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lunedì 30 maggio 2016

Il Duca Giuseppe di Napoli e il Crocifisso di frate Umile da Petralia



Il Duca Giuseppe di Napoli, proveniente dalla città di Troina, apparteneva alla ricca borghesia del tempo ma da famiglia non blasonata. Avvocato di professione, evidenziò presto ottime capacità che gli permisero di ricoprire cariche di alto prestigio  politico-sociale. Fu giudice della corte pretoriana dal 1600 al 1602; Giudice della Corte del Consistoro (1605-1610), Avvocato fiscale del Real Patrimonio (1613-1624), Deputato del regno  per il braccio demaniale (1615-1618), Presidente  del Real Patrimonio (1620-1625) e Reggente del Supremo Consiglio d’Italia. Nel 1597 Giuseppe di Napoli sposa Laura Settimo e aggiunge alla sue ricchezze un cospicuo patrimonio dotale; ciò gli permette di compiere ottimi investimenti in beni immobili a Palermo e nell’Isola;  in modo particolare, l’acquisto del feudo “La Guardiola” della Baronia di Berrjbaida ( 700 salme di terra al prezzo di onze 16.000 ) e il feudo di Resuttano (732 salme di terra per onze 17.000). Nel 1619 inoltra al Re di Spagna per Campobello, nel feudo La Guardiola, la licenza “populandi novam civitatem” evidenziando nella richiesta l’esistenza nel territorio di un Castello antico ma in buone condizioni con annesse le carceri, di una chiesa con annesso monastero e la presenza di molte case. Alcune di queste abitazioni erano state costruite sulla base di contratti enfiteutici ( ogni enfiteuta era tenuto  a costruire una casa entro tre anni per ogni salma di terra che deteneva). Nel 1625 Giuseppe I di Napoli conferisce “propter numptias” al figlio Girolamo, che aveva contratto matrimonio con Elisabetta Barresi, l’intero patrimonio di Campobello e Resuttano; ma questi muore prematuramente e senza testamento e tutto il patrimonio si trasferisce al figlio, ancora piccolo, Giuseppe II di Napoli-Barresi. Questi ebbe come tutori lo stesso nonno paterno e la madre; Elisabetta, vedova, preferì amministrare la città di Alessandria, dove presto si trasferì, mentre il nonno Giuseppe I preferì amministrare Campobello e Resuttano per nome e conto del nipote Giuseppe II. Nel 1635 ottenne il titolo di Duca di Campobello e Principe di Resuttano, per restituire titoli e patrimoni al nipote, raggiunta l’età matura. Divenuto maggiorenne, Giuseppe II Napoli-Barresi come atto di benevolenza fece dono alla chiesa di Campobello di un Crocifisso ligneo, opera scultorea di frate Umile da Petralia, di una tela raffigurante  San Pietro, opera pittorica  della scuola napoletana, e di una tela, La Madonna delle grazie (detta la Gran Signora di Tre Fontane) per la chiesa fatta sorgere nel frattempo in quella zona per i pescatori della locale Tonnara. Il Duca Giuseppe II Napoli-Barresi rimase scapolo, governò con grande amabilità;  nel dare inizio al suo governo volle farsi precedere da questi doni di famiglia assai significativi, auspicando per il suo ducato, posto tra la città di Mazara, sede vescovile, e la città di Castelvetrano,  principato dei Tagliavia, un futuro non secondo a nessuno. Giuseppe III Napoli successivamente nell’anno 1695 eleverà la Matrice, “Maria SS. Del Presepe”, da chiesa curata a Parrocchia. Il duca Giuseppe Napoli-Barresi morì   compianto da tutti l’anno 1678.

Il Crocifisso di frate Umile da Petralia

Nell’archivio storico parrocchiale di Campobello di Mazara, a margine del volume 3° del liber mortuorum, una nota storica evidenzia l’autenticità del prezioso Crocifisso, opera artistica di frate Umile, dono di Giuseppe Napoli-Barresi alla comunità campobellese.
“ Hoggi mercoledì 19 maggio X ind. (indizione)  1666 rivao la SS.ma Imagine  del SS.mo Crocifisso mandato da Palermo dal Ill.mo et Ecc.mo Sig. Giuseppe Napoli et Barresi Principe  di Resuttano e Duca di questa terra di Campobello  quale SS.ma Immagine dicesi essere antica fatta d’un valentissimo mastro delli Patri Zucculanti si S.to Antonino di Palermo, Frate  Umile di Petralia, il quale Padre hebbe odore di Santità e la domenica 23 del d. (detto) maggio si fece l’ingresso ed una solennissima processione messa cantata et vespero con molti preti  di Cast.no. Celebrao d.a ( detta) sol.ta (solennità) il rev,do Sacerdote D. Antonio d’Antoniuzzo Capp.no (cappellano) maggiori et Vicario foraneo di questa pred.a ( predetta) Chiesa, la sud. Immagine fatta dal sud.o Rev. p. Umile essere nel numero delli 33 inclusa la figura dell’Ecce Homo nella terra di Calvaruso  nella diocesi di Messina”.
Il Crocifisso di Campobello, si legge nella scheda di M Vitella, è stata ascritta tra gli ultimi simulacri realizzati dal frate francescano nel convento di Palermo. Ciò viene avanzato in base alle analisi delle proporzioni del simulacro, più piccolo rispetto agli altri, ma soprattutto per l’assenza di tutte quelle peculiarità espressive e cromatiche che hanno contraddistinto sempre  la produzione  dell’artista madonita. Ciò che  conferma invece  l’autografia di frate Umile nel Crocifisso di Campobello è la massima cura prestata nella realizzazione del volto; sta nella puntuale trattazione dei dati fisiognomici che culmina l’intera drammaticità dell’opera  chiaramente manifestata negli occhi socchiusi ed evidenziata dalla bocca semiaperta da cui si intravedono i denti e la lingua. Il realismo espressivo dell’opera  è accresciuto dall’attenzione con cui è condotto l’intaglio che segna la barba e l’acconciatura, sviluppata a lunghe ciocche leggermente inanellate che delicatamente scendono sulle spalle.  
Il Crocifisso di Campobello, come d’altronde tutte le opere di frate Umile, esprimono in  modo esaltante  il mistero cristiano della Croce, da dove si evince il mistero trinitario dell’amore di Dio che nel Figlio si fa passione, morte e risurrezione in una connotazione rivelativa di una scelta ontologica ed escatologica. E’ il Cristo, vero uomo, che soffre sino allo spasimo delle sue forze  nella piena consapevolezza del mistero di salvezza che attua; tutto ciò porta il Cristo crocifisso a guardare il cielo e ad invocare: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. La Croce diventa così una bandiera, mentre il Crocifisso è l’Agnello che toglie i peccati del mondo, è la vittima della riconciliazione della terra con il cielo, dell’umano con il divino.


La croce, come simbolo,  compare  per la prima volta nella storia della Chiesa dopo  l’editto di Costantino che segnò, con la croce visionata sul ponte Milvio e la vittoria su Massenzio,  la storia e la cultura del Medioevo e dell’età Moderna. Simbolo associato alla passione e morte di Gesù, al sacrificio della nuova alleanza, la Croce costituisce l’essenza della teologia e farà esclamare a Paolo di Tarso: “Cristo mi ha mandato non a battezzare, ma ad evangelizzare; e non in sapienza di parole, ma perché non sia resa vana la Croce di Cristo” (1 Cor.   1, 17). Da qui era logico per il Cristiano il culto della Croce; i Padri della Chiesa naturalmente vigilarono perché il culto prestato alla Croce non degenerasse in errori. (Venerazione della Croce, non adorazione).
La prima rappresentazione completa della crocifissione la troviamo a Roma in un bassorilievo  alla porta di Santa Sabina. L’evoluzione iconografica del Crocifisso ha sicura e non indubbia relazione con il progresso del culto liturgico: si passa infatti dalla Croce pensile, sospesa sull’altare e che domina il culto eucaristico, alla Pergula dove la Croce  è situata come punto di divisione tra il presbiterio e la navata,  mentre nella Chiesa orientale si consolida la Iconostasi.  
In età carolingia alla Croce pensile si sostituisce o si affianca la Croce astile o processionale; nel XII secolo questa cede il posto alla “crux pediculata” (la Croce posta sull’altare tra due candele)..
La figura isolata del Crocifisso si diffonde invece nell’età romanica e si differenzia da quella bizantina per la diversa stilizzazione e modellazione del corpo. Nel secolo XIII si diffonde   una iconografia del Crocifisso dove è accentuata una concezione più umana e patetica del sacrificio del Golgota: il Crocifisso appare confitto in croce con tre chiodi, i busto contorto, le gambe piegate mentre  il capo è reclinato sulla spalla destra. Esempio di particolare bellezza si riscontra nel Crocifisso posto  a Roma nella basilica di San Paolo fuori le mura. E’ la spiritualità propria degli ordini mendicanti, scrive la Di Natale, che tende a favorire il cambiamento dalla simbolica raffigurazione del Cristo in croce, quale divinità insensibile al martirio, tipica degli artisti dell’età romanica, a quella gotica dalla figura agonizzante o morta con tutti i segni della passione terrena. “La nuova raffigurazione del Cristo, scrive Belting, simbolizza la meditazione francescana della passione, che si incentra   sulla contemplazione della sofferenza e morte di Cristo, nella nuova prospettiva della imitazione affettiva, della compassio”. Il Christus patiens sostituisce il Christus triunphans e il devoto viene spinto ad identificarsi con la sua sofferenza.
 Nei secoli XV e XVI appare  sempre più viva l’umanità del Crocifisso, come testimoniano il Crocifisso di Brunelleschi a Firenze (Santa Maria Novella) o il Crocifisso di Donatello o quello di Michelozzo a Venezia (basilica di San Giorgio).
Con la controriforma nel secolo XVII si afferma una concezione legata all’opera rigeneratrice della Chiesa che vuole stimolare la pietà e la devozione dei fedeli. In questa chiave i francescani detengono un ruolo fondamentale e, da veri maestri,  si adoperano ad incrementare la pietà popolare nei confronti della Passione e morte di Cristo “riproponendo la mistica mortificazione del Cristo medievaleggiante” dove si esalta il ruolo del Cristo, Uomo-Dio, Salvatore eroico, che, a prezzo del suo martirio, salva l’umanità. In questo contesto mentre suscitano nei fedeli sentimenti di commozione e pentimento, trasmettono il messaggio dell’amore salvifico di Dio per l’umanità.
Il Crocifisso assume un aspetto livido con accentuato realismo e pathos artistico. Se a Roma domina Alessandro Algardi e Gian Lorenzo Bernini, in Sicilia primeggia la scuola istituita a Palermo da Giovanni Francesco Pintorno, ll francescano “ frate Umile da Petralia” ( 1601-1639), che nello stesso convento francescano produsse un vasto numero di Crocifissi lignei pervasi da devoto sentimento ed ispirati a commovente realismo.   “Statuario in legno di gran pregio, scrive il Di Marzo, frate Umile è autore di Cristi in croce stupendi nei quali riuscì eccellente” (G. Di Marzo, I Gagini, … 1880, pp 710-711). Tra questi Crocifissi un posto non indifferente spetta al Crocifisso che si venera nella Chiesa madre di Campobello, dono, come evidenziato, del Duca Giuseppe  Napoli-Barresi alla città. Crocifisso commissionato dai Napoli molto probabilmente per la loro cappella di famiglia ( è più piccolo rispetto a tutte le opere realizzate da frate Umile per le varie chiesa), ma generosamente donato a questa città. Frate Umile  era già deceduto da circa 15 anni quando il Duca, già in possesso del prezioso Crocifisso, lo inviò solennemente a Campobello.

    Pietro Pisciotta   




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