Il Duca Giuseppe
di Napoli, proveniente dalla città di Troina, apparteneva alla ricca borghesia
del tempo ma da famiglia non blasonata. Avvocato di professione, evidenziò
presto ottime capacità che gli permisero di ricoprire cariche di alto
prestigio politico-sociale. Fu giudice
della corte pretoriana dal 1600 al 1602; Giudice della Corte del Consistoro
(1605-1610), Avvocato fiscale del Real Patrimonio (1613-1624), Deputato del
regno per il braccio demaniale
(1615-1618), Presidente del Real
Patrimonio (1620-1625) e Reggente del Supremo Consiglio d’Italia. Nel 1597
Giuseppe di Napoli sposa Laura Settimo e aggiunge alla sue ricchezze un
cospicuo patrimonio dotale; ciò gli permette di compiere ottimi investimenti in
beni immobili a Palermo e nell’Isola; in
modo particolare, l’acquisto del feudo “La Guardiola” della Baronia di
Berrjbaida ( 700 salme di terra al prezzo di onze 16.000 ) e il feudo di Resuttano
(732 salme di terra per onze 17.000). Nel 1619 inoltra al Re di Spagna per
Campobello, nel feudo La Guardiola, la licenza “populandi novam civitatem” evidenziando nella richiesta l’esistenza
nel territorio di un Castello antico ma in buone condizioni con annesse le
carceri, di una chiesa con annesso monastero e la presenza di molte case.
Alcune di queste abitazioni erano state costruite sulla base di contratti
enfiteutici ( ogni enfiteuta era tenuto
a costruire una casa entro tre anni per ogni salma di terra che
deteneva). Nel 1625 Giuseppe I di Napoli conferisce “propter numptias” al figlio Girolamo, che aveva contratto
matrimonio con Elisabetta Barresi, l’intero patrimonio di Campobello e
Resuttano; ma questi muore prematuramente e senza testamento e tutto il
patrimonio si trasferisce al figlio, ancora piccolo, Giuseppe II di
Napoli-Barresi. Questi ebbe come tutori lo stesso nonno paterno e la madre;
Elisabetta, vedova, preferì amministrare la città di Alessandria, dove presto
si trasferì, mentre il nonno Giuseppe I preferì amministrare Campobello e
Resuttano per nome e conto del nipote Giuseppe II. Nel 1635 ottenne il titolo
di Duca di Campobello e Principe di Resuttano, per restituire titoli e
patrimoni al nipote, raggiunta l’età matura. Divenuto maggiorenne, Giuseppe II
Napoli-Barresi come atto di benevolenza fece dono alla chiesa di Campobello di
un Crocifisso ligneo, opera scultorea di frate Umile da Petralia, di una tela
raffigurante San Pietro, opera pittorica della scuola napoletana, e di una tela, La
Madonna delle grazie (detta la Gran Signora di Tre Fontane) per la chiesa fatta
sorgere nel frattempo in quella zona per i pescatori della locale Tonnara. Il
Duca Giuseppe II Napoli-Barresi rimase scapolo, governò con grande
amabilità; nel dare inizio al suo
governo volle farsi precedere da questi doni di famiglia assai significativi,
auspicando per il suo ducato, posto tra la città di Mazara, sede vescovile, e
la città di Castelvetrano, principato
dei Tagliavia, un futuro non secondo a nessuno. Giuseppe III Napoli
successivamente nell’anno 1695 eleverà la Matrice, “Maria SS. Del Presepe”, da
chiesa curata a Parrocchia. Il duca Giuseppe Napoli-Barresi morì compianto da tutti l’anno 1678.
Il Crocifisso di frate
Umile da Petralia
Nell’archivio
storico parrocchiale di Campobello di Mazara, a margine del volume 3° del liber mortuorum, una nota storica
evidenzia l’autenticità del prezioso Crocifisso, opera artistica di frate
Umile, dono di Giuseppe Napoli-Barresi alla comunità campobellese.
“ Hoggi mercoledì 19 maggio X ind. (indizione) 1666 rivao la SS.ma Imagine del SS.mo Crocifisso mandato da Palermo dal
Ill.mo et Ecc.mo Sig. Giuseppe Napoli et Barresi Principe di Resuttano e Duca di questa terra di
Campobello quale SS.ma Immagine dicesi
essere antica fatta d’un valentissimo mastro delli Patri Zucculanti si S.to
Antonino di Palermo, Frate Umile di
Petralia, il quale Padre hebbe odore di Santità e la domenica 23 del d. (detto) maggio si fece l’ingresso ed una solennissima processione messa cantata
et vespero con molti preti di Cast.no.
Celebrao d.a ( detta) sol.ta (solennità) il rev,do Sacerdote D. Antonio d’Antoniuzzo
Capp.no (cappellano) maggiori et Vicario foraneo di questa pred.a ( predetta) Chiesa,
la sud. Immagine fatta dal sud.o Rev. p. Umile essere nel numero delli 33 inclusa
la figura dell’Ecce Homo nella terra di Calvaruso nella diocesi di Messina”.
Il Crocifisso di
Campobello, si legge nella scheda di M Vitella, è stata ascritta tra gli ultimi
simulacri realizzati dal frate francescano nel convento di Palermo. Ciò viene
avanzato in base alle analisi delle proporzioni del simulacro, più piccolo
rispetto agli altri, ma soprattutto per l’assenza di tutte quelle peculiarità
espressive e cromatiche che hanno contraddistinto sempre la produzione
dell’artista madonita. Ciò che conferma invece l’autografia di frate Umile nel Crocifisso di
Campobello è la massima cura prestata nella realizzazione del volto; sta nella
puntuale trattazione dei dati fisiognomici che culmina l’intera drammaticità
dell’opera chiaramente manifestata negli
occhi socchiusi ed evidenziata dalla bocca semiaperta da cui si intravedono i
denti e la lingua. Il realismo espressivo dell’opera è accresciuto dall’attenzione con cui è
condotto l’intaglio che segna la barba e l’acconciatura, sviluppata a lunghe
ciocche leggermente inanellate che delicatamente scendono sulle spalle.
Il Crocifisso di
Campobello, come d’altronde tutte le opere di frate Umile, esprimono in modo
esaltante il mistero cristiano della
Croce, da dove si evince il mistero trinitario dell’amore di Dio che nel Figlio
si fa passione, morte e risurrezione in una connotazione rivelativa di una
scelta ontologica ed escatologica. E’ il Cristo, vero uomo, che soffre sino
allo spasimo delle sue forze nella piena
consapevolezza del mistero di salvezza che attua; tutto ciò porta il Cristo
crocifisso a guardare il cielo e ad invocare: “Padre, perdona loro perché non
sanno quello che fanno”. La Croce diventa così una bandiera, mentre il
Crocifisso è l’Agnello che toglie i peccati del mondo, è la vittima della
riconciliazione della terra con il cielo, dell’umano con il divino.
La croce, come
simbolo, compare per la prima volta nella storia della Chiesa
dopo l’editto di Costantino che segnò, con la
croce visionata sul ponte Milvio e la vittoria su Massenzio, la
storia e la cultura del Medioevo e dell’età Moderna. Simbolo associato alla
passione e morte di Gesù, al sacrificio della nuova alleanza, la Croce
costituisce l’essenza della teologia e farà esclamare a Paolo di Tarso: “Cristo
mi ha mandato non a battezzare, ma ad evangelizzare; e non in sapienza di
parole, ma perché non sia resa vana la Croce di Cristo” (1 Cor. 1, 17). Da qui era logico per il Cristiano
il culto della Croce; i Padri della Chiesa naturalmente vigilarono perché il
culto prestato alla Croce non degenerasse in errori. (Venerazione della Croce,
non adorazione).
La prima
rappresentazione completa della crocifissione la troviamo a Roma in un
bassorilievo alla porta di Santa Sabina.
L’evoluzione iconografica del Crocifisso ha sicura e non indubbia relazione con
il progresso del culto liturgico: si passa infatti dalla Croce pensile, sospesa
sull’altare e che domina il culto eucaristico, alla Pergula dove la Croce è situata come punto di divisione tra il
presbiterio e la navata, mentre nella
Chiesa orientale si consolida la Iconostasi.
In età carolingia
alla Croce pensile si sostituisce o si affianca la Croce astile o
processionale; nel XII secolo questa cede il posto alla “crux pediculata” (la
Croce posta sull’altare tra due candele)..
La figura isolata
del Crocifisso si diffonde invece nell’età romanica e si differenzia da quella
bizantina per la diversa stilizzazione e modellazione del corpo. Nel secolo
XIII si diffonde una iconografia del
Crocifisso dove è accentuata una concezione più umana e patetica del sacrificio
del Golgota: il Crocifisso appare confitto in croce con tre chiodi, i busto
contorto, le gambe piegate mentre il
capo è reclinato sulla spalla destra. Esempio di particolare bellezza si
riscontra nel Crocifisso posto a Roma
nella basilica di San Paolo fuori le mura. E’ la spiritualità propria degli
ordini mendicanti, scrive la Di Natale, che tende a favorire il cambiamento
dalla simbolica raffigurazione del Cristo in croce, quale divinità insensibile
al martirio, tipica degli artisti dell’età romanica, a quella gotica dalla
figura agonizzante o morta con tutti i segni della passione terrena. “La nuova
raffigurazione del Cristo, scrive Belting, simbolizza la meditazione
francescana della passione, che si incentra
sulla contemplazione della sofferenza e morte di Cristo, nella nuova
prospettiva della imitazione affettiva, della compassio”. Il Christus
patiens sostituisce il Christus
triunphans e il devoto viene spinto ad identificarsi con la sua sofferenza.
Nei secoli XV e XVI appare sempre più viva l’umanità del Crocifisso,
come testimoniano il Crocifisso di Brunelleschi a Firenze (Santa Maria Novella)
o il Crocifisso di Donatello o quello di Michelozzo a Venezia (basilica di San
Giorgio).
Con la
controriforma nel secolo XVII si
afferma una concezione legata all’opera rigeneratrice della Chiesa che vuole
stimolare la pietà e la devozione dei fedeli. In questa chiave i francescani
detengono un ruolo fondamentale e, da veri maestri, si adoperano ad incrementare la pietà
popolare nei confronti della Passione e morte di Cristo “riproponendo la mistica mortificazione del Cristo medievaleggiante”
dove si esalta il ruolo del Cristo, Uomo-Dio, Salvatore eroico, che, a prezzo
del suo martirio, salva l’umanità. In questo contesto mentre suscitano nei
fedeli sentimenti di commozione e pentimento, trasmettono il messaggio
dell’amore salvifico di Dio per l’umanità.
Il Crocifisso
assume un aspetto livido con accentuato realismo e pathos artistico. Se a Roma
domina Alessandro Algardi e Gian Lorenzo Bernini, in Sicilia primeggia la
scuola istituita a Palermo da Giovanni Francesco Pintorno, ll francescano “
frate Umile da Petralia” ( 1601-1639), che nello stesso convento francescano
produsse un vasto numero di Crocifissi lignei pervasi da devoto sentimento ed
ispirati a commovente realismo. “Statuario in legno di gran pregio,
scrive il Di Marzo, frate Umile è autore di Cristi in croce stupendi nei quali
riuscì eccellente” (G. Di Marzo, I
Gagini, … 1880, pp 710-711). Tra questi Crocifissi un posto non
indifferente spetta al Crocifisso che si venera nella Chiesa madre di
Campobello, dono, come evidenziato, del Duca Giuseppe Napoli-Barresi alla città. Crocifisso
commissionato dai Napoli molto probabilmente per la loro cappella di famiglia ( è più piccolo rispetto a tutte le
opere realizzate da frate Umile per le varie chiesa), ma generosamente donato a
questa città. Frate Umile era già
deceduto da circa 15 anni quando il Duca, già in possesso del prezioso
Crocifisso, lo inviò solennemente a Campobello.
Pietro Pisciotta
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