obreiros nesta Christandade, e elles são os catechistas, e não os Europeos (os quaes tambem elles, como ia dici ficão nem os aptos in con[foglio rovinato]..nentos). Por onde eu acho que hu[m]a das melhores partes de hu[m] Superior de Japão, hé saber conservar os sujeitos e não tam facilmente botalos porque per fazer hu[m] sugeito he necessario muito gasto, e muito tempo, salvo quando o merecem, porque a vigilancia no superior tambem he necessaria e não desconfiança. Porque parece que não há rezão pera ser assi, sendo que os Europeos ategora procederão cu[m] laude, e se aconteceo algum desastre foi em []. Escrevo isso a V. P. porque isto agora não falta, porq[ue] por amor disto ficarão puocos [sic]em Japão dos nossos, e são mandados menos pera la.
            Não queiro mais enfadar a V. P. com estas minhas mininices, escrevo estas cosas por assi sentilas in D[omi]no. Podera escrever a V. P. o que passa neste collegio acerca dos superiores, que ategora forão, que por os fazerem arbitros em demandas, e quererem governar os da cidade, temos alcançado muitos enemigos e porque entenderão nas cousas alheas, puoco [sic] cuidado tiverão de seus subditos, porque o governo nestas partes ia parece mais politico, que religioso conforme as nossas constituçoes. Mas proprio o P[adr]e Prov[inci]al está pera por nisso e outras cousas remedio efficaz, não me ponho a escrever sobre esta materia. E assi acabo, pedindo a sua P. a sua S. Bençam, rogando ao Senhor, que conserve a V. P. por muitos annos a nossa Comp[anhi]a. De Macao 23 de Janeiro 1616.
De V. P.
Servo inutil
Joam Mattheus Adami


Pareceome de avisar a V. P. como o P[adr]e Reitor não faz consulta com seus consultores, e disto foi avisado de seu admonitor. Mas diz elle que immediamente trata com o P[adr]e Prov[inci]al, [seguono parole cancellate] por onde se vai entroduzendo o governo politico, mais que religioso com grandiss[im]os uotros [sic] inconvenientes que disto se seguem acerca do governo do collegio.

[f. 6v]
[destinatario]
Ao Muito R[everen]do em X.to [Christo] Padre Nosso o Padre Claudio Aquaviva Preposto Geral da Comp[anhi]a de Jesus em Roma.
1.ª via. de Macao do 1616

[f. 7]
[regesto probabilmente redatto dal segretario del generale a Roma]
P. Matteo Adamo [sic] [1]616
Japão Janeiro
Estudos do Macao, e inconvenientes obras do Coll[egi]o desnec[essari]as quando ouver p[er]seguiça[m] então se podera[m] fazer apossentos poderase fazer :::::: a posição e apre[n]dam a lingoa p[ar]a pregar.
Desconfiança dos P[adr]es de q[ue] se senta[m] os Japões desconfiados.
Nossos arbitros de demandas, e com o governo da cidade o P. R[eit]or não faz consultas


Morreo pendurado nas covas de Japão a 22 de Outubro 1633
Traduzione
Lettera del 23 gennaio 1616 inviata da Macao al Preposto Generale P. Claudio Acquaviva.

Molto Reverendo in Cristo Padre
La Pace di Cristo

L’anno passato ho scritto a V. P. con il padre procuratore di questa provincia. Adesso, faccio queste regole per adempiere all’obbligo che ho in quanto consultore del padre rettore di questo collegio di Macao. Appunterò anche cose riguardanti la provincia intera e il collegio nel particolare. La prima cosa che mi preme appuntare è il bene e profitto ma anche il danno e la perdita che la Provincia del Giappone riceve da questo collegio. In effetti, l’esperienza ha dimostrato quanto appropriato fosse il parere che negli anni passati diedero molti padri tra i più importanti e veterani di questa provincia riguardo tenere qui dei corsi. Affermavano che la presenza di questi corsi a Macao rappresentava solo una grande spesa priva di alcun vantaggio per il Giappone. In primis perché ad oggi, per il sostentamento di due maestri e i discepoli si spendono annualmente due mila taels del capitale del Giappone e ogni elemento di questa casa necessita di 45 taels all’anno, con i quali in Giappone ci si potrebbe sostentare una piccola residenza. Secondo perché l’esperienza mostra che la maggior parte dei fratelli che frequentano il corso di arte ed altri in questo collegio perde il fervore originario e la vocazione per la missione, perché credono che andando in Giappone verrebbe vanificata la fatica dei loro studi, dato che non se ne potrebbero servire nelle letture e nelle preghiere, per cui considerano il Giappone come l’odiosa sepoltura del proprio talento. Oltre a ciò, dato che questi fratelli rimangono qui per molto tempo, formano strani convitti con i loro compatrioti attorno alle notizie di quel che succede in Giappone riguardo il vitto, gli abiti, le abitazioni e perdono quella pia affezione a quella gente la cui conversione li mosse a venire da tanto lontano. Queste cose raramente si vedono in coloro che hanno già terminato gli studi, i quali sono determinati a soffrire e non si lasciano ingannare dalle letture e dalle prediche dai pulpiti. Terzo perché, nonostante il collegio è qui da tanti anni, sono pochi i soggetti che sono stati mandati in Giappone, poiché la maggior parte arrivò già formata dall’Europa e dall’India e questo posto finì per essere la sepoltura per molti di loro e altri, molti di più di quanto sia abitudine nelle nostre terre, furono espulsi. Dal che pare che si potrebbe eliminare questa grande spesa e provvedere in maniera migliore per il Giappone, se – con la vostra benevolenza – si inviassero a questa missione di tanto in tanto pochi elementi formati o, quanto meno, che abbiano terminato il corso iniziale e abbiano già iniziato a seguire il corso di Teologia prima di imbarcarsi dall’Europa, cosicché possano terminare gli studi tra Goa e Macao mentre attendono il monsone. E ne bastano pochi, perché la situazione in Giappone non è tale che si possano erigere grandi collegi. Al contrario, è sufficiente non più che qualche residenza, proprio come la Congregazione Provinciale vi ha a riferito, perché l’esperienza insegna che dove c’è molta gente, poco si fa, perché le persone si impigriscono e scaricano il lavoro su qualcun altro.
Stando così le cose, non è necessario che ci siano molti elementi in questo collegio di Macao, sia perché la città è piccola, infatti sembra che i portoghesi che vi abitino siano circa cinque o seicento, sia perché le persone del posto non sono oggetto di conversione e fino ad ora nessuno del collegio è stato diretto a tale compito, dato che parrebbe che i cinesi non si offrano all’evangelizzazione. Oltretutto, qui ci sono tutti gli Ordini Mendicanti, la diocesi e qualche parrocchia, per cui il numero dei nostri potrebbe anche equivalere quello ordinario dei collegi in India, come succedeva in passato prima dell’arrivo dei Frati, perché non sono necessari tanti padri della Compagnia dove c’è una cosí scarsa mietitura e tanti pregatori. A meno che il rettore di questo collegio non voglia offrire pregatori per qualsiasi cosa a tutte le parrocchie, alla diocesi e ai conventi dei Frati, come si suole fare qui. Perché noi non siamo obbligati a mantenere persone affinché preghino e aiutino i conventi dei Frati e le parrocchie, i quali sono soliti ripagare tali lavori e spese con la moneta dell’ingratitudine, come l’esperienza ci mostra quotidianamente. E affinché V. P. [f. 5vsi rendaconto di quanta gente si riunisce nella nostra chiesa durante le prediche (escludendo i grandi giubilei e le feste, qui comuni, dove si balla e danza quando si raccolgono un po’ più di persone), sappia che quando ci sono 40 portoghesi e altrettante donne, tra signore e fanciulle, si tratta di un’ottima affluenza e io ho dovuto ridurre le preghiere delle domeniche di avvento, dove non c’erano più di 20 portoghesi e ancora meno donne, in una chiesa che per grandezza sembra la casa professa di São Roque di Lisbona.
Pertanto, non c’è ragione alcuna di costruire tante cose in questo collegio, sebbene il padre provinciale le stia attualmente facendo e ne progetta di maggiori, volendo che questo collegio non sia inferiore a quello di Goa, in un tempo in cui siamo così poveri e indebitati che, secondo quanto dice il procuratore, di qui a poco per mangiare dovremo rimuovere le lampade d’argento e i candelieri dalla chiesa. Dal che ne consegue che i suoi piaceri non vanno d’accordo con le nostre necessità e la nostra povertà. E io confesso che se non conoscessi il reale stato in cui ci troviamo, non riuscirei a credere che la Compagnia avesse tanti bisogni in queste terre, dato che i superiori costruiscono tante cose in un luogo e in un tempo in cui non sono necessarie, o quanto meno non urgenti. E dicono che è bene avere un collegio grande e capace in vista dell’eventuale espulsione dalla Cina o dal Giappone, così da avere un posto dove ospitare gli esuli. A questo si potrebbe rispondere che, come l’esperienza ci insegna, gli edifici di questa terra si rovinano e marciscono in fretta e non durano molto tempo, per cui tanto vale non costruirne nessuno. E quando saremo esiliati, allora si faranno queste costruzioni, in caso siano necessarie, che forse allora avremo quell’argento che ora ci manca. Dico ancora che se ci sarà un’altra persecuzione in Giappone, come questa che ancora non è terminata, forse i superiori di quel tempo lasceranno in Giappone più persone, come fecero i superiori passati durante la persecuzione di Taicô e che si sarebbe potuto fare anche questa volta, dato che i Cristiani lo desiderarono e si offrirono per nascondere molti padri e lo avrebbero fatto fedelmente, como lo stanno facendo adesso. Perché, sebbene i padri soffrano stando nascosti, tuttavia in questo tempo si fa un grande servizio al Signore e, in caso di guerre, come quelle che ci sono oggi in Giappone, si convertono in molti dato che l’esperienza mostra che nelle torbide acque di persecuzioni e guerre si pescano pesci grandi, ossia signori potenti.
Non lascerò di scrivere in questa lettera due cose, sebbene non sia possibile rimediarvi, ma è bene che V. P. le sappia. La prima è che, nella persecuzione passata, gli operai del Giappone si fecero più atti alla conversione dei gentili e al trattamento dei Cristiani e si fecero molte opere e composizioni per il progresso dei nostri e della Cristianità. Molte volte udì il Padre Valignano di buona memoria, che era Dio a permettere quella persecuzione, affinché gli operai avessero tempo per perfezionarsi. Ma ora in questo esilio di Macao si trova la maggior parte dei padri del Giappone, e molti tra questi ancora in età buona per tutto, e molti padri e fratelli giapponesi, che sono i migliori e più esperti tanto nella lingua, come negli studi delle cose del Giappone. Dopo quindici mesi che risiedono in questo posto, si potrebbe fare facilmente un’accademia di lingua giapponese per insegnare ai nostri Europei le cose delle sette del Giappone, corregere i libri scritti e farne fare di nuovi. Ma di questo non si parla e stiamo qui come se non torneremo di nuovo a coltivare il Giappone, e tanou[m] ab est [non sono riuscito a decifrare queste parole] che i giapponesi possano migliorare durante questa persecuzione, che quando torneranno là, avranno dimenticato il giapponese e potendo tornare in Giappone molti padri che possano predicare nella lingua della terra, cosa che la Congregazione Provinciale dimostrò di volere tanto e ne scrisse a V. P., torneranno lì meno preparati alla conversione dei gentili e al sostegno dei Cristiani. E tanto più dovrà mettere le sue forze in questo il padre provinciale, quanto sembra essere dell’opinione [f. 6] che debbano essere i padri europei a portare avanti l’evangelizzazione. A tal riguardo non so che scuse si possano dare, perché in caso si presentino degli impedimenti, i quali – come tutti vedono e sanno – non ci sono, il provinciale dovrebbe fare molti tagli per riuscire in questa cosa e la cosa peggiore è che non mancano tribolazioni per quelli che vogliono apprendere le cose del Giappone, dovendo, invece, a tal fine essere aiutati e favoriti. Scrivo questo non perché ora vi si possa rimediare, ma per mostrare a V. P. il disappunto che io come altri proviamo a tal riguardo.
L’altra cosa è che per il buon governo di queste province, che consistono di missioni, è necessario che i superiori abbiano grande cuore e fiducia nei loro sottoposti e non si allontanino da loro. Perché se cosí non sarà, ci sarà grande perdita nella conversione dei gentili e nella coltivazione dei Cristiani, perché spesso non si inviano missionari là dove sono necessari per diffidare di loro. Ne consegue che tutti vogliono tenere i propri sottoposti presso di sé e ne nasce un altro inconveniente, ossia la costruzione di grandi case dove non sono necessarie e si lasciano tanti sottoposti ad oziare, il che, di conseguenza, causa l’aumento delle spese e la diminuzione delle anime. Da ciò si nota come molti finiscono preda delle tentazioni, particolarmente i giapponesi, i quali tendono a rilassarsi per natura, mentre noi corriamo il rischio di rimanere senza dōjuku e anche senza Fratelli, tenendo sempre in considerazione che sono i giapponesi i primi operai e catechisti di questa Cristianità, non gli europei (i quali, come ho già detto, non sono nemmeno i più adatti [foglio rovinato]). Per cui, io credo che una delle migliori qualità di un Superiore del Giappone sia saper conservare i sottoposti e non congedarli con leggerezza tranne quando lo meritano, dato che per istruirne uno è necessario molto denaro e tempo, perché per un superiore è importante anche la vigilanza, ma non la diffidenza. Dato che pare che non ci sia ragione affinché si faccia in questo modo, visto che gli Europei fino ad ora hanno lavorato cum laude e quando è accaduto un disastro, fu in preros [?]. Vi scrivo questo perché al momento tutto ciò non manca, perché per amore di questo in Giappone sono rimasti in pochi dei nostri e ancora meno se ne mandano.
Non voglio appesantirla oltre con queste mie quisquilie, scrivo queste cose cosí per sentirle in Domino. Potrei scrivere a V. P. quello che succede in questo collegio riguardo ai superiori che ci furono fino ad ora, i quali, per essere chiamati in causa come arbitri nelle dispute e per voler essi stessi governare le persone della città, ci hanno fatto rimediare tanti nemici e poco si dedicavano ai loro sottoposti, occupandosi degli affari degli altri. Il governo di queste parti, difatti, sembra essere politico più che religioso e conforme alle nostre Costituzioni. Ma proprio il padre provinciale sta cercando di porre efficace rimedio a questo e ad altre cose e dunque io non scrivo su questo argomento. E cosí finisco, chiedendo la sua Santa benidizione, pregando il Signore che conservi per molti anni la nostra Compagnia. Da Macao, 23 di Gennaio 1616.
Di V. P.
Servo inutile
Joam Mattheus Adami

[f. 6v]
[destinatario]
Al molto reverendo in Cristo Padre Nostro il Padre Claudio Acquaviva Preposto Generale della Compagnia di Gesù in Roma.
Prima via, da Macao, 1616

[f. 7]
[regesto probabilmente redatto dal segretario del generale a Roma]
P. Matteo Adamo 1616
Giappone Gennaio
Studi a Macao e inconvenienti
Inutili lavori nel collegio
Quando ci sarà una persecuzione, allora si potranno costruire altri spazi
Si potrà fare + posizione e apprendano la lingua per pregare
Sfiducia dei Padri che i giapponesi siano diffidenti
I nostri come arbitri nelle dispute e nel governo della città
Il P. Rettore non tiene consulte.

Morì impiccato nei pozzi del Giappone il 22 di Ottobre 1633

Originale

[f. 8]
[altra mano: 8 Januar 1617. Macao
P. Joam Matthaeus Adami]

Muito R[e]v[eren]do in X.to [Christo] Padre
Pax X.ti [Christi]

Este anno de 1616 soubemos como Deos nosso Senhor chamou pera si ao nosso P. Geral Claudio Aquaviva pera como a cuidadoso pai de familha lhe dar o premio de seus muitos trabalhos, e do bom cuidado, que teve da vinha de sua Comp[anhi]a, com a qual nova, posto que todos ficamos desconsolados, e tristes da maneira que ficão os bons filhos com a morte de seus amorosos, e queridos pais. Comtudo se tem pera esta dor, e sentimento com nos persuadirnos, que Deos nosso S[enho]r pola particular, e amorosa providencia, que tem de nossa Comp[anhi]a ia lhe terà dado por seu vigairo e successor do defunto pessoa tal, que nella possamos reverenciar e reconoser au hum, e uotro [sic]com multa consolaçam, e proveito de nossas almas, e bem universal de toda nossa Comp[anhi]a. E porque aquelle, a quem Deos escolheo por seu vigairo, e Geral, e pai de nossa Comp[anhi]a he V. P. a V. P. desde aqui do ultimo do mundo deste Macao humilmente me inclino pedindo sua S. bençam inutil servo, e indino [sic] filho de V. P., rogando ao Senhor, ut emittat sapientiam de sede magnitudinis suæ, et tecum laboret, ut scias, et facias, q[uo]d acceptum sit coram eo omni tempore.
Escrevo esta a V. P. pola obrigaçam, que tenho de Consultor do Reitor deste Collegio de Macao; ainda que os consultores deste collegio são somente de nome; porq[ue] por espaço de hum anno, e meyo que sou consultor não chameria o Reitor quatro vezes a consulta. Foi avisado o Reitor que goardasse [sic, guardasse]a regra 14 de seu officio, forão avisados tambem os PP.s [Padres] Visitador e Prov[incia]l, que aqui estão, que lha fizessem goardar [sic, guardar], mas ategora não vemos que se tenha posto remedio.
O anno passado forão recebidos na Comp[anhi]a tres Noviços, duos delles mistiços filhos de Macao, e hum Portugues, que fora ia despedido da Comp[anhi]a em Goa, o qual recebimento muitos Padres tiverão pera si desnecessario e danoso pera a Comp[anhi]a porque todos elles são sujeitos de puocas partes, e esperanças, e em tempo que esta Provincina havia de ser descarregada de gente disutil. Emfim, ia os duos filhos de Macao por ineptos forão despedidos, fica agora somente o Portugues e na verdade, como a esperiencia mostra, os Noviços neste lugar sayem por ordinario puoco aproveitados no espiritu, e humildade; assi por não haver Novitiado formado, nem serem exercitados bem no exercitio das virtudes, e mortificaçam e puoco provados com os experimentos da Comp[anhi]a; como tambem, porque os mestres dos noviços ordinariamente são Padres mancebos e de puoca [sic, pouca] esperiencia, como V. P. pode ver do catalogo, que va dos suieitos deste Collegio.
Como quer, que neste Collegio não ha mancebos estudantes, se não Padres com seus estudos acabados e obreiros, que vieram desterrados de Japão, ha nelle muita paz, e quietaçam, e procedem todos com espiritu, e devaçam, empregandose nos exercitios, e ministerios de nossa Comp[anhi]a, conforme a ordem da Obediencia com fruito nos proximos. Entre os Padres ha alguns, que estudam a lingoa de Japão e as seitas delle pera se fazerem mais aptos instrumentos pera aquella missam; e este estudo instituyo o P[adr]e Franc[is]co Viera [sic, Vieira] Visitador depois de sua chegada a este collegio da India.
[f. 8v] O qual com sua vinda consolou muito a todos desta Provincia. O qual, posto que he virtuoso, prudente, e esperimentado no governo da Comp[anhi]a na India, não tem comtudo ainda esperiencia do que se convem fazer em Japão; por onde muitos dos mais esperimentados estão arreceando, por as traças, que mostra levar, que ordenerá cousas, que antes, que se tornem a tirar hão de causar muita perturbaçam nos sujeitos, e no governo aprovado por uotros [sic, outros] Visitadores, e confirmado com a esperiencia de tantos annos.
Quanto ao governo do presente Reitor deste Collegio, posto que he suave, não se pode chamar espiritual conforme a o instituto de nossa Comp[anhi]a porque seguindo elle as pizadas de seu predecessor he muito dado ao trato inutil com os seculares, por onde attendendo a o alheo, deixa o proprio, nam tendo aquella communicaçam com seus subditos e o cuidado espiritual, que se requere contentandose de os contentar, e ter em paz. Aqui o Reitor, nem por si, nem por outros aquillo que se ordena nos paragrafos p[rimeir]o e 2.º da Instruiçam Procoadiutoribus temporalibus Societatis; sendo aqui mais necessario, que nos uotros [sic, outros] lugares, porque aqui ha muitos coadiutores mancebos, que foram soldados, nos quaes ainda esta apegado muito de soldadesca. Ja por vezes se ha tratado com os Superiores mayores pera que posessem algum preceito ao Reitor deste collegio, e a qualquer uotro [sic] Padre, que aqui estiver, pera que não se metão nas cousas do governo desta cidade, e uotras cousas secularescas; ao que posto que os Superiores parece ter provido, não deixa com tudo o mao custume brotar, com muito dano nosso, e murmuraçoes dos seculares e perda dos amigos, como cada dia esperimentamos, como saberà V. P. por cartas de uotros [sic] que estas cousas sabem melhor. Não sou mais comprido nesta, remetendome no mais à carta, que escrevi o anno passado. E com isto acabo pedindo a V. P. a sua Santa Benção, rogando ao Senhor que conserve a V. P. por muitos annos a nossa Comp[anhi]a. De Macao aos 8 de Janeiro de 1617.
De V. P. muito R[everen]da
Servo inutil
Joam Mattheus Adami


[f. 9v]
[destinatario]
Ao Muito R[everen]do em Chr[ist]o P[adr]e nosso, o P[adr]e Preposto Geral da Comp[anhi]a de Jesu.
1.ª Via. 1617
De Macao   
Roma.




Traduzione
Lettera dell’8 gennaio 1617 inviata da Macao al Preposto Generale p. Claudio Acquaviva.

Molto Reverendo in Cristo Padre
La Pace di Cristo

Nel 1616 ci arrivò la notizia di come Dio nostro Signore chiamò a sé il nostro Padre Generale Claudio Acquaviva, affinché, come un premuroso padre di famiglia, potesse offrirgli il premio per le sue tante tribolazioni e per la premura con cui si prese cura della vigna della sua Compagnia. La notizia ci ha lasciati tutti intristiti e inconsolabili, proprio come buoni figli che perdono i propri amati e cari genitori. Nonostante il dolore, siamo convinti che Dio nostro Signore, tramite la personale e amorosa provvidenza che ha nei riguardi della nostra Compagnia, avrà già scelto come suo vicario e successore del defunto una persona tale che possiamo reverire e riconoscere con molta consolazione e vantaggio delle nostre anime e bene universale di tutta la nostra Compagnia. E poiché colui che Dio ha scelto per suo vicario, generale e padre della nostra Compagnia è V. P., a V. P., da qui, dall’ultimo luogo del mondo, da questa Macao, umilmente mi inchino chiedendo la sua santa benedizione come servo inutile e figlio indegno, pregando al Signore, ut emittat sapientiam de sede magnitudinis suæ, et tecum laboret, ut scias, et facias, q[uo]d acceptum sit coram eo omni tempore.
Scrivo a V. P. per l’obbligo che ho in quanto consultore del rettore di questo collegio di Macao, sebbene i consultori qui lo siano solamente di nome, perché durante l’anno e mezzo in cui ho ricoperto questo ruolo, il rettore ha convocato la consulta solamente quattro volte. Il rettore è stato richiamato che rispettasse la regola 14 del suo seggio e anche il padre visitatore e il provinciale che stanno qui sono stati avvisati che gliela facessero rispettare, ma al momento non sembra vi si sia posto rimedio.
L’anno passato furono accolti nella Compagnia tre novizi, due meticci nati a Macao e un portoghese, il quale era già stato precedentemente espulso dalla Compagnia a Goa. Molti padri ritenevano questi ammissioni inutili e dannose per la Compagnia, perché sono tutti i tre uomini con poche qualità e disposizione e sono stati accolti in un momento in cui questa provincia dovrebbe essere alleviata da gente superflua. Ad ogni modo, i due nati a Macao sono stati già espulsi per via della loro inettitudine e ora rimane solo il portoghese. In realtà, come ci insegna l’esperienza, i novizi di queste parti normalmente non hanno la necessaria preparazione di spirito e di umiltà per le seguenti ragioni. L’assenza di un noviziato formato, la loro poca pratica nell’esercizio delle virtù e della mortificazione, la poca esperienza delle cose della Compagnia, ma anche perché, come può vedere V. P. dal catalogo delle persone di questo collegio, i maestri dei novizi ordinariamente sono scelti tra padri giovani e poca esperienza.
Come vuole, in questo collegio non ci siano giovani studenti, ma solo padri che hanno terminato gli studi e operai espulsi dal Giappone, il collegio gode di molta pace e quiete e tutti avanzano in spirito e devozione, impegnandosi negli esercizi e ministeri della nostra Compagnia, conformemente all’ordine di obbedienza per il profitto del prossimo. Tra i padri ce ne sono di alcuni che studiano la lingua e le sette giapponesi, cosí da diventare abili strumenti per quella missione. Questo studio fu introdotto dal Padre Visitatore Francisco Vieira una volta arrivato in questo collegio dall’India, [f. 8vil che fu di grande consolazione per tutti noi di questa provincia. Padre Vieira, sebbene sia virtuoso, prudente e con molta esperienza nel governo della Compagnia in India, ancora non ha l’esperienza adatta per decidere ciò che conviene fare in Giappone, per cui molti tra i veterani sono preoccupati a causa dei suoi progetti e che ordinerà di fare cose che, prima che vengano rettificate, saranno causa di molto disturbo tra i sottoposti e nel governo approvato dagli altri visitatori e confermato da molti anni di esperienza.
Quanto al governo dell’attuale rettore del collegio, posto che sia suave, non si può chiamare spirituale secondo l’istituto della nostra Compagnia, perché egli, sulle tracce dei suo predecessori, si presta molto all’inutile rapporto con i secolari, per cui, occupandosi di cose altrui, non si occupa delle proprie e non mantiene quella comunicazione e attenzione spiriturale verso i suoi sottoposti che gli è richiesta, accontentandosi di accontentarli e mantenerli in pace. Qui il rettore non fa rispettare né per sé né per gli altri quello che si ordina nel primo e secondo paragrafo delle istruzioni Procoadiutoribus temporalibus Societatis, nonostante sia qui più necessario che in altri posti, perché qui ci sono molti coadiutori giovani che in precedenza erano soldati, i quali sono tuttora molto attaccati allo spirito militaresco. Già alcune volte si è trattato con i principali superiori affinché si imponesse qualche precetto al rettore e a qualsiasi altro padre che fosse qui, affinché non si immischiassero nel governo della città e altri affari secolari. Sebbene sembri che i padri superiori vi abbiano posto rimedio, questo mal costume non cessa di germogliare ed è causa di grande danno per noi, ma anche di lamentele dei secolari e perdita di amici, come vediamo ogni giorno e come V. P. saprà dalle lettere di altri che conoscono queste cose meglio di me. Non mi dilungo oltre in questa lettera, rimandando il resto all’altra che scrissi l’anno passato. E con questo finisco, chiedendo a V. P. la sua Santa Benedizione, pregando al Signore che vi conservi per molti anni nella nostra Compagnia. Da Macao, l’8 Gennaio del 1617.
Di V. P. molto Reverenda
Servo inutile
Joam Mattheus Adami

Originale
Lettera inviata dal Giappone il 17 ottobre 1618 a p. Benardino Confalonerio assistente della Compagnia di Gesù

Molto Reverendo in Cristo Padre
La Pace di Cristo

Ancorchè doppo la mia partita di Roma a Milano, e di là a queste parti fin’ hora non habbia scritto a V.R., con tutto le posso affirmare che questo non è stato per essermi io scordato di V.R. e delle molte sue Charità che da lei ho ricevuto essendo il V.R. Rettore del Seminario Romano, et io prefetto di una camera. Di questo potrà essere fidelissimo testimonio il Padre Celso Confalonerio, mio particularissimo Padre et  amico nel Signore, con il quale così nel Giappone come in Macao con grata memoria di lei raggionai ben spesso delle cose sue. Ma nacque per non si me offerire occasione di poterlo debitamente fare, non volendo , io stando occupato nel servitio di questa Christianità e V.R. in cose molto maggiori et importanti alla nostra Compagnia, inquietarla con le mie  disnecessarie lettere, contentandome nel secreto del cuor mio raccomandarlo al Signore Iddio come di continuo ho fatto, e doppo di haver inteso che V.R. fu eletto per uno dell’Asistenti del R.N.P. Gerato più caldamente il faccio nelle mie fredde orationi, e prendo divoti sacrifici. Così che faccio la presente così per il Padre Celso me lo acconsegliare, come ancora particularmente per satisfare in parte all’obligo mio verso V. R. alla quale molto mi raccomando nel Signore.
Io questo  mese di Giuglio passato tornai di Macao secretamente un’altra volta per il Giappone lasciando in quel collegio per Rettore al Padre Celso molto contra sua voluntà , ma con sanità e ben disposto. La persecutione delli Gentili contra la Christianità e ministri di lei ogni giorno va crescendo più e più intanto che adesso  particularmente li Padri di nostra Compagnia stanno aspettando contra di noi la sentenza del Re, la quale probabilmente sarà (se il Signore Iddio altro non dispone) che ci cerchino con diligenza per tutto il Giappone, e trovati, o ci mandaranno un’altra volta per Macao, o ci ammazzaranno. Piaccia al Signore di facerci degni di poter poner la vita per suo santo amore, et honore e perché io mi cognosco indignissimo che il Signore mi faccia così signalata gratia per li miei molti demeriti et imperfettioni nel suo santo servitio, prego a V.R. che con le sue SS.orationi e sacrifitii me l’ottenga da Dio. Con questa lettera mando una al Padre Carlo Rossi in Sicilia, la quale è di cose di edificatione, se V.R. permettendolo le sue molte occupationi, la vorrà leggere lo possa fare, e di poi di letta, mandarla al detto Padre e perché questa non è per altro, finisco pregandola che si ricordi di me nelle sue SS.e orationi e sacrifitii.
Del Giappone 17 di Otobre 1618
Di V.R. Servo nel Signore
Giovan Mattheo Adami

Originale
[Lettera del 20 ottobre 1618 inviata dal Giappone a p. Nuno Mascarenhas assistente della Compagnia di Gesù]

[f. 12]
Pax Christi.

Posto que ategora não escrevi a V. R. como era minha obrigaçam dandolhe as devidas graças pollas muitas charidades, que sendo V. R. Reitor do Collegio de Santo Antam recebi em Lisboa até me embarcar pera estas partes; com tudo affirmo a V. R. com toda verdade que isto não nasceo por eu esquecerme de V. R. e de seus beneficios; mas veyo por não se me offerecer particular, e commoda occasiam pera o fazer; não quis estando eu occupado na cultivaçam desta Christandade, e V. R. em móres, e de muito serviço de Deus, e da Comp[anhi]a estorvalo com minhas desnecessarias cartas, contendandome no secredo do meu coraçam do encomandar [sic, encomendar] ao Senhor Deos como ategora fiz, e depois de saber, que V. R. foi eleito por Assistente do N. R. P[adr]e Geral por parte das Provincias de Portugal o faço com mor cuidado nas minhas frias oraçoes e puoco [sic, pouco] devotos Sacrificios. Assi que agora assi por conselho d’alguns PP.s [Padres] Portugueses particular[men]te meus verdadeiros pais, et amigos, como tambem pera emendar os descuidos passados me atrevi esta vez de lhe offerecer esta carta em testimunho do muito que confesso dever a V. R. e do amor, e reverencia que lhe tenho e juntamente em penhor [sic, penho]de lhe haver a escrever todos os annos como he minha obrigaçam.
Escrevo esta a V. R. de Jappão pera onde este anno tornei de Macao, e agora me acho em hu[m]a ilha por nome Amacusa, onde ha muitos Christaos, p[ar]a onde me vim direito do Pataxo, por assi ordenar o Sup[eri]or sem chegar ategora a Nangasaqui nem ver o P. Prov[inci]al, ou encontrar algum dos nossos P[adr]es e estarei aqui recolhido até passar hu[m]a rija tormenta, que particular[men]te se allevantou sobre a estada do P[adr]e Prov[inci]al, e mais P[adr]es da Comp[anhi]a em Jappão contra a ordem do Rei delle aiuntando os Christaos, a qual não sabemos em que parará; mas todos estamos prestes p[ar]a o que Deos for servido ordinar de nos e particular[men]te estamos mui esforçados por este anno tambem passar a este reino com tanto trabalho seu, e incomodidades o bem velho Nosso P[adr]e Visitador Fran[cis]co Vieira, cuja vinda confiamos no senhor que sará de gloria sua.
Ainda que seia esta a primeira vez, que escrevo a V. R. pera começar a acrecentar às antigas, novas obrigaçoes, neste maço debaixo do nome de V. R. e de sua boa so[m]bra mando uotro [sic], pera que V. R. por amor de Deus o queira fazer encaminhar a Sicilia pera onde va, porque nelle vão cartas mui deseiadas dos meus parentes, e são as primeiras [aggiunta posticcia: ou as 2.as] que depois de tantos annos lhes escrevo por assi me o pedirem os Padres de lá. As poderia V. R. fazer encomendar ao P[adr]e Preposto da Casa Professa de Palermo, ou ao Reitor do Collegio da mesma cidade p[ar]a que possem chegarem seguramente às maos dos meus parentes sendo delles encaminhadas pera onde vão. E porq[ue] esta não he p[ar]a mais acabo encomendandome de todo coraçam nos s[ant]os sacrif[ici]os e oraçoes de V. R. ao qual o S[enh]or Deos encha com seus celestiaes does e graças. De Jappão 20 de Outubro 1618.

Joam Mattheus Adami

Traduzione

La Pace di Cristo

Sebbene fino ad oggi non ho scritto a V. R. come sarebbe mio obbligo per darle i dovuti ringraziamenti per la molta carità che ricevei in Lisbona prima di imbarcarmi per queste terre, quando V. R. era rettore del collegio di Santo Antão. Ciononostante, confido in tutta sincerità che non fu per essermi dimenticato di lei e dei suoi favori. Non volli disturbarla con le mie inutili lettere per non essersi presentata un’occasione propizia e comoda ed per essere io occupato nella coltivazione di questa Cristianità e V. R. in maggiori occupazioni di gran servizio per Dio e per la Compagnia. Pertanto mi accontentai di raccomandarla al Signore Dio nel segreto del mio cuore, come ho fatto fino ad oggi. Ed ora che so che V. R. fu eletto come Assistente del nostro Reverendo Padre Generale per le province del Portogallo, lo faccio con maggiore attenzione nelle mie fredde preghiere e poco devoti sacrifici. Cosicché ora, tanto su consiglio di sacerdoti portoghesi miei veri padri e amici, quanto per correggere i miei errori passati, oso scrivere questa lettera come testimone del molto amore e riverenza che devo a V. R. e come pegno di averle dovuto scrivere tutti gli anni secondo i miei obblighi.
Scrivo questa lettera dal Giappone dove sono tornato quest’anno da Macao. Ora mi trovo in un’isola chiamata Amakusa, dove ci sono molti Cristiani e dove sono sbarcato direttamente dalla nave, senza passare per Nagasaki né aver visto il padre provinciale o altri nostri padri, perché cosí ordinò il superiore. Rimarrò qui rifugiato fino a quando sarà passata questa forte tormenta innalzatasi a causa della permanenza in Giappone contro l’ordine del Re del padre provinciale e altri padri della Compagnia per aiutare i Cristiani, persecuzione che ignoriamo quando giungerà al termine. Ma siamo tutti pronti a qualsiasi cosa ci ordinerà Dio e, in particolare, siamo molto animati per esser venuto qui, tra molte tribolazioni e disagi, l’anziano padre nostro Visitatore Francisco Vieira, la cui venuta confidiamo che sia per la gloria del Signore.
Sebbene sia la prima volta che scrivo a V. R., comincio ad aggiungere nuovi obblighi agli antichi, in questo pacco col suo nome e sotto la sua ombra ne mando un altro affinché V. R. per amor di Dio lo faccia rincamminare per la Sicilia, perché dentro ci sono lettere molto anelate dai miei parenti e sono le prime [aggiunta posticcia: o le seconde] che gli scrivo dopo tanti anni, dato che me lo hanno chiesto i padri di là. V. R. le può indirizzare al padre preposto della casa professa di Palermo o al rettore del collegio della stessa città affinché possano arrivare sicuramente nelle mani dei miei parenti, essendo poi nuovamente spedite ovunque essi si trovano. E poiché questa lettera non ha altri scopi, chiudo raccomandandomi di tutto cuore ai suoi santi sacrifici e orazioni e che sia riempito di doni e grazie dal Signore Dio. Dal Giappone, 20 Ottobre 1618.

Joam Mattheus Adami

Originale

Japon 10 oct 1624 P. Joan Matth Adami
Al P.e Assistente do Portugal Nuno Mascarenhas

Pax Christi

Nao deixarei este anno escrever a V. R. alguas novas destas partes de Voxu e Deva conforme a minha obrigaçam porque sei que V. R. molto folgaria com ellas polo grande amor, que tem a toda essa Christandade de Jappao e a esta affligida Provincia.
O anno passado de 1623 começouse a renovarse a perseguicam contro os fieis no me de Outubro na cidade de Yendo, na qual receberão a coroa do S. martirio muitos fieis e entre elles hum religioso de S. Francisco e o Padre Jeronymo de Angelis natural de Castrojoam no reino de Sicilia filho dimissório de N. Compañia varão verdadeiramente apostolico, e incansável no serviço de Deos, e na conquista das almas, o qual com razão se pode chamar Apostolo destas partes de Voxù, e Deva, pois elle foi, que com seu grande zelo, e muitos trabalhos abrio estes matos fechados, e plantou nelles huma nova, e grande vinha do Senhor a qual elle só por alguns annos cultivou e acrecentou com increivel sucesso, e conversão das almas; a qual agora com difficuldade podem cultivar três Padres de Nossa Companhia e duos religiosos de S. Fran[cis]co. Renovouse logo a p[er]seguiçam contro a nossa S. Feè em Yendo, e por todo Jappão, e particularmente nestas partes de Voxù e Deva onde ao presente me acho, e nesta só destas partes falerei.
Em Xendai estado de Masamune ouve mui cruel perseguiçam por assi mander elle por muitos respeitos e livrarse de muitos enfadamentos. No fim do mes de Fevereiro de 1624 foram martirizados na cidade de Xendai alguns, e entre elles duos marido, e molher ia de muita idade, porq[ue] Ansai Jochin era de 70 annos, e sua molher de 60, ou mais. O martirio foi levalos a o rio naquelle tempo de grandiss[im]os frios, e neves, e la por vezes o melgulharão nelle, mas os bons velhos perseverando na confissão da S[ant]a Feè de Christo os despirão nús, e passarão por toda a cidade lançando sobre elles muitas vezes baldes de agoa; e por derradeiro amarrados  a huns cancelos com muita fortaleza, paciencia, e paz derão suas almas a o S[enh]or.
No mesmo lugar em uotro [sic, outro] dia forão martirizados duos outros marido e molher, mas estes forão assados vivos, a molher estando no meyo das chamas começou a lancar dos olhos grande copia de lagrimas, e disse que era tam grande a consolaçam que tinha por morrer por amor de Jesu Christo nosso S[enh]or que por pura suavidade não podia ter as lagrimas considerando particularmente o grande beneficio, que o S[enh]or lhe fazia por a ter posta no numero de seus escolhidos para

[f. 14v]
o gozar eternamente no ceo. O que causou em todos grande compaixão, e devaçam.
Aos 4 de Março no mesmo lugar forão martirizados nove, com novo, e mui cruel, e comprido martirio. Entre elles foi o P[adr]e Diogo Carvalho natural de Coimbra de N. Comp[anhi]a dimissório filho della, e superior da missam destas partes, varão tambem elle verdaderamente Apostolico e grande zelosos das almas polas quaes muito padeceo, e trabalhou em Voxù, e Deva, com muita gloria do S[enho]r, bem das almas, e honra de N[ossa] Comp[anhi]a. O genero do martirio foi semelhante ao que padecerão os 40 S[antissim]os martires, cuia festa celebra a S. igreja aos 9 do mesmo mês de Março. E soffreo aquelle tormento com tanta fortaleza, paciencia, e paz, que até os mesmos gentios ficarão pasmados, porq[ue] nem tremeo polo frio, nem mostrou outro sinal de pena, e dor mas com grande fervor, e zelo animava seus companheiros com seu exemplo, e palavras, pelo que todos com grande alegria, e paciencia acabarão os trabalhos desta vida, e forão a gozar da eterna beaventurança. E o P[adr]e foi o derradeiro de todos, que deo sua alma ao S[enho]r que por tanta sua gloria a criara quasi a meya noite, sendo estado naquelle tanque de agoa por espaço de 12 horas. Graças ao S[enho]r que assi o quis escolher, e fazelo seu mimoso servo, e filho, a glorificalo nesta vida in laboribus, p[ar]a lhe dar no ceo a coroa preciosa da gloria. Nos deixou a todos com grandes saudades, pola grande falta que neste tempo nos faz hum semelhante obreiro, mas confiamos no S[enho]r que por sua intercessão nos aiudarà mais.
Em Aquita, e Xembocu terras do reino de Deva a p[er]seguiçam contro aquelles fieis foi crueliss[im]a e rigorosiss[im]a e tal que nem nos montes, e debaixo da neve se podião esconder os Christaos, durou a furia da p[er]seguiçam ategora, porque quebrou sua furia com dar a palma do S[anto] Martirio a mais de cento, dos quaes 32 forão assados vivos, e estes pola mor parte forão criados do S[enho]r daquellas partes por nome Sataquedono, gente honrada, e principal com seus filhos, e molheres. No tempo do martirio destes gloriosos s[ant]os o mesmo sataquedono, e uotros [sic, outros] gentios virão cousas maravilhosas no ar, por onde o Tono disse, que os Christãos tinhão razão morrer por sua lei, mas prohibio, que não se falasse nellas, por não tomar mais forças os Christaos. Polo anno com o favor divino em particular dare novas disto, porq[ue] [f. 15] atègora não se pudi tomar informaçam fiel do sucedido.
A Provincia de Nambu deo tambem ao ceo seus martires, de tres tivi novas certas, entre os quaes foi hu[m]a molher de 50 annos de idade, a qual foi atormentada com diversos generos de tormentos; e tomandos suas carnes a derão a comer a hum tigre, que tem em hu[m]a casa feita de esteos, como hu[m]a gayola, o qual por ordinario sustentão com carne humana dos iustiçados, vendo o tigre a presa desceo elle de seu baileu, e cheirou a carne da S[anta] Martir de Christo e deixandoa intacta se tornou p[ar]a o seu baileu, e por espaço de tres dias, como me escrevem, não deceo delle, pelo que os da vijia forão forçados a tirar fora da gayola a carne da S[anta] molher e então o tigre deceo, mas mui brava que punha medo a todos, do que ficarão os gentios espantados. Ouve tambem neste lugar outras maravilhas.
Este he o fruito que deo Voxù, e Deva nesta perseguiçam, e se recolheo no ceo com grande honra da Comp[anhi]a, porq[ue] todos os sobreditos martires são filhos da Comp[anhi]a e cultivados por os filhos della, tirando tres, que no estado de masamune padecerão, que dizem forão dos Christaos dos P[adre]s de S. Fran[cis]co. Nas uotras partes posto que ouve p[er]seguiçam, não foi tam cruel, e se contentarão com destarrar alguns.
Já dei as graças a V. R. do prezente que tres annos há recebi de diversos reliquiairos, e outras cousas de devaçam, e torno a dar as graças, porq[ue] não sei se minhas cartas chegarião por amor de tantos naufragios e p[er]igos de corsarios. Não quero ser mais comprido, peço a V. R. me faça charidade pedir a N. Padre da minha parte a Sua S[anta] benção, porque parece-me que não tarderà muito meu dia. Nos S[ant]os sacrif[ici]os e orações de V. R. muito me encomendo. De Jappão 18 de Outubro de 1624.

Joam Matt[he]us Adami

Traduzione

Lettera del 10 ottobre 1624 inviata al Padre Nuno Mascarenhas Assistente della Compagnia di Gesù.

Non lascerò quest’anno di scrivere a V. R. alcune novità delle parti di Voxu e Deva in conformità al mio obbligo perché so che V. R. le apprezzerà molto per il grande amore che ha nei confronti di tutta la cristianità giapponese e di questa afflitta provincia.
L’anno passato del 1623 riprese la persecuzione dei fedeli nel mese di Ottobre nella città di Yendo, nella quale ricevettero la corona del Santo Martirio molti fedeli e fra loro un religioso di San Francesco e il Padre Girolamo De Angelis nativo di Castrogiovanni nel regno di Sicilia figlio dimissorio della Nostra Compagnia uomo veramente apostolico e instancabile nel servizio di Dio e nella conquista delle anime, il quale con ragione si può chiamare apostolo di questa parte di Oshu e Deva in quanto fu lui che, con grande zelo e molto lavoro, aprì queste selve serrate e vi piantò una nuova e grande vigna del Signore la quale egli per alcuni anni coltivò da solo e accrebbe con incredibile successo e conversione delle anime, la quale oggi è coltivata con difficoltà da tre Padri della Nostra Compagnia e due religiosi di San Francesco. La persecuzione contro la nostra santa fede è ricominciata presto a Yendo, e per tutto il Giappone, e particolarmente in queste parti di Oshu e Deva dove al presente mi trovo e solo di queste parti parlerei.
In Sendai, stato di Masamune, ci fu una crudelissima persecuzione ordinata dallo stesso Masamune per varie ragioni e per liberarsi di molti fastidi. Verso la fine del mese di febbraio 1624 delle persone furono martirizzate nella città di Xendai e fra queste due mariti e mogli già piuttosto anziani, perché Ansai Jochin aveva 70 anni e sua moglie 60 o più. Per il martirio furono portati ad un fiume in un tempo di grandissimo freddo e neve e vi furono immersi più volte. Tuttavia, dato che quei buoni vecchi perseveravano nella confessione della Santa Fede di Cristo, furono spogliati completamente e condotti per tutta la città mentre gli lanciavano in continuazione secchi d’acqua. Infine, furono legati a dei cancelli e con forza, pazienza e pace offrirono le loro anime al Signore.
Nello stesso luogo ma in un altro giorno furono martirizzati altri due mariti e mogli, ma essi furono bruciati vivi. Nel mezzo delle fiamme, dagli occhi di una delle mogli cominciò a cadere una grande quantità di lacrime ed ella disse che era grande la consolazione che provava per morire per amore di Gesù Cristo Nostro Signore e che non riusciva a contenere le lacrime per questa pura gentilezza, considerando in particolare il beneficio che il Signore le faceva nell’includerla nel numero dei prescelti per godere eternamente della sua compagnia in cielo, il che causò in tutti grande compassione e devozione.
Al 4 di marzo nello stesso luogo furono martirizzati in nove con un nuovo, molto crudele e lungo martirio. Fra essi ci fu Padre Diogo Carvalho nativo di Coimbra della nostra Compagnia figlio dimissorio di essa e superiore della missionedi queste parti, uomo anch’egli veramente apostolico e grande zelante di anime, per le quali soffrì e lavorò molto in Voxù e Deva con molta gloria del Signore, bene delle anime e onore della nostra Compagnia. Il tipo di martirio fu simile a quello che patirono i 40 Santissimi martiri, la cui festa la nostra chiesa celebra il 9 dello stesso mese di Marzo. E soffrì quel tormento con tanta forza, pazienza e pace che addirittura gli stessi gentili rimasero basiti, perché non tremò per il freddo né mostrò alcun segno di pena e dolore, ma con grande fervore e zelo animava i suoi compagni col suo esempio e le sue parole. Cosicché, tutti con grande allegria e pazienza terminarono le sofferenze di questa vita e furono a godere dell’eterna beatitudine. E il Padre fu l’ultimo che diede la sua anima al Signore, per la cui gloria morì intorno alla mezzanotte, dopo di aver passato 12 ore in quella vasca d’acqua. Ringraziamo il Signore, il quale lo scelse per farne suo fortunato servo e figlio e glorificarlo in questa vita in laboribus al fine di offrirgli in cielo la preziosa corona della gloria. Ci lasciò tutti con grande nostalgia a causa della grande mancanza che di questi tempi sentiamo di un simile operaio, ma abbiamo fiducia nel Signore che intercederà e ci verrà ancora più in aiuto.
In Aquita e Xembocu, terre del regno di Deva, la persecuzione contro i fedeli fu crudelissima e rigorosissima al punto che i Cristiani non si trovavano nascondiglio né sui monti, né sotto la neve. La furia della persecuzione perdura tuttora e diede la palma del Santo martirio a più di cento, 32 dei quali furono bruciati vivi e per la maggior parte erano servitori del signore di quella zona chiamato Sataquedono. Era gente onorata e importante e furono uccisi anche figli e mogli. Nel tempo del martirio di questi gloriosi santi, lo stesso Sataquedono e altri gentili videro cose meravigliose in cielo, il che portò il Tono a dire che i Cristiani avevano ragione a voler morire per la loro religione, ma proibì che si parlasse di tali meraviglie per far sí che i Cristiani non si rinvigorissero. L’anno che viene, col favore divino darò notizie su questo, perché [f. 15] fino ad ora non fu possibile ottenere una fedele informazione dell’accaduto.
Anche la provincia di Nambu offrì al cielo i suoi martiri. Di tre ho notizie certe. Tra questi c’era una donna di 50 anni, la quale fu tormentata con diversi tipi di torture. Ne presero la carne e la diedero da mangiare ad una tigre, la quale era rinchiusa in una casa fatta di pali, simile ad una gabbia, e ordinariamente era sfamata proprio con la carne umana dei giustiziati. Quando vide la preda, la tigre scese dalla sua pedana e andò ad annusare la carne della Santa martire di Cristo, ma lasciandola intatta se ne tornò sulla sua pedana e, secondo quanto mi scrivono, non scese di lì per tre giorni, per cui le guardie furono forzate a rimuovere la carne della Santa donna dalla gabbia, ma in quel momento la tigre scese e mise a tutti tanta paura che i gentili rimasero sbalorditi. Nello stesso luogo accaddero anche altre meraviglie.
Questo è il frutto che diedero Voxù e Deva in questa persecuzione e fu raccolto in cielo con grande onore della Compagnia, perché tutti i martiri citati sono figli della Compagnia e coltivati dai suoi figli, con l’eccezione di tre, che patirono nello stato di Masamune, i quali pare siano Cristiani convertiti dai Padri di S. Francesco. Nelle altre parti, sebbene vi sia persecuzione, non fu altrettanto crudele e fu limitata all’esilio di qualche persona.
Ho già ringraziato V. R. per il dono di diversi reliquiari e altre cose per la devozione che ricevetti tre anni fa, ma la ringrazio di nuovo, perché non so se le mie lettere arriveranno a causa di tanti naufragi e per il pericolo dei corsari. Non voglio dilungarmi oltre, le chiedo che mi faccia la carità di chiedere a nostro Padre da parte mia la sua santa benidizione, perché mi sembra che il mio giorno non tarderà ancora molto. Mi raccomando molto nei santi sacrifici e orazioni di V. R. Dal Giappone, 18 Ottobre 1624.

Joam Mattheus Adami

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[1]                      Per una visione più ampia dell'azione evangelizzatrice della Compagnia di Gesù in Giappone, con particolare riguardo alle pratiche sceniche messe in atto dai padri gesuiti, rimando al mio saggio L’avventura scenica dei gesuiti in Giappone,  Di Pagina,Bari 2016.
[2]                      Oltre a p. Xavier, che rimase in Giappone per trenta mesi, citiamo i pp. Torres, Frois, Valignano, Organtino, Cabral, Vilela, Pacheco, Fernandez e l'irmão (fratello laico) Almeyda.
[3]                      Josef Franz Schütte(acura di),Monumenta historica Japoniae I: Textus catalogorum Japoniae aliaeque de personis domibusque S.J. in Japonia informationes et relationes, 1549-1654,Roma 1975.
[4]                      Le lettere annue furono inoltre raccolte a Roma, tradotte in italiano ed edite, prima nella stamperia della casa professa dei gesuiti al Gesù, più tardi dal Tramezzino a Venezia e infine dallo Zanetti a Roma, che stampò le Lettere, Avvisi e Ragguagli del Giappone negli anni 1578, 1579, 1584, 1585, 1586, 1588, 1590, 1591, 1592, 1593.
[5]                      Come è noto, a p. Daniele Bartoli si deve un lungo ed estenuante lavoro di assemblaggio e ordinamento di una vastissima mole di documenti inediti provenienti dalle missioni e che afferiva a Roma, riguardanti l'India, la Cina e il Giappone. Si vedano inoltre E. Aguileira, Provinciae Siculae Societatis Iesu ortus et res gestae ab anno 1612 ad annum 1672, II, Panormi 1740,  284-5; P. d’Alegambe, Mortes illustres et gesta eorum S. I. qui in odium fidei ... necati aerumnisve confecti sunt, Roma, 1657, 31-3; A. de Andrade, Varones Ilustres en Santidad, Letras y zelo de las almas de la Compañía de Jesús,Madrid, José Fernández de Buendía, VI, 1667,  602-619; A. F. Cardim, Fasciculus e Iapponicis floribus, suo adhuc madentibus sanguine compositus, Corbellettii, Roma 1646; Masaharu Anesaki, A concordance to the history of Kirishitan missions: (Catholic missions in Japan in the sixteenth and seventeenth centuries, Office of the Academy, Tokyo 1930,  160; C. E. O’Neill, Diccionario histórico de la Compañía de Jesús biogràfico-temàtico, Institutum Historicum S.I. e Universidad Pontifica Comillas, Roma-Madrid 2001, I, 15, III . 2798, IV  3615; E. De Guilhermy, Menologe de La Compagnie de Jesus, Part 2, Paris 1894, 411; M. Tanner, Societas Jesu usque ad sanguinis et vitae profusionem militans in Asia, Typis Universitatis Carolo-Ferdinandæ in Colegio Societatis Jesu, Pragæ 1675,pp. 346-349, 362-367, 412.
[6]                      Inesatta è, fra le altre, l’affermazione che p. Adami sarebbe stato nominato nel 1616, peraltro dal già defunto p. Acquaviva, vicario del Preposto Generale e rettore del collegio di Macao, quando invece Adami in quell’anno, 1617, è soltanto consultore di quel rettore.
[7]                      Cfr. Monumenta Historica Japoniae, cit., I,  453 sgg. Avviata nel 1575 la consuetudine di stilare cataloghi brevi relativi alla presenza dei padri gesuiti in India, a partire dal dicembre 1579 anche le missioni giapponesi furono monitorate attraverso cataloghi, tuttavia di maggiore consistenza informativa. Ciò fu dovuto all’azione regolarizzatrice svolta da p. Valignano in occasione della prima visita in Giappone dal 25 luglio 1579 al 20 febbraio 1582. Il primo catalogo riguardante specificamente la città di Macao è datato 25 ottobre 1581.
[8]                      Ivi,  486.
[9]                      Ivi,  596 sgg. e doc. 39 n. 34.
[10]                    Ivi, . 527.
[11]                    Ivi,  593 sgg.
[12]                    Esistono due copie di questa lettera in quanto affidate contemporaneamente per due vie, quella delle Indie e quella delle Filippine, rispettivamente a p. Gabriel De Naros, portoghese, procuratore di quella provincia ed a p. Pietro De Morecon, castigliano.
[13]                    Sulla coraggiosa visita di p. Vieira sfuggito miracolosamente alla cattura e costretto a nascondersi in luoghi di fortuna (per 40 giorni dimorò in una barca lontano dalla costa di Nagasaki), si veda D. Bartoli, cit., IV, 14. Lo stesso Bartoli descrive la lunga permanenza del padre visitatore in capanne di paglia costruite a Fukaie e a Katsusa, di ritorno dalle visite effettuate a Sakai, Osaka e Meaco.
[14]                    La lettera è pubblicata in Monumenta Historica Japoniae, I, cit.,  845.
[15]                    Ivi,  857.
[16]                    Ivi,  887 – 892.
[17]                    Ivi,  915.
[18]                    Ivi,  979.
[19]                    P. Bartoli così descrive il supplizio inflitto a p. De Angelis e ai compagni di martirio: «I quattro di decembre, piantate già le colonne e disposte loro intorno le legne per arderli, ne vennero gli esecutori alla carcere e cominciato, dal p. de Angelis, nel condusser fuori e gli trassero delle gambe i ferri e, legategli dietro le braccia, gli gittarono una grossa fune al collo, raccomandatone il capo alle mani d’un manigoldo, poi all’altro religioso di s. Francesco e similmente a’ compagni dello steccato, tutti insieme. Così legati, ordinarono al p. de Angelis che salisse a cavallo, acconciatagli prima dietro una banderuola di carta che gli sopravanzava il capo, scrittovi dentro questa sola parola padre, e similmente il Galvez e il santo confessore di Cristo, Fara Mondo Giovanni, quello dalle mani e i piè smozzicati e con la croce stampata in fronte: e nella banderuola, il suo nome. Questi tre soli furon messi a cavallo, i quarantotto a piedi, divisi in tre parti uguali di sedici l’una e dietro a ciascun de’ tre a cavallo, una d’esse. Innanzi a tutti andava il p. de Angelis seguitato dal f. Iempo Simone, da Lione, suo albergatore, e da gli altri quattordici in fila, l’un dopo l’altro, con a lato il carnefice che il teneva per lo capestro strettogli alla gola. Poi il p. fra Galvez con appresso altrettanti, l’ultimo, Fara Mondo Giovanni, e dietrogli il rimanente. Innanzi, e dopo essi, i capi della giustizia e da amendue verso Iendo, ed or con gli occhi in cielo or calati sopra esso, con grande espressione d’affetto pregare (a quel che si poté giudicarne) Iddio a illuminare l’uno e l’altro signor del Giappone, che quivi erano. Poi levatasi alto la fiamma e sospintagli contro dal vento che traeva gagliardo, rivolse a lei la faccia e, senza più muoverla punto, si stette ricevendone quell’avventarglisi ch’ella faceva onde, anche perciò, ammirati i gentili dicevano che ben si era eletto il più valoroso ad essere il capitano: egli al venire in campo era stato il condottiere de gli altri, egli il più intrepido ad incontrare e vincere il nemico. Bella anche a vedere fu la diversa postura in che morirono questi tre santi uomini ed in che, morti, rimasero. Al Galvez i legami durarono intieri ed egli, da essi pendente, restò diritto in piè. Fara Mondo arsagli giù da piè la colonna, cadde steso con essa. Il p. de Angelis loro in mezzo, abbruciate in parte le funi e già mancando, inginocchiossi, spirò e così ginocchioni rimase. Era di cinquantasei anni, de’ quali trentotto era vivuto nella Compagnia e ventitré in Giappone dove, anche dodici anni prima, avea fatta la solenne professione di quattro voti» (D. Bartoli, cit., IV, 63 – 64). P. Bartoli, oltre a scrivere che p. Adami succedette a p. De Angelis «nelle fatiche e di poi nelle grazie d’una simil corona», riporta proprio il brano di questa lettera del 20 ottobre 1624 che testimonia il sacrificio del gesuita di Castrogiovanni.

[20]                    Di questi martìri anche p. Bartoli dà notizia soffermandosi sulle diverse fasi del supplizio (IV, 75).
[21]                    Monumenta Historica Japoniae, I, cit.,  984.
[22]                    Ivi,  992.
[23]                    D. Bartoli, cit., V, 3.
[24]                    Ivi, V, 9.
[25]                    Ivi, V, 11. 

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